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RITRATTI DEI SEGRETARI DI...
tratto dal n. 09 - 2006

Fedele interprete della volontà del papa


Questo voleva essere Pietro Gasparri, l’insigne canonista che guidò la Segreteria di Stato con i papi Benedetto XV e Pio XI. Dalla tragedia della Grande guerra alla soluzione dell’annosa Questione romana


di Giuseppe Sciacca, Uditore di Rota


Pochi giorni prima che si spegnesse, al Congresso giuridico internazionale che si celebrò a Roma nel novembre del 1934, il cardinale Pietro Gasparri tenne una relazione, un vero e proprio canto del cigno, sulla genesi e sul ruolo ch’egli aveva avuto nella codificazione del diritto canonico: fu un discorso mirabile, doppiamente eloquente, rivelatore. Chiunque, «anche senza aver mai avuto notizia di lui, fosse andato ad ascoltarlo» – poté scrivere Filippo Crispolti nell’efficace ritratto del Gasparri che inserirà nel suo fortunato Corone e porpore del 1937 – «avrebbe potuto non solo aver pieno lume sul tema svolto, ma farsi un’idea dell’uomo che lo svolgeva. Anche in pagine strettamente storico-giuridiche, il cardinale aveva lasciato il segno della particolare indole propria, nella quale aveva tanta parte l’aborrimento per ogni convenzionalità. Quando disse che nonostante i grandi meriti di Leone XIII, sotto quest’ultimo la grande impresa non si sarebbe potuta condurre, si vide chiaro che al suo franco giudizio non voleva mettessero gli usuali ostacoli, né la porpora, né il breve tempo dalla morte d’un tal Papa. Quando riferì che un insigne canonista, l’eminentissimo Gennari, nel suggerire a Pio X d’affidare il gravissimo compito direttivo al Gasparri stesso, aveva aggiunto che in tal modo il grande lavoro sarebbe in ottime mani, si vide chiaro che la modestia, nelle forme stereotipate e screditate, non era fatta per lui».
Nello sfondo, la Basilica 
di San Pietro e il Vaticano 
in una foto degli anni Venti; un ritratto del cardinale Pietro Gasparri e un’immagine della Prima guerra mondiale

Nello sfondo, la Basilica di San Pietro e il Vaticano in una foto degli anni Venti; un ritratto del cardinale Pietro Gasparri e un’immagine della Prima guerra mondiale

Ma c’è ancora una notazione del Crispolti, celebre scrittore giornalista che aveva personalmente conosciuto il cardinale, che merita di essere riferita, quasi introduzione ed epigrafe al breve profilo che del cardinale ci accingiamo a delineare: «Che il suo applauditissimo discorso in articulo mortis lo avesse riguardato come codificatore del diritto canonico e non come segretario di Stato di due pontefici, fu cosa arcanamente logica. Nelle età venture» concludeva «la sua gloria più certa e più chiara sarà quella».
Era un’intuizione acutissima, che gli anni avvenire, con quanto di più significativo sarebbe stato scritto intorno alla figura del Gasparri, avrebbero pienamente confermato.

