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ITALIA
tratto dal n. 07/08 - 2006

Un appello al dialogo del presidente emerito della Commissione nazionale di bioetica

La ricerca scientifica tra libertà e responsabilità


Il rapporto tra il grande sviluppo della scienza e il suo inquadramento in temi etici, secondo i quali non è automaticamente lecito tutto ciò che è possibile. Le conquiste della ricerca scientifica che non possono essere asservite al mercato e a beneficio solo dei Paesi ricchi


di Adriano Ossicini


Un laboratorio di biotecnologie

Un laboratorio di biotecnologie

Non è a caso che in certi momenti storici alcuni temi di fondo divengano prevalenti, talvolta in modo così tumultuoso da rendere non facile la soluzione dei problemi.
Viviamo in una realtà storica molto complessa e, per alcuni aspetti, drammatica, nella quale, indubbiamente, ci si deve domandare se il concetto di progresso sia qualcosa di puramente utopistico. Infatti lo sviluppo delle scienze, delle tecnologie, della cultura, delle relazioni sociali, e la libertà che abbiamo conquistato con grande difficoltà (in un secolo, per molti aspetti, drammatico) non ci mettono al riparo da conflitti endemici e da condizioni di vita che dividono il mondo in due realtà terribilmente distanti tra loro.
Eppure la scienza ha fatto straordinari progressi, in particolare nel campo medico. Dovremmo avere strumenti ottimali per promuovere condizioni accettabili nelle relazioni umane. Dovremmo renderci conto di tante terribili contraddizioni e cercare le soluzioni possibili. Si rende necessario valutare perché ormai, superati i pur difficili equilibri di potere, il mondo vada avanti senza freni sotto il primato del mercato e del profitto.
Si ripropone la necessità di raccogliere la sfida del marxismo (anche se le soluzioni adottate si rivelarono sbagliate), la sfida, cioè, della inaccettabilità di una realtà sociale nella quale vi sono livelli di povertà tali da impedire che esistano decorosi livelli di giustizia.
Ora, non c’è dubbio che una ripresa di temi etici, che in momenti drammatici del secolo passato guidarono le politiche di liberazione dalle dittature e dall’imperialismo, è assolutamente necessaria.
Ma c’è un altro tema di fondo: quello del rapporto tra etica e rivoluzione scientifica, ossia il rapporto fra il grande sviluppo della scienza e il suo inquadramento in temi etici, secondo i quali non è automaticamente lecito tutto ciò che è possibile nella ricerca e, oltretutto, non è lecito che le conquiste della ricerca scientifica rimangano privilegio di pochi.
È noto (e a questo mi riferisco per un discorso il più possibile sistematico) come la scienza, in questi ultimi tempi, abbia affrontato in modo rivoluzionario problemi decisivi della condizione umana, dal momento della fecondazione al momento della morte. Li ha affrontati con straordinarie possibilità di avanzamento sul piano clinico e su quello della conoscenza, ma anche con il grande rischio di minare la libertà della persona umana alla radice dei suoi diritti fondamentali, dei quali essa in nessun modo può essere espropriata.
Proprio a partire dalla necessità di un raccordo fra scienza ed etica sono progressivamente sorti in tutto il mondo, anche se in varie forme, i Comitati di bioetica e, contemporaneamente al loro sviluppo, sono venuti alla luce interrogativi, proposte, rischi di fughe nell’irrazionale e desideri di sottoporre le conquiste scientifiche esclusivamente alle leggi del mercato.
Si può essere credenti o no, ma non si può ritenere occasionale che sui temi della bioetica i richiami della Chiesa cattolica siano sempre più pressanti, e che, seppure in vario modo, tutte le posizioni religiose o ideali, filosofiche o teologiche si trovino di fronte a interrogativi fondamentali.
Vorrei fare alcune osservazioni preliminari che mi derivano, da un lato, dalla mia esperienza scientifica proprio nel campo della bioetica e, dall’altro, dall’essere, fin dalla sua fondazione, prima presidente e poi presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica.
Cerchiamo innanzitutto di definire, nei limiti del possibile, cosa si intende oggi per bioetica.
Ricostruire l’origine della bioetica significa comprendere perché in essa il concetto – del tutto moderno – di responsabilità assume un ruolo paradigmatico e cruciale. Paradigmatico, in quanto per un’etica che si fondi sulla capacità di decidere e di scegliere per sé e per gli altri, la responsabilità è garanzia del rispetto di tutti i soggetti che da tali decisioni e da tali scelte saranno influenzati. Cruciale, in quanto proprio il definire chi – a livello individuale, ma ancor più collettivo – possa e debba essere ritenuto responsabile, è il vero nodo da sciogliere.
Oggi occorre, nel valutare le decisioni e le scelte (soprattutto a livello collettivo), prendere in considerazione i loro effetti nei tempi lunghi (si pensi, ad esempio, alla responsabilità nei confronti delle generazioni future), il loro sovrapporsi ad altre decisioni che possano contrastarne o potenziarne gli effetti, il loro favorire o meno il consolidarsi di tendenze e dinamiche collettive irrazionali, troppo spesso eticamente dubbie se non francamente illecite.
Il modo di definire e di esercitare la responsabilità è mutato del resto anche all’interno dei rapporti interpersonali. Si è modificato il modo di gestire la maternità e la paternità, di concepire il dovere professionale, di esprimere e praticare la solidarietà, di accettare il confronto e l’integrazione con etnie e culture profondamente diverse dalla nostra. Ciò ha investito anche, naturalmente, il rapporto medico-paziente. Ma certi elementi etici di fondo della condizione umana non mutano.
Oggi non è sufficiente, infatti, l’etica medica tradizionale, tesa a regolare i rapporti tra medico e paziente all’interno di un contesto (il contesto terapeutico, appunto) sul quale poco o nulla aveva da dire chi fosse al di fuori di esso e che, del resto, era pressoché autosufficiente in una società in cui la medicina era vissuta e praticata come un sapere tramandato che non poteva essere trasformato, se non in modo del tutto parziale, dall’evoluzione scientifica e tecnologica.
Alla bioetica è delegato, in ultima analisi, il compito di riesaminare criticamente le condizioni complessive di vita – la vita di noi tutti – per come esse sono influenzate dalla tecnologia medica e, nel contempo, di esplicitare l’interdipendenza attuale tra ricerca scientifica, applicazione tecnologica, allocazione delle risorse economiche destinate alla salute, regolamentazione legislativa, rispetto dell’area privata dell’esistenza individuale.
Solo la bioetica, infatti, può avere la duttilità concettuale e la naturale vocazione all’interdisciplinarità necessarie in un contesto sociale che sta faticosamente tentando l’impresa di individuare una cultura comune, all’interno della quale sia possibile gestire un chiaro e franco contrasto e un possibile accordo tra visioni etiche sempre più differenziate.
Una mamma assiste il figlio malato di Aids nell’ospedale 
di Chiradzulu, in Malawi

