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RECENSIONI
tratto dal n. 09 - 2006

L’America Latina prossima ventura


Il libro-intervista di Alver Metalli con Alberto Methol Ferré, filosofo realista e “romantico”


di Massimo Borghesi


Alberto Methol Ferré-Alver Metalli, L’America Latina del XXI secolo, Marietti, Genova-Milano 2006, 207 pp., euro 15,00

Alberto Methol Ferré-Alver Metalli, L’America Latina del XXI secolo, Marietti, Genova-Milano 2006, 207 pp., euro 15,00

Alberto Methol Ferré è un personaggio. Ho avuto la fortuna di conoscerlo quasi quindici anni fa, nel 1992 a Lima in Perù, in occasione del IV “Congreso mundial de filosofía cristiana”. Lo ricordo per la simpatia, l’umanità, l’intelligenza vivace e acuta: un vero intellettuale latinoamericano, curioso di tutto ciò che proveniva dall’Europa. Alver Metalli, primo direttore di 30Giorni, giornalista e narratore di talento, è ora riuscito, dopo non pochi tentativi, a raccogliere in una lunga intervista la sua riflessione sull’America Latina all’alba del nuovo secolo. Ne esce un quadro ricco e articolato, denso di conoscenza storica del continente sudamericano, unitamente a uno sguardo attento al presente e agli scenari futuri. Methol è un «realista utopista». Il suo sogno, a partire da Nexo, la rivista da lui fondata nel 1955, è l’unificazione dell’America del Sud, il superamento delle particolarità nazionali in una federazione – che ruota attorno al binomio Argentina-Brasile – simile a quella nordamericana. È l’ideale della generazione dei Rodó, Vasconcelos, Ugarte, Fombona, Pereira, Calderón. «Per sopravvivere l’America Latina deve realizzare qualcosa di analogo a quanto attuato dagli Stati Uniti d’America, però a partire da sé stessa, dalla propria originalità di circolo culturale cattolico» (p. 51). Occorre passare dagli «Stati disuniti del Sud» agli «Stati uniti del Sud», un processo ineluttabile che trova conferma nel Mercosur, il Mercato comune del sud, che Methol contrappone al Nafta, all’Area di libero commercio tra Messico ed Usa. Da questa integrazione la Chiesa non potrebbe che trarne vantaggio: «Potenzia il potere, quindi potenzia la missione della Chiesa d’influire sul potere del mondo. Non mi riferisco al potere astratto, ma a quella podestà che fa sì che i popoli abbiano orizzonti vasti, non siano mere province» (p. 109). Nel realismo di questa affermazione v’è qualcosa di “romantico”. Metalli ricorda come tra gli autori di Methol vi sia Friedrich Schlegel «a cui deve l’incontro con la grande tradizione cristiana e le sue parole chiave» (p. 197). In realtà Methol difende la fede del popolo sudamericano; rivaluta, per questo, anche la parte più autentica della teologia della liberazione. Dopo la caduta dell’ateismo messianico, marxista, trionfa ora – come aveva visto Augusto Del Noce – l’ateismo libertino nemico di tutto ciò che è popolare. Il nemico è cambiato, non è dato dal comunismo e nemmeno dalle sette. «Le sette occupano un ruolo di redenzione degli strati più esposti come vittime della società del consumo. Sono come una cura: si espandono dove l’ateismo libertino genera la maggior devastazione o, da un diverso punto di vista, ha più successo» (p. 123). Di fronte a ciò, a un processo di secolarizzazione che incalza e dissolve la fede popolare, Methol, che ha collaborato a lungo col Celam, traccia lucidamente le tappe della Chiesa latinoamericana, da Puebla a Santo Domingo. Un quadro che si muove tra speranze – «i tempi sono maturi per una teologia e filosofia della storia cristiana, globalizzante» (p. 129) – e pessimismo. «Ci troviamo in un momento di stanchezza, è innegabile: la generazione che ha fatto il Concilio si è quasi estinta. De Lubac, von Balthasar, Congar, Chenu, Daniélou, Rahner… Sono stati anni di uno splendore intellettuale tra i più alti della storia della Chiesa. Non vedo movimenti intellettuali comparabili a questi, seppure come eco» (p.63). In America Latina il declino della teologia della liberazione non è stato colmato da nulla di solido. «In un certo qual modo l’“evaporazione” della teologia della liberazione ha diminuito la spinta dell’insieme della Chiesa latinoamericana ad assumere la condizione dei poveri con coraggio. Credo che la Chiesa stia pagando lo scotto di essersi liberata troppo facilmente della teologia della liberazione. La teologia della liberazione avrebbe dovuto portare il suo massimo apporto dopo la caduta del comunismo, non spegnersi con il marxismo. Oggi è urgente supplire alla sua assenza» (p. 92). Un’assenza che non riguarda solo il pensiero teologico, concerne anche il laicato organizzato: «A volte si soffia nelle ceneri e la brace torna a crepitare. Ma oggi è così, sono ceneri quelle che rimangono» (p.161). Si disegna così una tensione, non facilmente risolubile, tra il progetto di unificazione del continente “cattolico” e la realtà di una fede che assiste, impotente, al dilagare del modello edonistico di massa. Il «tomismo silvestre», non accademico, di Methol potrebbe guadagnare molto dall’incontro con la posizione agostiniana. Posizione che, come documenta la figura di papa Ratzinger, permette, da un lato, di valorizzare la grande tradizione della Chiesa e, dall’altro, sottolineando la gratuita esistenzialità della fede nella libera testimonianza personale, consente di incontrare il cuore profondo della modernità. Methol coglie lucidamente questo allorché afferma che «la Chiesa è l’unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l’ateismo libertino… È a livello di esperienza che si deve entrare in rapporto con l’ateismo libertino» (p. 135). L’attrattiva cristiana è più persuasiva di quella mondana solo se è “esperienza” di una positività che muove all’affezione e alla gratitudine. Questo Methol lo sa. Convertito, nel 1949, grazie alla lettura di Gilbert K. Chesterton, confessa di aver «capito da lui che l’esistenza è un dono, come la salvezza e la fede; che si è cristiani per gratitudine» (p. 197).


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