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Pietro Gasparri proveniva da una patriarcale famiglia marchigiana di Ussita, alquanto benestante, dedita alla pastorizia: «Io ebbi i natali il 5 maggio 1852, in Capovallazza, uno dei villaggi che formano il comune di Ussita, situato nella provincia di Macerata, diocesi di Norcia, in mezzo ai monti Sibillini, a circa 750 metri sul livello del mare. Aria salubre, visuale alpestre incantevole, popolazione sana, industriosa, onesta; famiglia numerosa e particolarmente numerose le famiglie Gasparri», scrive egli nelle sue Memorie, non celando un orgoglioso attaccamento alla sua terra e alle sue origini.
Si formò nel Seminario romano dell’Apollinare, dove ebbe maestri di Diritto canonico Filippo De Angelis e Francesco Santi, poi uditore di Rota, due tra i migliori canonisti italiani del tempo.
Vi era entrato nel settembre del 1870 – presentato dall’economo, un beneficiato di San Pietro, monsignor Giovanni Moroni, che villeggiava a Ussita – dopo aver studiato, ma solo per pochi anni, nel Seminario di Nepi, «luogo rimastogli carissimo», per testimonianza di Giuseppe De Luca, che del cardinale udì e raccolse confidenze e ricordi per una biografia che, nonostante autorevoli sollecitazioni e insistenze, poi non avrebbe scritto. (Ma gli dedicherà due articoli sulla Nuova Antologia: Memoria di Pietro Gasparri e Discorrendo col cardinal Gasparri (1930), rispettivamente nel 1934 e nel 1936).
«Gasparri arrivò a Roma» scrive Vittorio De Marco nel suo interessante Contributo alla biografia del cardinal P. Gasparri «appena due mesi dopo la breccia di Porta Pia, in un clima quindi surriscaldato. […] L’offesa a Pio IX era recentissima […] Roma non era più del Papa […]. La “Questione romana”, affacciatasi come grosso problema già all’indomani della costituzione del Regno d’Italia, assumeva ora una dimensione completamente nuova e più grave in quanto la “rivoluzione liberale” aveva travolto lo stesso cuore della cattolicità e spezzato lo scettro temporale del successore di Pietro. Il giovane Gasparri non avrebbe potuto certo immaginare che, “console” un altro Pio, sarebbe stato proprio lui, quasi sessant’anni dopo, a chiudere definitivamente e formalmente la Questione romana».
«Il problema della Questione romana» continua De Marco «Gasparri se lo porterà dietro e dentro consciamente o meno per oltre cinquant’anni, avendone ascoltato di persona i primi vagiti. E il suo non sarà mai un intransigentismo gratuito, solo perché tutti tra ecclesiastici e cattolici si doveva essere tali; fu mediato dalla sua intelligenza giuridica e da quel senso, per così dire, della Realpolitik che era probabilmente già insito nel suo carattere e che le responsabilità diplomatiche successive avrebbero meglio messo in luce».
Quale e quanta fosse la stima di cui il Gasparri godette nel Seminario romano, ove ebbe tra i compagni i futuri cardinali Domenico Svampa, Gaetano De Lai, G. B. Callegari e Benedetto Lorenzelli, lo prova l’incarico di professore supplente di Teologia sacramentaria – la medesima cattedra che sarebbe stata tenuta, alcuni decenni dopo, da Domenico Tardini, anch’egli futuro segretario di Stato – e di Storia ecclesiastica, conferitogli ancor prima di completare gli studi: ma quando conseguirà la laurea in utroque iure, a pieni voti, l’11 agosto del 1879, era già sacerdote, essendo stato ordinato il 31 marzo del 1877 nella Basilica Lateranense dal cardinal vicario Raffaele Monaco La Valletta.
Da lì a qualche anno, il Gasparri inizierà il suo quasi ventennale insegnamento del Diritto canonico nella facoltà di Teologia dell’Institut Catholique di Parigi, ma è qui da ricordare il precedente periodo trascorso accanto al cardinale Teodulfo Mertel, l’ultimo porporato che non aveva mai ricevuto l’ordinazione sacerdotale, figlio di un panificatore tedesco venuto nello Stato Pontificio, ad Allumiere, e che aveva sposato una giovane del luogo: il Mertel fu dapprima uditore di Rota, poi ministro dello Stato pontificio e infine cardinale prefetto della Segnatura apostolica, e di lui il giovane Gasparri fu segretario e cappellano subito dopo l’ordinazione sacerdotale: il che costituì certamente un’esperienza importante nella sua maturazione giuridica e politica.
«Io, a tutt’altro pensavo» scrive il Gasparri nelle sue Memorie «che all’Istituto Cattolico di Parigi, quando nei primi mesi estivi del 1879 giunse a Roma il cardinal Langelieux, arcivescovo di Reims, uno dei principali fondatori dell’Istituto. Mi fece avvertire che desiderava parlarmi; mi recai presso di lui e mi offrì la cattedra di Diritto canonico…».
Il Gasparri dovette superare non poche perplessità, e gli spiaceva dover lasciare Roma, e inoltre «il ricordo della Comune di Parigi era fresco, io non conoscevo una parola di francese e non ero mai uscito dalla mia piccola cerchia».
A Parigi rimase fino al 1897, ma l’insegnamento, nel quale, per unanime riconoscimento di contemporanei e biografi, prodigò un impegno straordinario, e che ampia fama gli procurò di canonista aperto al nuovo, non lo assorbì del tutto: fu collaboratore, ancorché non assiduo, della rivista Le Canoniste contemporaine; s’interessò costantemente, invece, dell’Opera di assistenza degli emigrati italiani, divenendone direttore e assicurando un puntuale servizio pastorale, che gli consentì di dar prova di autentico zelo sacerdotale; prese parte attiva ai circoli dell’Accademia di San Raimondo de Peñafort, segno di quanto a cuore gli stesse la promozione della conoscenza e dello studio del Diritto canonico; si trovò infine impegnato nella nota, vivace controversia teologico-canonica sorta intorno al valore delle ordinazioni sacre conferite secondo l’Ordinal anglicano, per la quale scrisse e pubblicò un opuscolo, fra i suoi meno conosciuti, De la valeur des ordinations anglicanes (Parigi 1895). «In linea con il suo Tractatus canonicus de sacra ordinatione del 1893, il Gasparri sostiene che Gesù Cristo ha istituito il sacramento dell’ordine non solo in genere ma anche in specie, col determinarne sia la materia sia la forma sacramentale; accertata una conformità dei riti quoad substantiam, essi risultano tutti, in via di principio, sufficienti per l’ordinazione; tuttavia, esaminando in via di fatto, l’Ordinal anglicano, esso appare al Gasparri difettoso riguardo all’intenzione e insufficiente riguardo ai riti». Così Carlo Fantappié nel Dizionario biografico degli Italiani, ad vocem.
Circa la questione delle ordinazioni anglicane, il Gasparri, in verità, in un primo momento sembrava propendere per la loro validità. Modificò il suo orientamento grazie a più approfondite acquisizioni storiografiche. Leone XIII con l’enciclica Ad Anglos del 1895 pose fine alla questione, dichiarando la non validità.
Monsignor Gasparri a Ussita con i suoi fratelli, tra i quali vi è Luigi,  il primo in piedi a destra, padre del cardinale Enrico Gasparri