Una mamma assiste il figlio malato di Aids nell’ospedale di Chiradzulu, in Malawi

Ma la bioetica ha soprattutto il compito di inquadrare lo sviluppo della scienza in limiti etici condivisibili. Lo straordinario sviluppo della scienza ha infatti favorito una divulgazione spesso acritica, disinformata o legata a logiche di mercato, in base alla quale l’opinione pubblica è stata spesso disorientata. E, cosa ancor più grave, sull’onda dell’emotività o sulla base di interessi economici, in sede amministrativa e politica sono state prese decisioni difformi o addirittura contrarie agli approdi di una scienza inquadrata, appunto, in termini bioetici. La stessa libertà di ricerca, assolutamente necessaria, viene spesso invocata a sproposito di fronte a ipotesi che non hanno alcuna reale prospettiva scientifica e che spesso sono legate a posizioni ideologiche o a interessi di mercato.
Non c’è dubbio che il progresso ha sempre dovuto pagare i suoi pedaggi. Ma è anche chiaro che proprio il sorgere dei Comitati di bioetica sottolinea, a livello formale, un dato sostanziale: la libertà di ricerca scientifica è subordinata a dettami di carattere etico e il possibile non coincide sempre con il lecito. Prendendo come esempio un caso limite, non è da escludere che nei drammatici esperimenti tentati nei lager nazisti potessero anche esserci delle prospettive scientifiche, ma, ciò nonostante, una loro liceità era assolutamente improponibile. In sostanza, è necessario studiare regolamenti e leggi sulla materia e produrre strumenti di informazione il più possibile svincolati dalle deformazioni per ignoranza o per interessi.
Una materia scientifica complessa e in continuo sviluppo non può essere, oltretutto, oggetto di quelle larghe forme di intervento, seppure necessarie, che la democrazia propone in molte altre materie della dinamica sociale. Se si fosse fatto un referendum, a suo tempo, fra Galileo Galilei e Roberto Bellarmino, la sconfitta di Galilei sarebbe stata cocente.
È chiaro che l’inquadramento etico è complesso perché deve tener conto anche della molteplicità delle posizioni religiose, filosofiche e ideali. Ma la cosa è possibile e realizzabile. La Costituzione italiana è un esempio di come si possano raggiungere, su temi che hanno anche un valore etico, accordi fondamentali sulla base di un serio dialogo. Il problema rimane legato a una chiarezza di impostazione e di compiti. La scienza (e solo la scienza) può controllare dall’interno la realtà delle prospettive della ricerca stessa.
Il Comitato nazionale di bioetica ha prodotto documenti di straordinario interesse, frutto della collaborazione tra scienziati delle più diverse discipline e dei più vari orientamenti. Ventotto sono stati i testi approvati negli ultimi quattro anni su temi fondamentali, e quasi tutti all’unanimità. Troppo spesso le decisioni di questo Comitato sono state ignorate. Addirittura, in sede amministrativa o legislativa, sono state prese decisioni discordanti con gli approdi del Comitato. Più volte sono stato chiamato, in sede parlamentare, in udienze conoscitive o in colloqui informali su scottanti temi di bioetica, ma con risultati troppo spesso deludenti.
