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CHIESA ITALIANA
tratto dal n. 10 - 2006

VESCOVI. La scomparsa di Cataldo Naro

L’arcivescovo Naro. Improvvisa morte


L’arcivescovo di Monreale era venuto a Roma a metà settembre per celebrare l’annuale messa per don Luigi Sturzo


di Giulio Andreotti


A scongiurare le morti improvvise, la Chiesa riserva una delle “Litanie dei santi”. Fermo restando che per ogni creatura il dies natalis è quello finale del transito, le morti di giovanissimi e quelle repentine suscitano sempre grande emozione.
L’arcivescovo di Monreale Cataldo Naro

L’arcivescovo di Monreale Cataldo Naro

L’arcivescovo di Monreale, monsignor Cataldo Naro, era venuto a Roma a metà settembre per celebrare l’annuale messa per don Sturzo, promossa dall’Istituto. Due settimane dopo è giunta la triste notizia della sua morte.
Lo avevo già sentito in un discorso, in sede militare, e ne ero rimasto così affascinato che sentii il bisogno di scrivergli congratulandomi. Ma su don Sturzo è stato davvero straordinario, evitando panegirici, distinguendo bene il sacerdote dal politico (ma in perfetta coerenza di vita), mettendo l’accento – senza forzature – sul ruolo anticipatore del Concilio Vaticano II, circa gli spazi riservati ai laici come tali. Sottolineò anche – particolare ignoto ai più – che, avendo presto iniziato l’attività pubblica (Consiglio comunale di Caltagirone), don Sturzo ritenne doveroso astenersi dal confessionale per evitare possibili disagi sia per i penitenti che per lui stesso.
Questo modo nuovo di presentare don Luigi mi aveva fortemente colpito, cancellando momenti nei quali lo avevo giudicato malissimo; quando – ad esempio – durante una crisi scrisse un articolo sul Giornale d’Italia, auspicando un governo Nitti. Per lui Nitti era l’angelo buono che nel 1919, introducendo la legge elettorale proporzionale, aveva consentito la nascita del Partito popolare italiano. Al ritorno dall’esilio però Nitti era finito letteralmente nelle mani dei comunisti, che lo posero a capo di una lista, con molta disinvoltura chiamata di Indipendenti di sinistra.
Ricordo la divertita ironia di Giancarlo Pajetta quando Nitti si autoelogiò perché senza avere un partito era riuscito a mettere insieme una lista realmente competitiva. Di qui la sorpresa per il favore di Sturzo.
Accompagnai De Gasperi, ovviamente risentito, al convento dove don Sturzo alloggiava e raccolsi per il Popolo una dichiarazione nella quale, con qualche disinvoltura, polemizzava con chi avesse attribuito al suo articolo un auspicio concreto di soluzione della crisi.
Un altro momento divaricante fu per la sua filippica contro Enrico Mattei, verso il quale nutriva avversione reputandolo sovventore di una corrente democristiana. Fu facile a chi ce l’aveva con il Mattei fustigatore delle “Sette sorelle” confondere campi e idee. Tuttavia Sturzo sapeva bene che sul piano personale Mattei era amico di Vincenzo Cazzaniga, che rappresentava qui la “Esso”.
Un terzo tema che mi aveva lasciato perplesso fu il suo eccessivo favore per la Regione quando presiedeva l’Alta corte siciliana arrivando perfino ad annullare una norma votata dall’Assemblea costituente.
A parte ogni risvolto temporale – e monsignor Naro lo sottolineò mirabilmente – la grandezza morale di don Sturzo è attestata dal fatto che mai ha detto una parola di censura o anche di semplice lamento verso la Santa Sede.
Nel 1925 era stato costretto a dimettersi dalla segreteria del Ppi con una lettera minutata dal segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri. In verità il testo suonava come critica al regime che rendeva impossibile a un sacerdote restare al timone di un partito, ma era il preludio di una immediata partenza dall’Italia. Doveva sgombrare il campo e lo fece, andando a vivere in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
L’attesa fu lunga, ma, caduto il fascismo, sembrò ovvio un immediato rientro. Dovette programmarlo per dopo la Liberazione. Quando finalmente poté fissare il suo imbarco, gli arrivò – tramite arcivescovado di New York – l’ordine di non muoversi. Le sue dichiarazioni a favore della Repubblica erano in contrasto con la direttiva al clero di non ingerenza nel referendum.
L’onorevole Lupis, in casa del quale gli era arrivata l’intimazione, mi raccontò con quale disciplinata dignità fosse stato ricevuto da don Sturzo l’inaspettato ordine.
Più tardi fu fatta circolare la voce che fosse stata la Democrazia cristiana – e personalmente l’onorevole De Gasperi – a non gradire il ritorno. Posso escluderlo. Mentre è certo che De Gasperi avesse, più tardi, perplessità per la nomina a senatore a vita, decisa motu proprio dal presidente Einaudi.
Le obiezioni di De Gasperi erano giuridiche e di opportunità. La norma concordataria che inibisce al clero le cariche politiche non si doveva applicare al mandato senatoriale? E in caso di superamento della riserva, non si dava la stura, in seguito, a candidature elettorali di sacerdoti?
In via di fatto il dubbio fu superato in modo sorprendente dal senatore Vittorio Emanuele Orlando, presidente dell’apposita Commissione senatoriale: non potevano frapporre ostacoli nei confronti di un corregionale siciliano.
Anche per le precarie condizioni fisiche, don Sturzo frequentò pochissimo Palazzo Madama, dedicandosi a scrivere articoli, in verità sempre lucidi e puntuali.
A riprova della sua “obbedienza” vi fu il brutto episodio delle elezioni amministrative di Roma del 1952. Al segretario nazionale della Dc, Guido Gonella, era stato posto il quesito se esistessero davvero rischi di una vittoria rossa per il Campidoglio.
Occorreva correre ai ripari e si mosse il cosiddetto “partito romano” (più o meno direttamente ispirato da monsignor Ronca e... non combattuto da Gedda). I partiti dovevano mettersi da parte, lasciando spazio a un listone espressivo di tutti i non comunisti. Diabolicamente si chiese a Sturzo di benedire questo pasticcio; e poiché lo si chiedeva a nome del Papa, obbedì. L’Operazione Sturzo rischiò di far saltare tutto il quadro politico, perché certamente i partiti nostri alleati nel governo avrebbero preso le ovvie distanze da noi. De Gasperi visse momenti drammatici; ma la soluzione fu positiva. Informato il Papa della inevitabile crisi ministeriale, partirono subito le istruzioni necessarie. D’altra parte anche i partiti di destra non avevano ancora dato l’adesione alla formula Sturzo.
Posso aggiungere che il presidente De Gasperi fece sapere oltre Tevere che a dimostrare l’impegno per l’elezione municipale romana era pronto a entrare personalmente in lista. Ne presero atto, ma non era davvero il caso di dare un significato politico così forte alla scelta dei romani.
Senza invadere il campo delle strutture canoniche che devono accertare il grado eroico delle virtù dei candidati alla beatificazione, monsignor Naro ha parlato esplicitamente della santità di don Sturzo.
D’ora innanzi quando avrò occasione di soffermarmi sulle attività e sugli scritti di don Sturzo, lo farò nel quadro molto netto e suggestivo che ci ha tracciato il davvero compianto monsignor Naro.


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