Monsignor Gasparri a Ussita con i suoi fratelli, tra i quali vi è Luigi, il primo in piedi a destra, padre del cardinale Enrico Gasparri

Ma il Gasparri soprattutto attese alla pubblicazione di fondamentali trattati di diritto canonico. Nel 1891 pubblicò il De matrimonio – onorato da una lettera gratulatoria latina di papa Pecci – «il più importante e il più fortunato perché ebbe quattro edizioni successive e fornì, in sostanza, il piano di redazione della materia per il futuro Codex iuris canonici; continuò con il De sacra ordinatione e si chiuse con il De Sanctissima Eucharistia nel 1897. In tutte queste opere il Gasparri offre un’esposizione il più possibile completa e accurata, specialmente per ciò che riguarda l’aggiornamento delle decisioni e delle sentenze delle congregazioni e dei tribunali di Curia, valendosi di materiali da lui raccolti durante i soggiorni estivi a Roma. Pur avendo la loro base nel testo dei corsi, queste opere amplificavano, rimaneggiavano e, soprattutto, introducevano una nuova e diversa concezione della trattazione della materia. Abbandonato il tradizionale ordine delle Decretali, fino ad allora da lui stesso seguito nelle dispense, il Gasparri passava a un ordine logico che, sul modello della teologia scolastica, gli permetteva sia di presentare la complessa e variegata materia giuridica in modo unitario e sufficientemente organico entro lo schema monografico, sia di tentare la risoluzione dei diversi punti ancora controversi mediante il loro costante inquadramento nella loro articolazione sistematica. Si trattò di una scelta metodologica che, nella predilezione del “sistema” e della “tecnica giuridica” come suo collante, poggiava su una rigorosa concezione ideologica di tipo fortemente tridentino ed escludeva ogni contaminazione storica» (Paolo Grossi).