Le ricerche e gli approdi raggiunti in Italia e nel mondo in campo bioetico devono porsi alla base dei provvedimenti istituzionali. Siamo infatti di fronte a un paradosso: se da un lato la scienza ha raggiunto obiettivi fondamentali, dall’altro, per ragioni di carattere economico e politico, molto spesso delle sue conquiste milioni di persone non possono fruire. Più che delle fughe in avanti su ricerche ipotetiche, che spesso sono solo il prodotto della disinformazione, è di fondamentale importanza che tutti possano fruire di tante conquiste della scienza. Milioni di esseri umani, specialmente bambini, muoiono perché non gli è possibile usufruire di tali conquiste, avvenute talvolta addirittura da decenni. La prima grande libertà della scienza è quella di essere svincolata dal profitto e da ogni forma di strumentalizzazione; la seconda grande libertà è quella di avere fondi sufficienti alla ricerca.
Purtroppo, il campo d’azione della libertà non tiene più conto, come esemplarmente diceva Guido Calogero, di quel limite che permette anche agli altri di essere liberi come noi. C’è un modo distorto di esercitare la libertà che coincide con l’affermazione di sempre più terribili forme di relativismo morale.
L’ecosistema sta subendo drammatiche forme di distruzione che sconteranno i nostri figli, ma i rimedi che la scienza da tempo propone non vengono attuati perché si scontrano con interessi economici di parte, difesi in modo determinante e drammatico.
In questo quadro di relativismo morale è chiaro che è difficile accettare la grande lezione del Vangelo riassumibile emblematicamente nel Discorso della montagna, nel Discorso delle beatitudini, basato sulle grandi “contraddizioni” che la morale ci propone di affrontare a favore della libertà dell’altro fino al precetto di amare il nemico.
In un mondo nel quale fin da prima della nascita sono messi in crisi i diritti dell’altro e i problemi etici di fondo riguardanti il vivere e il morire sono sottoposti ai rischi di dinamiche sociali inaccettabili e di altrettanto inaccettabili deformazioni scientifiche, è certo comprensibile l’insistenza – direi, in qualche modo, l’affanno – che ha la Chiesa cattolica su questi grandi temi.
Il relativismo morale fa cadere tutte le barriere e a coloro che ci accusano di porre limiti alla ricerca scientifica e alla libertà individuale, va ricordato che senza limiti etici non esiste convivenza umana e che su questa strada si sta arrivando in molti Paesi a soluzioni inaccettabili sia sul piano etico che su quello scientifico.
Quanta psicoanalisi, troppo spesso “maltrattata”, è oggi riproposta contro la negazione alla radice della fondamentale e ineludibile diversità dei ruoli psicologici e biologici nelle relazioni umane? A quali drammatici scenari ci porterà il relativismo morale in campo bioetico?
Proprio in questi giorni il Tribunale dell’Aia ha dichiarato legittimo un partito politico – nato proprio in un Paese di grande tradizione democratica come l’Olanda – che chiede la legalizzazione della prostituzione infantile e della pedopornografia.
Non vorrei che questa mia insistenza sulla fondamentale importanza dei temi della bioetica fosse interpretata come una deformazione professionale.
Pure avendo vissuto la mia esperienza lavorativa come clinico, come scienziato nel campo delle neuroscienze – in particolare nel settore della terapia dell’infanzia – e come didatta nel campo della psicologia, ho anche avuto una lunga esperienza parlamentare e mi sono reso conto di quanto sia importante, oggi, assumere posizioni anche sul piano legislativo che ci difendano dai drammi che possono essere prodotti da uno sviluppo tecnologico e scientifico sganciato da un sostanziale inquadramento etico. Credo che, pur nei suoi limiti, una lunga testimonianza in questo campo giustifichi il mio grido d’allarme nella speranza che esso sia raccolto, perché si trovi quello spirito di concordia e di incontro sui temi etici che fu l’elemento fondamentale della grande stagione costituente del nostro Paese.


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