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CONCISTORO
tratto dal n. 01/02 - 2006

DICASTERI. Parla il prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica

Paolo VI come punto di riferimento


«La mia visione del Concilio è stata quella di papa Montini, una visione, per usare la terminologia adoperata da papa Benedetto XVI, basata sull’ermeneutica della riforma e non certo su quella della discontinuità». Agostino Vallini, tra i nuovi quindici porporati nominati dal Papa, racconta la sua esperienza di sacerdote e vescovo


Intervista con Agostino Vallini di Gianni Cardinale


Agostino Vallini, prefetto del Supremo Tribunale della  Segnatura apostolica

Agostino Vallini, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica

Lo scorso 22 febbraio papa Benedetto XVI ha annunciato i nomi dei quindici ecclesiastici che il 24 marzo saranno creati cardinali. Tra di loro c’è anche Agostino Vallini, 66 anni il prossimo 17 aprile, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. La sua nomina colmerà una particolare lacuna all’interno del Sacro Collegio. Essendo nato infatti a Poli, in provincia di Roma, con Vallini tra i 120 cardinali elettori di Santa Romana Chiesa tornerà a esserci un porporato se non nativo dell’Urbe almeno originario della provincia romana. Attualmente infatti gli unici due cardinali “laziali”, il romano, e romanista, Fiorenzo Angelini e il segnino Angelo Felici, hanno già superato la soglia degli ottant’anni.

Eccellenza, con la sua nomina tra i cardinali elettori del Sacro Collegio torna un ecclesiastico originario della provincia di Roma…
AGOSTINO VALLINI: Francamente non ci avevo ancora fatto caso. La cosa non può non farmi piacere e ringrazio il Santo Padre per la particolare benevolenza e la fiducia che mi ha accordato. Ma, per la verità, le mie origini sono un po’ miste.
Cioè?
VALLINI: Sono figlio di un maresciallo dei carabinieri originario della provincia di Pisa, vicino Volterra, che si sposò con mia mamma che era originaria di Corchiano, in provincia di Viterbo. Io nacqui quando il babbo comandava la stazione dell’Arma a Poli, piccolo paesino della provincia di Roma, che dal punto di vista ecclesiastico si trova nella diocesi suburbicaria di Tivoli. Poi durante la guerra mio padre fu fatto prigioniero e deportato in Germania. Allora mia madre si trasferì nel suo paese d’origine. Alla fine della guerra finalmente la famiglia si poté riunire e mio padre fu trasferito prima a Caserta quindi, nel 1951, al comando della stazione dei carabinieri nel quartiere Barra di Napoli, dove ho avuto la mia residenza dall’adolescenza fino all’età matura, seppure per lunghi periodi sono stato altrove.
Un quartiere tristemente noto alle cronache…
VALLINI: Un quartiere di periferia della grande città, ma, ci tengo a sottolineare, pieno di gente onesta e operosa. È ingiusto classificare Barra e altri quartieri popolari di Napoli come quartieri caratterizzati dalla malavita. Non è così. Fenomeni delinquenziali come la camorra sono assolutamente marginali; purtroppo fanno notizia e possono trovare spazio nelle zone socialmente meno curate. Ho vissuto a Barra per tanti anni, conosco bene le periferie di Napoli, in tutti gli strati sociali, e posso assicurare che la stragrande maggioranza degli abitanti sono ottime persone, di gran cuore, sentitamente cristiane, che avrebbero diritto a vedere meglio garantiti i loro diritti di cittadini, come quelli di altre regioni d’Italia.
A Napoli nasce la sua vocazione, frequenta il seminario e nel 1964 viene ordinato sacerdote…
VALLINI: Veramente la mia vocazione al sacerdozio nasce a Corchiano, sull’esempio di vita del mio parroco, don Domenico Anselmi, che mi ebbe molto a cuore. A Napoli è maturata la decisione di entrare in seminario, dove ho percorso tutte le tappe formative fino al sacerdozio. Dopo l’ordinazione presbiterale era mio desiderio approfondire gli studi di ecclesiologia, ma l’arcivescovo del tempo, il cardinale Alfonso Castaldo, decise di inviarmi a studiare diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense, in vista dell’insegnamento alla Facoltà teologica di Napoli.
Siamo in piena epoca conciliare, e postconciliare…
VALLINI: Eh sì; ricordo il grande entusiasmo con cui seguivamo i lavori del Vaticano II e accoglievamo e studiavamo i suoi documenti. Il Concilio è stato una grande esperienza di fede e di amore alla Chiesa e all’uomo. Mi sono laureato «in utroque iure» nel 1969 e sono tornato a Napoli. Poi però monsignor Pietro Pavan, allora rettore della Lateranense e futuro cardinale, che era stato mio docente – con il quale ho intrattenuto in seguito rapporti di stima e amicizia fino alla fine della sua vita – mi chiamò ad insegnare nell’Università del Papa. Ebbene, in questo periodo, che non è stato sempre sereno anche a livello ecclesiastico, il mio punto di riferimento è stato costantemente il papa Paolo VI e il suo magistero. La mia visione del Concilio è stata quella di Paolo VI, una visione, per usare la terminologia adoperata da papa Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre scorso, basata sull’«ermeneutica della riforma» e non certo su quella «della discontinuità e della rottura».
La facciata del Palazzo della Cancelleria, sede del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica

