L’economia è subordinata al bene comune
Ridati alle stampe gli scritti economici che Amintore Fanfani pubblicò negli anni Trenta, quando era un giovane professore universitario. Sono una critica al capitalismo fatta dall’interno della tradizione cristiana
di Fabio Silvestri
La presentazione del libro di Amintore Fanfani presso la Pontificia Università Gregoriana il 28 febbraio 2006. Al centro del tavolo dei relatori Giorgio Napolitano e Giulio Andreotti
Su questo piano, l’affermarsi di un processo di globalizzazione che, come hanno messo in evidenza anche due insigni premi Nobel quali Amartya Sen e Joseph Stiglitz, pone il problema di «fare buon uso della liberalizzazione dei mercati e dei risultati in modo che tutti i Paesi possano fruirne per raggiungere un adeguato sviluppo», obbliga a ripensare in profondità, le basi su cui poggiano i cosiddetti “fondamentali” dell’economia, e a domandarsi sempre più insistentemente se e come sia possibile rintracciare degli antidoti utili a contrastare la logica del “fondamentalismo di mercato”. E allo stesso modo anche la politica, se non vuole registrare un’ulteriore sconfitta di fronte alla minaccia di una “economicizzazione del mondo” che apra la strada ad una incontrollata “tecnoscienza”, non può sottrarsi al dovere di ripensare, anche culturalmente, le proprie formule e le proprie soluzioni. E non può, di conseguenza, sottrarsi al compito di richiamare l’attenzione sulle antiche questioni storiche del rapporto tra etica e capitalismo e, più largamente, tra etica ed economia, dalla sola soluzione delle quali dipende la concreta possibilità che il processo di mondializzazione dell’economia non si traduca, in modo pressoché automatico, in una sempre più drammatica crisi morale.
In questo senso, appare perfettamente comprensibile l’interesse destato, dal ritorno alle stampe (a distanza di oltre sessant’anni dalla sua ultima pubblicazione in Italia e grazie all’iniziativa della Fondazione Amintore Fanfani e dell’editore Marsilio) del fondamentale volume, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, che lo stesso Fanfani, allora giovanissimo professore di Storia economica presso l’Università Cattolica di Milano, scrisse nel 1934. L’interesse per questa approfondita analisi sul formarsi della società capitalistica, condotta in rapporto alle diverse interpretazioni del mondo e in rapporto alle diverse concezioni del destino umano di cui il cristianesimo cattolico e protestante si è fatto, rispettivamente, portatore, è stata ribadita anche dagli importanti convegni che sono stati dedicati alla ricostruzione dell’opera di Amintore Fanfani, prima (in sede di presentazione del volume) dalla Pontificia Università Gregoriana, e più recentemente dalla medesima Cattolica di Milano.
Tali convegni hanno contribuito a illuminare il peculiare significato di questo saggio. Esso, anche sulla base dei gravissimi effetti economici e sociali prodotti dalla Grande depressione del 1929, si faceva portatore di un riformismo di derivazione cristiano-sociale che puntava a temperare l’egoismo individualista, caratteristico di larga parte del sistema capitalistico, con una concezione dell’economia ispirata a criteri di solidarietà. Intendeva anche prendere le distanze dall’allora diffusa posizione weberiana che, trent’anni prima, aveva affermato, in polemica con l’impostazione marxista, il ruolo determinante esercitato dalla cultura religiosa e dal sistema etico proprio del protestantesimo nella genesi del capitalismo. Come ha notato Antonio Fazio nella prefazione al volume, Fanfani sembrava concordare con l’impostazione di Max Weber secondo cui l’essenza più profonda del capitalismo non consiste nell’essere «soltanto un insieme di istituzioni o un modo di svolgersi dei rapporti di produzione», bensì nell’essere «prima di tutto una cultura e una gerarchia di valori che impronta il modo di pensare e di agire». Ma a tale tesi Fanfani contrapponeva il primato, nel determinare l’essenza della stessa attività economica, del complesso ruolo storico svolto dallo “spirito cattolico”, secondo il quale «l’economia è subordinata, come mezzo al fine, al benessere dell’uomo e della comunità». Dunque, pur partendo dal riconoscimento della determinante funzione svolta anche dai Paesi di cultura cattolica nel fondare le radici economico-sociali dello spirito del capitalismo, che darebbero i primi segni di sé (a differenza di quanto esposto nella tesi weberiana) «già alla fine del Medioevo», Fanfani non ne escludeva un’incompatibilità di fondo con il pensiero cristiano e, di conseguenza, ne proponeva una profonda riforma ispirata ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che nella stessa Rerum novarum aveva messo in guardia dai pericoli legati all’affermarsi di un sistema capitalistico fondato sulla concorrenza sfrenata e sulla concentrazione monopolistica della ricchezza.
Amintore Fanfani professore di Storia delle dottrine economiche all’Università Cattolica di Milano dove ottenne la cattedra nel 1936