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STORIA
tratto dal n. 06 - 2006

Benedetto XV, Sturzo e il Partito popolare italiano


Padre Giovanni Sale ricostruisce la breve e intensa storia del Partito popolare italiano, anche alla luce del rapporto tra don Luigi Sturzo e Benedetto XV, il «piccolo Papa», sospettato, quando era monsignore, di «modernismo sociale»


di Davide Malacaria


Giovanni Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Jaca Book, Milano 2006, 277 pp., euro 21,00

Giovanni Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Jaca Book, Milano 2006, 277 pp., euro 21,00

È il 18 gennaio del 1919 quando, da una stanza dell’albergo Santa Chiara a Roma, viene diffuso l’appello «A tutti gli uomini liberi e forti», atto di fondazione del Partito popolare italiano. A presiedere la “piccola Costituente” romana, che darà forma all’intuizione politica di don Luigi Sturzo, è il «conte Carlo Santucci, avvocato rotale, amico personale del segretario di Stato cardinal Gasparri». Così, fin dalle prime pagine, l’ultimo libro di Giovanni Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, mette a fuoco quello che sarà il grande problema attorno al quale ruota la breve e pur intensa storia del Partito popolare italiano, ovvero il rapporto con la gerarchia cattolica e il Vaticano. Padre Sale, redattore delle pagine “storiche” della Civiltà Cattolica, grazie all’archivio della rivista dei Gesuiti riesce a illuminare in maniera nuova quel rapporto, fatto di distanze e vicinanze, di attesa e di prudenza. In particolare l’autore del libro si sofferma, come fattore di importanza decisiva per comprendere la genesi del Ppi, sul rapporto tra i modernisti e Benedetto XV. A questo proposito Sale accenna al periodo in cui il futuro Papa, al secolo Giacomo Della Chiesa, lavorando alla Segreteria di Stato, aveva manifestato simpatia per la Democrazia cristiana del modernista Romolo Murri. Per questo motivo monsignor Della Chiesa fu «sospettato di “modernismo sociale” dal partito conservatore della Curia, allontanato dalla Segreteria di Stato e inviato a Bologna come arcivescovo» (p. 21), dove attese otto anni prima di ricevere la berretta rossa. Asceso al soglio di Pietro, secondo la ricostruzione di padre Sale, Benedetto XV seguì con attenzione la gestazione della creatura di don Luigi e, pur non manifestando mai esplicitamente il suo sostegno al sacerdote di Caltagirone, si attestò su una linea attendista che, nel linguaggio proprio della diplomazia vaticana, appariva tacita approvazione. Tanto che don Luigi, scrive Sale, «conservò per tutta la vita un buon ricordo e un sentimento di riconoscenza per quel “piccolo Papa” coraggioso, che non aveva intralciato, anzi in qualche modo aveva incoraggiato la nascita del primo partito politico di cattolici in Italia (p. 31)».
Tra i tanti motivi di questa benevola predisposizione nei confronti del Ppi l’autore sottolinea come tale novità politica, agli occhi del Papa e del suo segretario di Stato, cardinal Pietro Gasparri, ponesse fine alle ambiguità del cosiddetto clerico-moderatismo simboleggiato dal Patto Gentiloni. Infatti tale Patto non poteva evitare che i candidati votati dai cattolici, una volta eletti, tradissero il “contratto”, cosa che puntualmente avvenne. Ma soprattutto, in seguito al Patto, era accaduto quello che scriveva il vescovo di Treviso in una missiva diretta al cardinal Gasparri, nella quale, sintetizza Sale, il presule lamentava «l’eccessiva ingerenza dell’autorità ecclesiastica in materia politica [...], quando le curie vescovili erano divenute, con scandalo di molti, vere e proprie agenzie elettorali e i vescovi considerati alla stregua di grandi elettori (p. 33)»
Infine nella nascita del Ppi l’autorità ecclesiastica riscontrava un’ulteriore, e forse decisiva, novità positiva, ovvero che il Partito popolare, a differenza della Democrazia cristiana di Murri, si presentasse come “aconfessionale”, distinguendo il proprio campo di azione da quello della gerarchia ecclesiastica e dell’Azione cattolica. In effetti, e qui sta il punto nodale, per la gerarchia cattolica era fondamentale che, nei confronti dello Stato, le questioni di stretta competenza ecclesiastica fossero trattate esclusivamente dal papa o, per lui, dalla diplomazia vaticana. Così in Vaticano non poteva non risultare gradito il fatto che il Ppi si presentasse come partito di cattolici, ma allo stesso tempo rivendicasse la propria “aconfessionalità”. E fu proprio sulla “aconfessionalità” del Partito che furono combattute le più aspre battaglie interne, in particolare al primo Congresso, quello di Bologna, quando il nucleo del Ppi milanese, che ruotava attorno a padre Gemelli, presentò un ordine del giorno contrario a quella impostazione. Uscita sconfitta dal Congresso, la linea favorevole alla confessionalità del Partito e alla riduzione dello stesso a propaggine dei desiderata del Vaticano portò alla nascita di un’ala destra nel Ppi, che cercò in ogni modo l’appoggio del segretario di Stato e, quindi, dello stesso Benedetto XV. In realtà la diplomazia d’Oltretevere, nonostante non mancasse di intrattenere ottimi rapporti con questi ambienti, nel tentativo di aumentare la propria influenza nel Partito, non arrivò mai a sconfessare l’opera di don Luigi. Al contrario, invece, manifestò la sua disapprovazione all’ipotesi, nata sempre a margine dell’ala destra del Ppi, di fondare un partito confessionale che affiancasse quello sturziano. Non solo. In diverse occasioni, il Vaticano cercò anche di mettere in guardia questi ambienti conservatori dalle infiltrazioni dei circoli “integristi”, provenienti da quel composito mondo che in passato aveva combattuto il modernismo, il più attivo dei quali era quello che aveva come fulcro monsignor Umberto Benigni, approdato in seguito nella “polizia politica” del regime fascista (p. 87).
Se però il Ppi riuscì a resistere alle sirene della destra interna, nulla poté contro il pericolo esterno proveniente dal fascismo, del quale pure aveva individuato e denunciato il carattere violento e repressivo. Ritenendola un ostacolo a un rapporto diretto con il Vaticano – con il quale giudicava indispensabile raggiungere l’accordo per acquisire un consenso di massa – Mussolini cercò in tutti i modi di far fuori la creatura di Sturzo. Vi riuscì, ma quel che era nato in quegli anni sopravvisse alla caduta del suo regime.
Certo le cause della fine del Ppi sono tante e complesse, quante forse quelle dell’ascesa al potere del regime fascista. Piace però riportare quanto evidenzia a questo proposito padre Sale, ovvero la coincidenza cronologica tra la morte di Benedetto XV e la fine della parabola storica del Ppi, come a sottolineare, ancora una volta, la piena sintonia, in quel tormentato frangente storico, tra papa Benedetto XV e don Luigi.
Con un volume agile, di facile lettura, padre Sale riesce ancora una volta a tirar fuori dagli archivi della Civiltà Cattolica cose nuove e cose vecchie e a esporle con la consueta chiarezza.


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