![L’epigrafe eucaristica
in San Lorenzo fuori le mura<br><br><br> 1 - (Adsp)ICE QUI TRANSIS QUAM SIT BREVIS AC(cipe vita)<br>
2 - (Atqu)E TUAE NAVIS ITER AD LITUS PARAD(isi)<br>
3 - (Der)EGE QUO VULTUM DOMINI FACIAS TIBI PO(rtum)<br>
4 - (Dica)T IAM QUISQUIS HAEC SACRA PERH(auriat ore)<br>
5 - (Glor)IA SUMMA DOMINUS LUMEN SAPIENTIA VIR(tus)<br>
6 - (Cui)US [o: (Ver)US] IN ALTARI CRUOR EST VINUMQUE (videtur)<br>
7 - (Qui)QUE TUI LATERIS PER OPUS MIRAE (pietatis)<br>
8 - (Omni)POTENTER AQUAM TRIBUIS BAPTI(smate lotis)](/upload/articoli_immagini_interne/1145606356930.jpg)
L’epigrafe eucaristica
in San Lorenzo fuori le mura
1 - (Adsp)ICE QUI TRANSIS QUAM SIT BREVIS AC(cipe vita)
2 - (Atqu)E TUAE NAVIS ITER AD LITUS PARAD(isi)
3 - (Der)EGE QUO VULTUM DOMINI FACIAS TIBI PO(rtum)
4 - (Dica)T IAM QUISQUIS HAEC SACRA PERH(auriat ore)
5 - (Glor)IA SUMMA DOMINUS LUMEN SAPIENTIA VIR(tus)
6 - (Cui)US [o: (Ver)US] IN ALTARI CRUOR EST VINUMQUE (videtur)
7 - (Qui)QUE TUI LATERIS PER OPUS MIRAE (pietatis)
8 - (Omni)POTENTER AQUAM TRIBUIS BAPTI(smate lotis)
È merito di padre
Egidio Picucci avere di recente riportato l’attenzione, con un
articolo pubblicato sull’Osservatore
Romano dell’11 dicembre 2005, su di
un’epigrafe composta di otto versi, unica nel suo genere, collocata
nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma. È la sola
conosciuta, tra le epigrafi cristiane antiche, in cui si accenna
esplicitamente alla transustanziazione, cioè al fatto che
nella santa messa il pane e il vino diventano vero corpo e vero sangue di
Cristo. Si legge infatti nel testo, al verso 6, che sull’altare
è offerto il sangue (“cruor”) del Signore, che sembra (“videtur”) vino, ma è quel
sangue sgorgato insieme all’acqua dal costato di Gesù Cristo
crocifisso. I versi sono esametri, mutili all’inizio e alla fine, in
parte perché scomparsi per il taglio della lastra di marmo su cui
furono incisi, in parte perché coperti dalle strutture che
attualmente inglobano la lastra, e appaiono anche parzialmente nascosti da
una grande croce mosaicata di opera cosmatesca scolpitavi sopra. Questo
stato di cose lascia delle incertezze sull’integrazione di alcune
parole, senza però impedire la comprensione del testo. La lastra,
che in antico fu smontata dalla sua posizione originaria e venne
riutilizzata nel Medioevo, è ora murata nel soffitto del vestibolo
che introduce alla cripta che custodisce le reliquie dei martiri Lorenzo,
Stefano e Giustino, e ne rimane attualmente visibile una parte che misura
113x102 cm. Venne messa in questa posizione in occasione del rifacimento
della Basilica ad opera di papa Onorio III (1216-1227), che ingrandì
la precedente Basilica di papa Pelagio II (579-590) orientandola in maniera
opposta, creò la cripta, rialzò parte dell’edificio del
VI secolo facendone il presbiterio e vi collocò, in corrispondenza
della tomba di Lorenzo, l’altare centrale, trasportandovi il ciborio,
che attualmente lo sovrasta, costruito nel 1148 (vedi box alle pp. 93-94).
Guarda, tu che passi, intendi quanto sia breve la vita,
e raddrizza il viaggio della tua nave all’approdo del Paradiso,
là dove il tuo porto sarà vedere il Signore.
Dica ormai chiunque beve queste specie consacrate:
“Tu sei la somma gloria, il Signore, il lume, la sapienza, la virtù,
il cui [o: vero] sangue è sull’altare e sembra vino;
tu, che nella tua onnipotenza concedi con un’opera
di mirabile misericordia
l’acqua scaturita dal tuo fianco a coloro
che sono stati purificati nel battesimo”.