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Il De Sanctissima Eucharistia era ancora fresco di stampa, quando il cardinal Rampolla gli comunicò che Leone XIII lo aveva promosso dall’insegnamento alla Chiesa titolare arcivescovile di Cesarea di Palestina, nominandolo delegato apostolico e inviato straordinario nelle tre repubbliche sudamericane del Perù, Bolivia ed Equatore. Il 6 marzo del 1897, a Parigi, fu ordinato vescovo dal cardinale Richard, suo estimatore e amico.
Il Gasparri era chiamato a svolgere una missione non facile per le particolari condizioni politiche e religiose nelle quali si trovò a dover operare.
Fu un’esperienza breve, di appena tre anni, ma intensa, che gli consentì di appalesare notevolissime, e innate, capacità diplomatiche – espressione della sua mente giuridica, nonché del suo connaturato buon senso – tanto da meritare, al suo ritorno, la nomina a segretario della Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, deputata a curare i rapporti della Chiesa con gli Stati (aprile 1901).
La Segreteria di Stato era diretta dal cardinal Rampolla, e Giacomo della Chiesa era a quel tempo sostituto per gli Affari generali; fra i suoi collaboratori il Gasparri avrebbe chiamato Eugenio Pacelli.
Emergevano già nella impostazione del Gasparri i due orientamenti di fondo che ispireranno l’azione del futuro segretario di Stato: l’adesione alla linea della neutralità politica, e cioè la volontà e insieme lo sforzo di presentarsi ai governanti come «indipendente dai partiti politici e nemico della guerra civile in nome della religione» da una parte; dall’altra, la decisa preferenza per la politica concordataria quale strumento ottimale per garantire l’azione spirituale della Chiesa e limitare le pretese degli Stati.
L’ascesa di Pio X al soglio pontificio (1903) non mancò di operare un fisiologico mutamento di orientamenti – che invero la crisi modernista acuì e in taluni momenti financo drammatizzò – e il conseguente ricambio ai vertici della Segreteria di Stato, a capo della quale, come abbiamo ricordato, era fino a quel momento il cardinale Rampolla.
Scrive infatti il Fantappiè che «la distanza di posizioni, talvolta addirittura il contrasto, tra l’indirizzo del Gasparri, erede della visione politica leonina e rampolliana di apertura della Chiesa alle questioni internazionali e sociali, e l’indirizzo fortemente intransigente e di ripiegamento interno presto assunto da Pio X e dal suo segretario di Stato Merry del Val» non avrebbero forse potuto avere altre conseguenze.
Ebbe, per di più, simpatie moderniste? Qualcuno lo pensò e ancora nel conclave che seguirà alla morte di Benedetto XV, quello dal quale uscirà eletto Pio XI, il sospetto dei cardinali De Lai e Merry del Val, probabilmente, avrà pesato sul Gasparri, contribuendo a precludergli ogni possibilità di elezione. Noto fu il rapporto di amicizia che lo legò a Ernesto Buonaiuti, mai sconfessato, e per taluni fu quella la prova che quel sospetto non era poi così infondato. È comunque certo che il Gasparri non condivise le idee dei modernisti, così come non condivise tutti i metodi adottati per debellare il modernismo. Ebbe a dirlo apertamente, pur sapendo che ciò comportava inevitabilmente l’essere guardato con sospetto, come sostiene Silvio Tramontin, nel suo studio La repressione del modernismo.
Se dunque il decennio compreso fra il 1904 e il 1914 fu un periodo di relativo isolamento, esso risultò tuttavia fecondissimo, interamente dedicato come fu a quell’opera di redazione del Codice di diritto canonico che rimane, all’interno di un’attività vasta e complessa, ricca di meriti, il suo merito più grande.
Già durante il Concilio Vaticano I, trentatré vescovi avevano formulato a Pio IX la richiesta di procedere alla codificazione. Nell’istanza sottopostagli scrissero: «Opus sane arduum; sed quo plus difficultatis habet, eo magis est tanto Pontifice dignum». Ma fu Pio X – che già da cancelliere vescovile di Treviso aveva dimostrato vivo interesse per il Diritto canonico e così da patriarca di Venezia – a dare vita ad un’impresa da taluni ritenuta irrealizzabile o non opportuna. È nota infatti l’esistenza di due scuole canonistiche di parere contrario in ordine alla possibilità di una codificazione: da una parte, infatti – volendo esemplificare le posizioni e far solo qualche nome, e fra i più emblematici – troviamo i gesuiti della Gregoriana (Wernz, Ojetti) che propugnavano il mantenimento dell’ordine delle Decretali, e dall’altra la scuola dell’Apollinare (Sebastianelli, poi decano della Rota, Lombardi, Latini) che, sulla scorta della scuola giuridica laica, sosteneva l’urgenza di una moderna codificazione, che superasse la frammentarietà della legislazione, con tutti i problemi ermeneutici connessi. Il Corpus iuris canonici, infatti, era costituito dall’insieme delle collezioni ufficiali (Decretum Gratiani, Liber Extra, Liber VI, Clementinae, Extravagantes Ioannis XXII, Extravagantes communes) e si era via via arricchito di ulteriori interventi normativi di fonte pontificia e conciliare, nonché dei decreti delle Congregazioni romane e della giurisprudenza rotale. Davvero «immensum aliarum super alias coacervatarum legum cumulum», avrebbe scritto il Gasparri nella prefazione al Codice ripetendo Livio, Obruimur legibus. A ciò avrebbe ovviato un codice esemplato sul modello napoleonico, autentico perché promulgato dal Supremo Legislatore, unico, sistematico, universale, astratto.
Col motu proprio Arduum sane munus fu costituita una commissione cardinalizia “De Ecclesiae legibus in unum redigendis”, di cui il Gasparri fu nominato segretario. A questa venne affiancato un ceto di consultori, presieduto da monsignor Gasparri. Onde sveltire il lavoro lo stesso Gasparri costituì due commissioni particolari per materie distinte, ciascuna delle quali contava una decina di membri: una si riuniva al giovedì mattina, l’altra al mattino della domenica. Eugenio Pacelli collaborava con il Gasparri, e quando questi nel 1907 fu da Pio X creato cardinale, quale segretario della commissione cardinalizia, si succedettero prima monsignor Scapinelli e poi lo stesso monsignor Pacelli. Ai consultori era affidato il compito di esaminare il testo dei canoni proposti dalle due commissioni particolari. Il tutto, passato al vaglio dal Gasparri, veniva infine esaminato dalla commissione cardinalizia. E fu su proposta del Gasparri che, nel 1912, papa Sarto stabilì che tutto il lavoro già approvato dalla commissione cardinalizia venisse inviato a tutti coloro che normalmente vengono convocati in Concilio ecumenico perché esprimessero il loro giudizio e le loro osservazioni.
Alla morte di Pio X ascese al soglio pontificio Giacomo Della Chiesa, col nome di Benedetto XV, vecchio amico e collega di Gasparri, appartenente alla stessa generazione leonina, che lo nominò segretario di Stato dopo la morte del cardinal Domenico Ferrata, rimasto in carica appena un mese. Era il 13 ottobre del 1914: completata la redazione dell’ultimo libro del Codex iuris canonici predisposta dal Gasparri la bozza della sua promulgazione (prevista per il l° gennaio del 1915, ma per diversi motivi, inclusa la guerra, slittata, come è noto, al 27 maggio 1917, con la costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia) –, l’opus sane arduum era finalmente compiuto.
Monsignor Gasparri, arcivescovo titolare di Cesarea di Palestina e delegato apostolico delle Repubbliche di Perù, Bolivia ed Ecuador