La facciata del Palazzo della Cancelleria, sede del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica

Durante i suoi anni di insegnamento a Roma aveva abbandonato Napoli?
VALLINI: No, a Roma risiedevo solo nei periodi semestrali di insegnamento e poi vi ritornavo di tanto in tanto per motivi di studio. Per il resto dell’anno vivevo nella mia città d’adozione, dove insegnavo Diritto canonico alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale e svolgevo attività pastorale, collaborando in parrocchia, anche se formalmente non sono mai stato parroco. Seguivo inoltre un gruppo della Fuci, e il cardinale Corrado Ursi mi nominò assistente diocesano dell’Usmi (Unione superiori maggiori d’Italia): a Napoli allora c’erano circa tremila suore… Comunque nel ’78 ho dovuto lasciare l’insegnamento romano, perché il mio arcivescovo mi chiamò a dirigere il seminario teologico diocesano di Capodimonte. Ho continuato però ad essere docente di diritto alla Facoltà teologica.
Di cui diventa decano nel 1987.
VALLINI: Sì, fui segnalato dal corpo docente e il nuovo arcivescovo Michele Giordano, che nel 1988 venne creato cardinale, mi confermò nell’incarico. Per questo conclusi il mio ministero di rettore del seminario. Non si potevano svolgere insieme due compiti così impegnativi.
Un’esperienza breve quella di decano.
VALLINI: Sì, perché nel 1989 il Papa mi nominò vescovo ausiliare e in questa veste mi sono dovuto occupare dell’organizzazione della visita pastorale di Giovanni Paolo II a Napoli, che durò ben tre giorni, dal 9 all’11 novembre del 1990, con 14 appuntamenti. Fu una bellissima esperienza, perché d’intesa col cardinale facemmo in modo che la visita fosse preparata da un intenso cammino spirituale e pastorale di tutta la comunità diocesana. Ricordo in particolare che il Papa accettò di visitare anche il nuovo quartiere di Scampìa. Ci fu una accoglienza meravigliosa da parte dei fedeli e di tutta la popolazione.
A parte la visita del Papa, cosa le è rimasto della sua esperienza di ausiliare a Napoli?
VALLINI: Moltissimo. Ho imparato a fare il vescovo. E poi è cresciuto in me l’amore per il popolo napoletano. Un popolo ricco di fede, pieno di risorse e di sane tradizioni, ma troppo spesso mortificato in tanti aspetti che attengono alla vita sociale: penso ai gravi problemi dell’occupazione, soprattutto giovanile, della casa, della sicurezza. Un popolo che meriterebbe, certo, molto di più di quello che ha.
Nel novembre 1999 arriva la nomina a vescovo della diocesi di Albano, la più popolosa delle diocesi suburbicarie…
VALLINI: È una diocesi che supera i cinquecentomila abitanti ed è anche vasta, con tre zone abbastanza differenti tra loro. C’è la zona dei Castelli romani, con Albano, Castel Gandolfo, Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio, Marino, Ciampino, poi la zona mediana industriale con Pomezia e Aprilia – il comune più popoloso – e infine la zona costiera, da Torvaianica fino ad Anzio e Nettuno. È una diocesi in espansione con tutti i problemi inerenti alla stabilità del tessuto sociale e, dal punto di vista religioso, con i problemi pastorali, tra cui la costruzione di nuove chiese…
Come si è trovato in questa nuova realtà?