L’epigrafe (trascritta qui accanto con le
integrazioni proposte da Antonio Ferrua più una variante di Felice
Grossi Gondi al verso 6) è anche la più antica in lingua
latina che ricorda in genere il sacramento dell’eucaristia: in
considerazione dello stile, della paleografia e del contenuto, è
attribuibile al più tardi al V secolo. Quasi certamente proviene
dalle immediate vicinanze del luogo in cui è ora collocata, e in
essa si parla anche del sacramento del battesimo, che certamente doveva
essere amministrato presso la tomba di Lorenzo. Per via della sua datazione
è probabilmente da mettersi in relazione con la prima Basilica
eretta sotto il pontificato di papa Silvestro (314-335)
dall’imperatore Costantino, secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, «via
Tiburtina in agrum Veranum» (ed. Duchesne, I, p. 181). Di un
battistero attribuibile a questa Basilica non sono state trovate tracce
archeologiche, ma sappiamo della sua esistenza da quanto si può
leggere nello stesso Liber Pontificalis in relazione alle biografie di papa Sisto III (432-440;
I, p. 234) e di papa Ilaro (461-468; I, p. 244), i quali entrambi fecero
donativi alla Basilica per l’amministrazione del battesimo. Anche se
non sappiamo se il fonte battesimale fosse interno all’edificio o se
il battistero facesse corpo a sé, separato, tuttavia si può
pensare che l’epigrafe fosse collocata e visibile lungo il tragitto
per il quale i catecumeni passavano per andare a ricevere il sacramento.
Le epigrafi cristiane dei primi secoli in cui si parla
dell’eucaristia sono rarissime; più antiche di quella in San
Lorenzo fuori le Mura se ne conoscono due, entrambe in lingua greca, una di
provenienza orientale, l’altra occidentale. La prima è il
notissimo carme di Abercio vescovo di Hierapolis, capitale della Phrygia
salutaris, databile agli ultimi anni del II secolo, in cui si nomina
Gesù con la parola ’Icthùs (“pesce”), cioè “Iesùs Xristòs Thèou Uiòs
Sotèr” (“Gesù Cristo,
Figlio di Dio, Salvatore”): «... la fede mi condusse in ogni
luogo e dovunque m’imbandì come alimento il pesce di fonte,
grandissimo, puro, che la santa vergine prende e lo porge agli amici
perché si nutrano sempre, avendo un vino gradevole che ci offriva
misto (con acqua) insieme al pane ...». Contemporanea o di qualche
anno più tarda è la seconda epigrafe, sulla quale è
inciso il carme sepolcrale di Pettorio di Augustodunum (Autun, Francia). I
primi versi dicono: «Divina stirpe del pesce celeste, serba un cuore
puro; tu che hai ricevuto la vita immortale, tra i mortali, nelle acque
sacre, accendi il tuo cuore, amico, nelle acque perenni della munifica
sapienza; ricevi l’alimento dolce come il miele del Salvatore dei
santi, mangia avido [affamato], tenendo il pesce nelle [tue] mani.
[Nutrimi] dunque del pesce, ti prego, Signore salvatore [...]» (le
traduzioni sono da P. Testini, Archeologia
cristiana, Edipuglia, Bari 1980, pp. 422-423 e
425).

Affresco proveniente dalla chiesa di papa Pelagio II, particolare della figura
di san Lorenzo
(datazione tra VIII
e XI secolo), navata destra della Basilica
di San Lorenzo
fuori le Mura
L’epigrafe eucaristica di San Lorenzo, pur
già presente in alcune raccolte del Settecento e
dell’Ottocento, fu studiata analiticamente e pubblicata dal padre
gesuita Felice Grossi Gondi (L’iscrizione
eucaristica del secolo V nella basilica di S. Lorenzo al Verano, in Nuovo Bullettino di
Archeologia Cristiana, 1921, pp. 106-111). A lui
si deve una prima integrazione dei versi mutili, e la datazione al IV-V
secolo sulla base di varie particolarità del testo e del contenuto:
le imprecisioni metriche, l’uso del termine “paradisus” e il costume di
ricevere il sacramento del battesimo in età adulta, che cessa verso
la metà del V secolo. Una nuova pubblicazione del testo (con alcune
correzioni) fu poi fatta, in tempi più recenti, da padre Antonio
Ferrua (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vol. VII, 1980, n. 18324, pp. 164-165).
Forse solo pochi anni prima della composizione
dell’epigrafe, scriveva le stesse parole san Cirillo vescovo di
Gerusalemme: «tu credi con assoluta certezza che quello che sembra
pane non è pane, sebbene così sia percepito dal senso del
gusto, ma il corpo di Cristo, e quello che sembra vino non è vino,
sebbene così appaia al gusto, ma il sangue di Cristo» (Catechesis mystagogia 4, 9).