Monsignor Gasparri, arcivescovo titolare di Cesarea di Palestina e delegato apostolico delle Repubbliche di Perù, Bolivia ed Ecuador

Dal 1923 al 1932 avrebbe atteso alla pubblicazione dei Fontes in sei tomi, poi completata dal cardinal Giustiniano Seredi, primate d’Ungheria. D’ora in avanti, la direzione della Segreteria di Stato lo terrà impegnato per oltre un quindicennio, poiché il successore di Benedetto XV lo confermerà nella carica il 6 febbraio 1922. Si è scritto che durante gli anni della guerra, ma si potrebbe dire altrettanto per gli anni che seguirono e per l’intero pontificato, «il Gasparri appare fondamentalmente un fedele esecutore degli indirizzi di Benedetto XV, sia di quelli a carattere umanitario, sia di quelli più specificamente politici» (Romeo Astorri). E d’altra parte, Pio XI, pienamente soddisfatto dell’operato del suo segretario di Stato, non esiterà a dirlo «il più fedele interprete e realizzatore della sua volontà». Già Giuseppe De Luca, anticipando un giudizio che sarà più volte espresso, anche dalla più recente storiografia, nella Memoria di Pietro Gasparri scriveva: «A torto si ascrivono a lui iniziative che appariscono ben personali di Pio X e di Pio XI: due papi che han voluto vedere con gli occhi loro, e fare. E Benedetto XV medesimo, nella sua tragica situazione di padre che i figli, levatisi in arme, non solo non ascoltano, ma incolpano di connivenze, Benedetto XV impresse al suo pontificato un carattere decisamente suo e personale. Si esagererebbe, pertanto, a voler dare […] al cardinale Gasparri meriti e glorie che egli stesso respingeva con un’umiltà che non era leziosa, ma coscienza chiara e alta. Egli» aggiungeva «fu ministro, veramente e in ogni senso primo ministro di quei pontefici: né volle essere né fu mai altro. Ma tale fu come pochi, e per questo il suo nome guadagnerà, io credo, col tempo; non diminuirà».

