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tratto dal n. 12 - 2006

Giovanni Fallani

La “pastorale” dell’arte sacra


Teologo, letterato, umanista, l’arcivescovo Fallani per molti anni fu il responsabile del patrimono artistico e archeologico della Chiesa. La sua fama fu legata soprattutto all’attività di mediazione che egli condusse tra la Chiesa e il mondo dell’arte contemporanea all’epoca del Concilio Vaticano II


di Mauro Piacenza, vescovo titolare di Vittoriana


Sarà accaduto a molti di coloro che sui banchi del liceo o all’università hanno imparato a conoscere gli umanisti come scopritori e studiosi dei classici latini e greci, di apprendere con sorpresa che Lorenzo Valla, Pietro Bembo e altri, fossero chierici, vescovi e cardinali. Anche monsignor Giovanni Fallani, del quale lo scorso anno è caduto, un po’ in sordina, il ventennale della scomparsa (23 luglio 1985), fu un umanista, nel senso più vero della parola, appassionato per lo studio dell’uomo, ma la sua fama di uomo di cultura non si potrà mai scindere dal suo essere sacerdote.
Monsignor Giovanni Fallani

Monsignor Giovanni Fallani

Prete romano, classe 1910, ordinato nel 1933, si laureò in Teologia a Roma e in Lettere a Napoli nel 1937, non a caso con Giuseppe Toffanin, uno dei massimi studiosi dell’Umanesimo, che aveva messo in evidenza la presenza di una grande anima cristiana in questo movimento culturale europeo della prima età moderna. Allora non era usuale che un prete studiasse scienze “profane”, ma sicuramente in questo orientamento già era in nuce la futura attività di Fallani, la quale riguardò in gran parte gli studi letterari, di cui sono testimonianza la preziosa antologia La letteratura religiosa italiana (Firenze 1963) e molti saggi, ma che si espresse soprattutto nella vasta produzione dantesca, frutto dei molti anni di Lectura Dantis alla Fondazione Besso di Roma, di insegnamento di Teologia dantesca all’Università Lateranense e di presidenza della “Casa di Dante”.
L’arcivescovo Fallani però ha legato la sua fama soprattutto alla pionieristica attività di mediazione fra la Chiesa e gli artisti contemporanei, preceduta da uno studio approfondito nel campo della storia dell’arte. Alle monografie sul Beato Angelico (1945), su Antonio Canova (1949) e su Giotto (1969) sono seguiti infatti gli studi in occasione della presidenza dei comitati per le celebrazioni centenarie di Bernini (1981) e di Raffaello (1982). In realtà Fallani aveva mostrato un precoce interesse per la cultura del suo tempo, coltivando gli interessi figurativi parallelamente a quelli letterari, come documenta già un’opera del ’45, Venti scrittori del ’900, in cui alla parte antologica faceva da pendant una selezione particolarmente raffinata di dipinti e disegni di artisti contemporanei.
Da officiale della Segreteria di Stato, divenne nel 1954 vicepresidente e, due anni più tardi, ultimo presidente della Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, alla morte di monsignor Giovanni Costantini. Dal 1963 fu anche, per ovvio accorpamento, presidente della Commissione per la tutela dei monumenti storici e artistici della Santa Sede e nel 1964 fu consacrato vescovo titolare di Partenia.
La Commissione per l’arte sacra, operando in stretta collaborazione con le Commissioni diocesane d’arte sacra, doveva favorire la tutela del patrimonio storico artistico della Chiesa e la promozione di nuove opere d’arte sacra. La sua attività si esplicò nel sollecitare la compilazione degli inventari degli oggetti d’arte, nel contribuire alla formazione e all’ordinamento dei musei diocesani, nella promozione di conferenze, lezioni, convegni per la formazione soprattutto del clero (vedi principalmente le Settimane di arte sacra), nei contatti con le Soprintendenze alle Belle arti in ordine ai restauri e all’introduzione di nuove opere d’arte (importante fu l’attività a favore del restauro dell’abbazia di Montecassino e della nuova decorazione ad opera di Pietro Annigoni). Con l’attribuzione nel 1962 del potere di esaminare i progetti delle nuove chiese e di proporre al Ministero dei Lavori pubblici e a quello dell’Interno (Fondo edifici di culto) il finanziamento delle opere da realizzare, la Pontificia Commissione ebbe la possibilità di esprimere un parere vincolante sulla nuova edilizia di culto e sull’adeguamento liturgico delle chiese a seguito della riforma del Concilio Vaticano II. L’autorevolezza della potestà di esame da lui richiesta, per ovvio senso pastorale, fu la chiave della provvidenziale incisività. Frutti particolarmente apprezzati della Commissione, ancora oggi utilizzabili, sono i due volumi, curati da Fallani, rispettivamente del 1969 e del 1974: L’arte sacra dopo il Vaticano II e Tutela e conservazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in Italia.
Nell’introduzione alla presentazione di un “concorso di idee” per chiese e complessi parrocchiali nella diocesi di Ascoli Piceno, nel 1966, dal titolo Spazio architettonico per l’assemblea liturgica, monsignor Fallani rivela la sua apertura alla modernità radicata in una visione di continuità propria della tradizione cattolica: «Siamo tutti convinti che la storia del cristianesimo ha creato, con le cattedrali e le umili chiese di campagna, un dialogo eterno con Dio e con il popolo cristiano; tuttavia come la lingua si muta con gli anni […] così il volto di una chiesa riflette, durante il cammino della storia, i problemi intellettuali e spirituali, caratteristici di ogni età». Per tale motivo egli si fa assertore delle istanze del Concilio Vaticano II anche in architettura sacra, affermando come prioritaria, da parte dei pastori, «la necessità di promuovere l’educazione liturgica e la partecipazione dei fedeli al rito», e concludendo che «chi riflette alle situazioni interne di una società comunitaria e all’efficacia religiosa della parrocchia deve rendersi conto, dal punto di vista pastorale, che anche le forme esterne architettoniche sono invocate, per l’unità spaziale, a significare lo stretto collegamento e la comune fede dell’assemblea» (Introduzione al tema delle chiese nuove, in Fede e arte, 15/1, 1967, pp. 8-12). Una piena valutazione dell’attività della Pontificia Commissione sarà possibile solo quando il fondo archivistico, depositato presso l’Archivio Segreto Vaticano dal 1989 e in corso di inventariazione, sarà finalmente messo a disposizione degli studiosi.
Paolo VI inaugura la Galleria di Arte sacra moderna nei Musei Vaticani, il 23 giugno 1973

