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RECENSIONI
tratto dal n. 05 - 2006

L’economia è subordinata al bene comune


Ridati alle stampe gli scritti economici che Amintore Fanfani pubblicò negli anni Trenta, quando era un giovane professore universitario. Sono una critica al capitalismo fatta dall’interno della tradizione cristiana


di Fabio Silvestri


La presentazione del libro di Amintore Fanfani presso la Pontificia Università Gregoriana il 28 febbraio 2006. Al centro del tavolo dei relatori Giorgio Napolitano e Giulio Andreotti

La presentazione del libro di Amintore Fanfani presso la Pontificia Università Gregoriana il 28 febbraio 2006. Al centro del tavolo dei relatori Giorgio Napolitano e Giulio Andreotti

Il metodo storico insegna che, nell’analisi dei processi culturali e dei processi sociali, occorre sottrarsi alla tentazione di soffermare il proprio sguardo sugli avvenimenti e sulle “emergenze” di più immediata evidenza, che ne costituiscono in qualche modo il lato conscio e consapevole, per concentrare invece la propria attenzione su quegli elementi “di lunga durata” che rappresentano la struttura profonda, sotto forma di elementi apparentemente “inconsci” (ma ciclicamente sempre pronti a manifestare la propria presenza), di quei medesimi processi. Una di queste persistenze che animano “nel profondo” la storia del mondo contemporaneo è stata richiamata in causa, non molti mesi fa, dal cardinale Renato Raffaele Martino. Questi, presentando il volume del Pontefice L’Europa di Benedetto, ha messo in evidenza come a partire da quel fatidico 1989, che aveva segnato definitivamente la fine della Seconda guerra mondiale e della divisione del mondo in blocchi di potenza, e che aveva spezzato “la camicia di forza” delle ideologie («che aveva in qualche modo imbrigliato il mondo per tanti anni»), la nuova sfida e il nuovo orizzonte storico con cui siamo, tutti, quotidianamente chiamati a confrontarci, siano quelli rappresentati dal rapporto tra tecnica ed etica. In particolare, le parole di Martino hanno sottolineato come il destino dell’umanità sembri orientato verso una nuova divisione in “due blocchi”, cioè tra chi ritiene che anche la persona umana altro non sia che un artificiale prodotto storico e culturale (recidendo, su questo piano, il nesso con la natura, la tradizione e la creazione), e chi non condivide un processo di assolutizzazione della tecnica, che si risolve in una concezione meramente pragmatica e procedurale della politica, dell’economia, dello sviluppo, così come della democrazia e degli stessi diritti umani. La questione posta sul tappeto dal cardinale Martino, «a seconda che la si consideri nell’ambito politico, ove incombe il rischio della tecnocrazia, oppure nell’ambito della manipolazione della vita, là dove ci si affida ciecamente alle biotecnologie, oppure nell’ambito della comunicazione, rimodellato e sconvolto dalla tecnologia informatica», si collega con tutta evidenza ai drammatici interrogativi che derivano dalla sempre più preoccupante diffusione su scala planetaria di una logica dello sviluppo economico completamente sganciata da qualsivoglia finalità etica e che, nel generare squilibri e disuguaglianze sempre più gravi e preoccupanti, si dimostra in non rari casi irrispettosa anche della fondamentale dignità dell’essere umano.
Su questo piano, l’affermarsi di un processo di globalizzazione che, come hanno messo in evidenza anche due insigni premi Nobel quali Amartya Sen e Joseph Stiglitz, pone il problema di «fare buon uso della liberalizzazione dei mercati e dei risultati in modo che tutti i Paesi possano fruirne per raggiungere un adeguato sviluppo», obbliga a ripensare in profondità, le basi su cui poggiano i cosiddetti “fondamentali” dell’economia, e a domandarsi sempre più insistentemente se e come sia possibile rintracciare degli antidoti utili a contrastare la logica del “fondamentalismo di mercato”. E allo stesso modo anche la politica, se non vuole registrare un’ulteriore sconfitta di fronte alla minaccia di una “economicizzazione del mondo” che apra la strada ad una incontrollata “tecnoscienza”, non può sottrarsi al dovere di ripensare, anche culturalmente, le proprie formule e le proprie soluzioni. E non può, di conseguenza, sottrarsi al compito di richiamare l’attenzione sulle antiche questioni storiche del rapporto tra etica e capitalismo e, più largamente, tra etica ed economia, dalla sola soluzione delle quali dipende la concreta possibilità che il processo di mondializzazione dell’economia non si traduca, in modo pressoché automatico, in una sempre più drammatica crisi morale.
In questo senso, appare perfettamente comprensibile l’interesse destato, dal ritorno alle stampe (a distanza di oltre sessant’anni dalla sua ultima pubblicazione in Italia e grazie all’iniziativa della Fondazione Amintore Fanfani e dell’editore Marsilio) del fondamentale volume, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, che lo stesso Fanfani, allora giovanissimo professore di Storia economica presso l’Università Cattolica di Milano, scrisse nel 1934. L’interesse per questa approfondita analisi sul formarsi della società capitalistica, condotta in rapporto alle diverse interpretazioni del mondo e in rapporto alle diverse concezioni del destino umano di cui il cristianesimo cattolico e protestante si è fatto, rispettivamente, portatore, è stata ribadita anche dagli importanti convegni che sono stati dedicati alla ricostruzione dell’opera di Amintore Fanfani, prima (in sede di presentazione del volume) dalla Pontificia Università Gregoriana, e più recentemente dalla medesima Cattolica di Milano.
Tali convegni hanno contribuito a illuminare il peculiare significato di questo saggio. Esso, anche sulla base dei gravissimi effetti economici e sociali prodotti dalla Grande depressione del 1929, si faceva portatore di un riformismo di derivazione cristiano-sociale che puntava a temperare l’egoismo individualista, caratteristico di larga parte del sistema capitalistico, con una concezione dell’economia ispirata a criteri di solidarietà. Intendeva anche prendere le distanze dall’allora diffusa posizione weberiana che, trent’anni prima, aveva affermato, in polemica con l’impostazione marxista, il ruolo determinante esercitato dalla cultura religiosa e dal sistema etico proprio del protestantesimo nella genesi del capitalismo. Come ha notato Antonio Fazio nella prefazione al volume, Fanfani sembrava concordare con l’impostazione di Max Weber secondo cui l’essenza più profonda del capitalismo non consiste nell’essere «soltanto un insieme di istituzioni o un modo di svolgersi dei rapporti di produzione», bensì nell’essere «prima di tutto una cultura e una gerarchia di valori che impronta il modo di pensare e di agire». Ma a tale tesi Fanfani contrapponeva il primato, nel determinare l’essenza della stessa attività economica, del complesso ruolo storico svolto dallo “spirito cattolico”, secondo il quale «l’economia è subordinata, come mezzo al fine, al benessere dell’uomo e della comunità». Dunque, pur partendo dal riconoscimento della determinante funzione svolta anche dai Paesi di cultura cattolica nel fondare le radici economico-sociali dello spirito del capitalismo, che darebbero i primi segni di sé (a differenza di quanto esposto nella tesi weberiana) «già alla fine del Medioevo», Fanfani non ne escludeva un’incompatibilità di fondo con il pensiero cristiano e, di conseguenza, ne proponeva una profonda riforma ispirata ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che nella stessa Rerum novarum aveva messo in guardia dai pericoli legati all’affermarsi di un sistema capitalistico fondato sulla concorrenza sfrenata e sulla concentrazione monopolistica della ricchezza.
Amintore Fanfani professore di Storia delle dottrine economiche all’Università Cattolica di Milano dove ottenne la cattedra nel 1936