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Come nota finemente Pio Ciprotti, la mentalità di giurista accompagnò il Gasparri anche nelle attività non direttamente giuridiche. Ciò si evince massimamente dai Concordati, nella cui compilazione – pur procedendo in talune disposizioni a delle deroghe al diritto canonico generale onde venir incontro alle esigenze degli Stati, o far sì che eventuali divergenze producessero il minor danno possibile alle anime – il Gasparri sempre formula delle affermazioni di principio, anche su punti su cui, in pratica, lo Stato difficilmente consentirebbe.
Affermazioni di principio che, mentre enunciano punti fondamentali della dottrina teologica, ricordano altresì verità che scaturiscono dal diritto naturale. «Né l’enunciazione […] del principio ha solo un’importanza dottrinale, di proposizione filosofica e teologica; essa ha invece una rilevante portata giuridica, in quanto è come la premessa alle norme pratiche, è quindi necessariamente il punto di partenza per la loro interpretazione, costituendo esse, come si è detto, nient’altro che deroghe al principio enunciato» (Ciprotti). Fu insomma un giurista portato alla concretezza, ma giammai cedevole a un mero pragmatismo che prevalesse sui principi.
È nota la parte che Gasparri ebbe nelle complesse vicende che precedettero e prepararono la definitiva soluzione dell’annosa Questione romana. Al di là di una puntuale ricostruzione di quelle vicende, già più volte fatta e, si potrebbe dire – considerata l’abbondante letteratura sull’argomento – in modo quasi definitivo, non crediamo di allontanarci dal vero affermando che il ruolo del Gasparri fu certo decisivo. Se la storiografia ha insistito sulle particolari circostanze politiche che portarono, infine, ai Patti Lateranensi, si può senz’altro affermare che determinante per la realizzazione della Conciliazione risultò l’opera di paziente, concreta tessitura svolta dal cardinale, e che l’organicità del Concordato e l’attenzione alla nozione di sovranità recano l’impronta di quella mens iuridica che si valse della collaborazione di Francesco Pacelli, di Domenico Barone, del gesuita Pietro Tacchi Venturi.

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Il cardinale Gasparri lasciò la Segreteria di Stato 1’11 febbraio del 1930. Vi fu chi – come Pietro Palazzini, poi cardinale, nella voce dedicata a Pietro Gasparri sull’Enciclopedia Cattolica – non ha esitato a parlare di divergenze personali con Pio XI. Gli successe Eugenio Pacelli, suo antico e apprezzatissimo collaboratore sin dalla comune stesura nell’estate del 1905, a Ussita, del “Libro bianco” sulla situazione della Chiesa francese.
Ritiratosi a vita privata, visse i suoi ultimi anni tra Roma e la natìa Ussita, provvedendo al riesame e al rifacimento di alcune delle sue opere giuridiche e completando la stesura di un testo di catechismo, un lavoro al quale, sin dal 1924, aveva dedicato parte del suo tempo libero. «Si lamentò sempre, in quegli ultimi anni, che la memoria non lo aiutasse più. Se ne lamentò come del maggior danno che la vecchiaia gli avesse arrecato. Tanto si affliggeva, ora, d’averla quasi perduta, quanto, da giovane e sino a pochi anni prima, si rallegrava d’averla, meticolosa, tenace, amplissima» (De Luca). L’uomo che aveva lavorato «senza fretta ma senza requie, e con un ritmo così travolgente, nella sua esteriore bonomia, da affaticare e qualche volta sfiancare chi collaborava con lui» (ancora De Luca), morì a ottantadue anni a Roma il 18 novembre del 1934.
I frontespizi di alcune opere giuridiche 
di monsignor Gasparri

