Benedetto XV, Sturzo e il Partito popolare italiano
Padre Giovanni Sale ricostruisce la breve e intensa storia del Partito popolare italiano, anche alla luce del rapporto tra don Luigi Sturzo e Benedetto XV, il «piccolo Papa», sospettato, quando era monsignore, di «modernismo sociale»
di Davide Malacaria
Giovanni Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Jaca Book, Milano 2006, 277 pp., euro 21,00
Tra i tanti motivi di questa benevola predisposizione nei confronti del Ppi l’autore sottolinea come tale novità politica, agli occhi del Papa e del suo segretario di Stato, cardinal Pietro Gasparri, ponesse fine alle ambiguità del cosiddetto clerico-moderatismo simboleggiato dal Patto Gentiloni. Infatti tale Patto non poteva evitare che i candidati votati dai cattolici, una volta eletti, tradissero il “contratto”, cosa che puntualmente avvenne. Ma soprattutto, in seguito al Patto, era accaduto quello che scriveva il vescovo di Treviso in una missiva diretta al cardinal Gasparri, nella quale, sintetizza Sale, il presule lamentava «l’eccessiva ingerenza dell’autorità ecclesiastica in materia politica [...], quando le curie vescovili erano divenute, con scandalo di molti, vere e proprie agenzie elettorali e i vescovi considerati alla stregua di grandi elettori (p. 33)»
Infine nella nascita del Ppi l’autorità ecclesiastica riscontrava un’ulteriore, e forse decisiva, novità positiva, ovvero che il Partito popolare, a differenza della Democrazia cristiana di Murri, si presentasse come “aconfessionale”, distinguendo il proprio campo di azione da quello della gerarchia ecclesiastica e dell’Azione cattolica. In effetti, e qui sta il punto nodale, per la gerarchia cattolica era fondamentale che, nei confronti dello Stato, le questioni di stretta competenza ecclesiastica fossero trattate esclusivamente dal papa o, per lui, dalla diplomazia vaticana. Così in Vaticano non poteva non risultare gradito il fatto che il Ppi si presentasse come partito di cattolici, ma allo stesso tempo rivendicasse la propria “aconfessionalità”. E fu proprio sulla “aconfessionalità” del Partito che furono combattute le più aspre battaglie interne, in particolare al primo Congresso, quello di Bologna, quando il nucleo del Ppi milanese, che ruotava attorno a padre Gemelli, presentò un ordine del giorno contrario a quella impostazione. Uscita sconfitta dal Congresso, la linea favorevole alla confessionalità del Partito e alla riduzione dello stesso a propaggine dei desiderata del Vaticano portò alla nascita di un’ala destra nel Ppi, che cercò in ogni modo l’appoggio del segretario di Stato e, quindi, dello stesso Benedetto XV. In realtà la diplomazia d’Oltretevere, nonostante non mancasse di intrattenere ottimi rapporti con questi ambienti, nel tentativo di aumentare la propria influenza nel Partito, non arrivò mai a sconfessare l’opera di don Luigi. Al contrario, invece, manifestò la sua disapprovazione all’ipotesi, nata sempre a margine dell’ala destra del Ppi, di fondare un partito confessionale che affiancasse quello sturziano. Non solo. In diverse occasioni, il Vaticano cercò anche di mettere in guardia questi ambienti conservatori dalle infiltrazioni dei circoli “integristi”, provenienti da quel composito mondo che in passato aveva combattuto il modernismo, il più attivo dei quali era quello che aveva come fulcro monsignor Umberto Benigni, approdato in seguito nella “polizia politica” del regime fascista (p. 87).
Se però il Ppi riuscì a resistere alle sirene della destra interna, nulla poté contro il pericolo esterno proveniente dal fascismo, del quale pure aveva individuato e denunciato il carattere violento e repressivo. Ritenendola un ostacolo a un rapporto diretto con il Vaticano – con il quale giudicava indispensabile raggiungere l’accordo per acquisire un consenso di massa – Mussolini cercò in tutti i modi di far fuori la creatura di Sturzo. Vi riuscì, ma quel che era nato in quegli anni sopravvisse alla caduta del suo regime.
Certo le cause della fine del Ppi sono tante e complesse, quante forse quelle dell’ascesa al potere del regime fascista. Piace però riportare quanto evidenzia a questo proposito padre Sale, ovvero la coincidenza cronologica tra la morte di Benedetto XV e la fine della parabola storica del Ppi, come a sottolineare, ancora una volta, la piena sintonia, in quel tormentato frangente storico, tra papa Benedetto XV e don Luigi.
Con un volume agile, di facile lettura, padre Sale riesce ancora una volta a tirar fuori dagli archivi della Civiltà Cattolica cose nuove e cose vecchie e a esporle con la consueta chiarezza.