Amintore Fanfani professore di Storia delle dottrine economiche all’Università Cattolica di Milano dove ottenne la cattedra nel 1936

Quindi la proposta economico-sociale fanfaniana era significativa anche per la storia del movimento cattolico, non solo italiano, perché si ricollegava a tutta una tradizione ottocentesca del pensiero sociale cristiano che, pur avendo origini diverse e pur essendosi declinata in forme ed esperienze diverse in vari Paesi europei, aveva poi trovato un proprio momento di sintesi teorica e programmatica nella ben nota enciclica leoniana, e si era articolata, nel secolo successivo, in tutta una serie di esperienze e di passaggi storici. Tra questi ultimi particolare rilievo avrebbe assunto l’enciclica Quadragesimo anno, emanata da Pio XI soltanto tre anni prima della pubblicazione dello scritto di Fanfani. In particolare, il pensiero di Fanfani, nel coerente richiamo a questa tradizione che coraggiosamente aveva sottolineato la gravità e l’urgenza della soluzione della cosiddetta “questione sociale”, e che aveva in qualche modo rappresentato il punto di partenza di un’autentica politica sociale della Chiesa, riprendeva alcuni spunti della teorizzazione del suo maestro e mentore Giuseppe Toniolo. Toniolo, come sottolinea Piero Roggi nella sua introduzione, fu tra i più attivi fautori di un’azione dei cattolici sul terreno sociale e politico condotta sulla base della ricerca di una soluzione, ispirata al corporativismo medievale, alternativa tanto all’impostazione liberista quanto a quella socialista. Una prospettiva, quella indicata da Toniolo, destinata ad avere notevole influenza sul pensiero sociale cattolico della prima metà del Novecento (si pensi al Codice sociale di Malines, pubblicato nel 1927, che aveva rappresentato una rilettura aggiornata della stessa Rerum novarum, oppure al caso del filosofo francese Jacques Maritain, il quale aveva sottolineato «la derivazione dell’ideologia comunista-marxista dall’umanesimo antropocentrico»). Una prospettiva destinata, inoltre, a giocare un proprio ruolo anche in successive elaborazioni politiche e sociali, quali, tra le altre, il Codice di Camaldoli, che rappresentò un importante momento di convergenza delle diverse “anime” e dei diversi orientamenti teorici presenti nel movimento cattolico, in larga parte riconducibili all’Azione cattolica, e in particolare ad alcuni organismi di punta della stessa Fuci, ma sul quale ebbero peso non secondario anche le soluzioni di tipo cooperativo proposte dal Partito cooperativista sinarchico di Adriano Ossicini e Franco Rodano, che a distanza di circa due anni assumerà il nome di Partito della sinistra cristiana. Senza dimenticare, poi, il ruolo svolto da Fanfani, e insieme a lui dalle nuove leve di intellettuali formate nell’Università Cattolica di Milano, nell’avere portato sul piano del dibattito scientifico e accademico problematiche e ipotesi che fino a quel momento erano state in qualche modo circoscritte all’ambito dell’associazionismo cattolico, e nell’avere contribuito alla futura proposta politica della Democrazia cristiana, e in sede costituente, alla costituzione dei principi e dei fondamenti economici e sociali dell’allora nascente Stato repubblicano.


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