I frontespizi di alcune opere giuridiche di monsignor Gasparri

In occasione del XXV anniversario della morte, in una solenne tornata accademica tenuta all’Università Lateranense, auspice il rettore dell’epoca monsignor Antonio Piolanti, l’avvocato Raffaele Jervolino, antico dirigente di Azione cattolica, definì Pietro Gasparri come «uomo dalle diverse vite».
Ma la cifra che unifica il giurista, il diplomatico, il servitore della Sede Apostolica è da ricercare intera nel suo essere, integralmente, sempre e comunque, prete.
Sin dagli anni in cui celebrava la messa per il cardinale diacono Mertel a quelli parigini in cui, apprezzato docente, si inventò “parroco” per gli emigrati italiani, egli fu prete, e così in tutti gli uffici da lui via via ricoperti.
«Indossata la talare a otto anni» nota De Marco «non la lasciò più e soprattutto non dismise più quell’aspetto sobrio e sereno del chierico e che sarà poi del sacerdote e del cardinale».
«Fu un prete buono e alla buona» scrive don Giuseppe De Luca, «un burlone, trepido sinanche d’una innocente bugia; e fu insieme dignitario ecclesiastico talmente alto, da incutere invincibile soggezione. Nessuno, ancorché a tavola con lui, ancorché preso in giro da lui familiarmente e in un certo qual modo provocato, nessuno avrebbe ardito di pigliarsi la minima confidenza. Obbediva senza avvilirsi, e appunto perciò comandava senza avvilire. Non mai un comando viene meglio obbedito come quando l’inferiore si sente, nell’atto stesso del comando, considerato e rispettato».
Una toccante vibrazione del suo animo autenticamente sacerdotale, e parimenti espressiva di quella concretezza che gli era peculiarissima, ci è dato di coglierla nella chiusa del suo testamento, datato 4 ottobre 1934: «Raccomando a tutti di essere buoni, ricordandosi che la vita presente trascorre come un lampo e che l’eternità ci aspetta».
Presentando nel 1932 il suo catechismo cattolico per bambini, così aveva scritto, non celando quella facile ma non banale commozione imparata dalla madre: «Mio caro bambino, ti stai preparando alla prima Comunione… Io sono vecchio, mio caro bambino, e molte vicende e importanti avvenimenti sono passati sopra la mia testa e nel mio cuore: eppure rammento ancora con commozione e indicibile dolcezza il giorno della mia prima Comunione… e ti chiedo di raccomandare a Gesù, quando si poserà sul tuo cuore, il vecchio amico che con paterno affetto ti benedice».


Bibliografia essenziale

R. Astorri, Le leggi della Chiesa tra codificazione latina e diritti particolari, Padova 1992.
P. Ciprotti, Il diplomatico giurista, in Aa. Vv., Il cardinale P. Gasparri, Pontificia Università Lateranense, Roma 1960.
F. Crispolti, Corone e porpore, Milano 1937.
G. De Luca, Memoria di P. Gasparri, in La Nuova Antologia, 1° dic. 1934; Id., Discorrendo col card. Gasparri (1930), in ibidem, 16 nov. 1936, poi in Aa.Vv., Il cardinale P. Gasparri, cit.
V. De Marco, Contributo alla biografia del cardinale P. Gasparri, in Aa.Vv. Amicitiae causa. Scritti in onore del vescovo A. M. Garsia, a cura di M. Naro, Caltanissetta 1999.
C. Fantappié, Dizionario biografico degli Italiani, ad vocem; Id., Introduzione storica al Diritto canonico, Bologna 1999.
P. Grossi, Storia della canonistica moderna e storia della codificazione canonica, in Quaderni fiorentini XIV (1985).
G. Spadolini, Il cardinale Gasparri e la Questione Romana (con brani delle memorie inedite), Firenze 1972.
S. Tramontin, La repressione del modernismo, in E. Guerriero e A. Zambarbieri, La Chiesa e la società industriale, Milano 1990.


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