VALLINI: È stata una esperienza molto appassionante, anche perché ho raccolto una ricca eredità, succedendo ad un vescovo di grande valore come monsignor Dante Bernini, che ha guidato la diocesi di Albano per molti anni. Fu lui a indire il Sinodo diocesano, di cui io ho potuto raccogliere i frutti, avviando a realizzazione alcuni orientamenti pastorali importanti, come quello del primato operativo da dare all’evangelizzazione. Una scelta che il Papa ci confermò nella famosa udienza che concesse alla diocesi in occasione dell’Anno Santo, la sera del 27 agosto del 2000, a Castel Gandolfo, in orario insolito, alle 21,00. Credo che sia stata l’unica diocesi accolta in una udienza notturna. Ma questo è dovuto ovviamente alla particolare benevolenza del Santo Padre verso la diocesi di Albano, nel cui territorio, come ho detto, si trova Castel Gandolfo.
Nel maggio 2004 il Papa l’ha chiamata nella Curia romana a guidare il Supremo Tribunale della Segnatura apostolica.
VALLINI: Ho lasciato Albano ringraziando Dio per l’esperienza fatta e con la consapevolezza del grande onore che mi veniva fatto di essere chiamato a un compito di più stretta collaborazione al ministero del romano Pontefice. Ciò ha richiesto che riprendessi gli studi canonistici a tempo pieno.
Ha dovuto ricominciare daccapo?
VALLINI: No. Ho cercato sempre di mantenermi aggiornato dal punto di vista scientifico, seguendo il più possibile le riviste specializzate. Poi sia come ausiliare di Napoli che come vescovo di Albano all’interno della Conferenza episcopale italiana ho avuto degli incarichi riguardanti questioni giuridiche. Negli ultimi anni ero stato nominato dal Consiglio permanente alla guida del Comitato enti e beni ecclesiastici.
Un’ultima domanda. Il suo dicastero è forse tra i meno conosciuti della Curia romana. Di cosa si occupa?
VALLINI: La Segnatura apostolica, che presenta una certa analogia con la Corte di Cassazione e con il Consiglio di Stato dell’ordinamento statuale, si occupa di questioni molto delicate. Esercita una triplice competenza: giudiziaria, contenzioso-amministrativa e amministrativa disciplinare. I compiti di Supremo Tribunale sono abbastanza ristretti: giudica le querele di nullità e le istanze di “restitutio in integrum contro le sentenze rotali, i ricorsi nelle cause sullo stato delle persone, che la Rota romana abbia rifiutato di ammettere a nuovo esame e altri ricorsi. In secondo luogo, attraverso la cosiddetta “sectio altera, introdotta da Paolo VI «per una più conveniente tutela dei diritti dei fedeli», giudica i ricorsi contro gli atti amministrativi singolari emanati o approvati da un dicastero della Curia romana, tutte le volte che si discuta se l’atto impugnato abbia o meno violato la legge. Come pure giudica le controversie deferite dal Papa o dai dicasteri e sui conflitti di competenza tra i diversi dicasteri della Curia. Infine vigila sulla retta amministrazione della giustizia nei tribunali di tutta la Chiesa.
Si tratta, dunque, di un lavoro complesso e delicato.
VALLINI: Certamente. Un compito che impegna a tempo pieno e da svolgere con grande attenzione e responsabilità.


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