Paolo VI inaugura la Galleria di Arte sacra moderna nei Musei Vaticani, il 23 giugno 1973

Già però attraverso le pagine della citata rivista Fede e arte, pubblicata dalla Pontificia Commissione fra il 1953 e il 1967 sotto la direzione di monsignor Fallani, è possibile rendersi conto di tale molteplice attività, riguardante in gran parte il vasto tessuto di relazioni che essa, grazie al suo presidente, andava intessendo con gli artisti per la produzione di un’arte che fosse moderna e sacra allo stesso tempo. Fede e arte si colloca in un panorama assai variegato di riviste (al quale appartenne Ecclesia, con cui Fallani pure collaborò per vari anni) che tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento e oltre hanno alimentato il dibattito, in certi momenti piuttosto vivace, sull’arte sacra moderna, in termini talora di punta, talora facendosi portavoce di posizioni più moderate. In Fede e arte è contenuta una visione sostanzialmente unitaria della storia artistica, in cui l’arte religiosa del passato e del presente è espressione di una medesima tradizione spirituale. L’inevitabile stupore che si prova di fronte alle novità figurative può essere superato pensando che l’arte è una realtà vivente, art vivant, che contiene in sé elementi di continuità e di rottura. Per questo si deve avere piena fiducia nella capacità dell’arte contemporanea di essere espressione della sensibilità religiosa dell’uomo d’oggi. Occorre però che il committente abbia sana dottrina e buon senso in mente e che l’artista sia coinvolto intellettualmente, emotivamente e volitivamente nei contenuti di ciò che deve esprimere visibilmente.
Un contributo certamente non secondario della rivista Fede e arte, a questo proposito, fu nel ricercare e nel promuovere all’interno dell’arte sacra – termine generico nel quale è compresa il più delle volte solo un’arte vagamente religiosa per tema o per ispirazione – un’arte di qualità liturgica. Il discorso rivolto da papa Paolo VI, il 4 gennaio 1967, ai partecipanti al Convegno delle Commissioni diocesane di liturgia e di arte sacra in Italia, sul tema “Liturgia e arte sacra”, e pubblicato sulla rivista (15/2, 1967, pp. 2-7), fu certamente un discorso programmatico, ma anche una delle tappe del dibattito su un problema pienamente avvertito all’interno della Pontificia Commissione, della rivista e di chi le dirigeva, problema serio oggi non ancora risolto e forse neppure così evidente come allora. Se, nelle parole del Pontefice, «liturgia e arte sono sorelle», tanto che «il connubio fra liturgia e arte, come quello che riveste il nostro culto del suo caratteristico aspetto sacro» è cosa da «difendere anche ai giorni nostri», è inevitabile la conclusione che potrebbe «darsi che questa inserzione dell’arte nel culto comporti all’arte limitazioni e prescrizioni non poche». In altre parole, non tutta l’arte, anche quella autenticamente religiosa, può entrare in chiesa, «poiché la liturgia […] non esaurisce certamente l’immensa fertilità dell’arte, anche se dedicata alla sola espressione religiosa». L’analoga lucidità con cui si guardava a tale arte, anche all’interno della rivista e da parte di monsignor Fallani in particolare, per cui parte dell’arte sacra poteva trovare una collocazione più consona in gallerie e collezioni, era seguita da uno sforzo costante di accompagnare gli stessi artisti a mettersi a servizio del culto cristiano e delle sue esigenze.
Certamente monsignor Fallani non fu estraneo agli atti con cui papa Paolo VI sancì la volontà della Chiesa di rinsaldare il sodalizio con gli artisti, interrotto agli inizi dell’epoca contemporanea, primi fra tutti il celebre discorso nella Cappella Sistina, il giorno dell’Ascensione, 7 maggio 1964, e l’apertura della Collezione d’arte religiosa moderna dei Musei Vaticani, il 23 giugno 1973 (della quale, assieme a Valerio Mariani e Giorgio Mascherpa curò l’introduzione e il catalogo, uscito l’anno seguente). Nello spirito del Messaggio all’umanità del Concilio Vaticano II, soprattutto il discorso del 1964 riconosceva l’autonomia dell’arte rispetto alla religione, ma altresì auspicava che gli artisti si confrontassero con la Chiesa sul senso ultimo della vita e della realtà umana che essi rappresentavano e sulla funzione ecclesiale dell’arte stessa. Si può osservare un’affinità di sentire fra il Pontefice e Fallani nel rileggere l’articolo programmatico di quest’ultimo su Fede e arte di 11 anni prima, in cui si adopera la colorita similitudine dei buoni teologi che «han dato nel passato agli artisti la traccia e la trama per le composizioni religiose» (1, 1953, pp. 174-175) per auspicare un ritorno alla collaborazione fra la Chiesa e gli artisti. Lo stesso Fallani sollecitò e preparò le udienze concesse da Giovanni Paolo II, in occasione dell’Anno santo della Redenzione, agli uomini di cultura (15 gennaio 1984) e agli artisti in Santa Maria sopra Minerva (18 febbraio 1984) in concomitanza con le celebrazioni centenarie del Beato Angelico proclamato, in quell’occasione, patrono degli artisti.
Fallani fu l’uomo giusto nel posto giusto all’interno di un ufficio della Santa Sede dove, più che qualità “politiche”, si richiede un carisma spirituale. Si riporta sovente la frase, più di meraviglia che di compiacimento, che lo scultore Arturo Martini scrisse nel 1941 a Fallani: «Finalmente ecco il primo prete che si interessa della mia scoltura...!». Egli fu uno dei non moltissimi sacerdoti del secolo scorso in grado di farsi interlocutore appassionato e sensibile di letterati e artisti. A questo proposito si adatta magnificamente allo stesso Fallani quanto egli ebbe a dire commemorando il suo maestro e amico monsignor Giuseppe De Luca, che lo aveva spinto negli anni Trenta a interessarsi al mondo dell’arte: «C’erano dei muri che erano stati innalzati, da anni, tra la cultura cattolica e il mondo laico; egli con l’intelligenza aprì una breccia, stabilì dei ponti sicuri, entrò con il calore del sacerdozio nelle situazioni chiuse» (Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze, a cura di M. Picchi, Roma 1998, p. 169).
Giovanni Paolo II accompagnato da monsignor Fallani durante la visita alla Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, presso il Palazzo della Cancelleria, a Roma, il 15 maggio 1979

Giovanni Paolo II accompagnato da monsignor Fallani durante la visita alla Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, presso il Palazzo della Cancelleria, a Roma, il 15 maggio 1979

In un libro autobiografico, Manzù farà la porta di San Pietro? (Bologna 1980), seguito nell’83 da uno simile, Il Parnaso ravvicinato, lo stesso Fallani rievoca, mediante aneddoti e ricordi, protagonisti e personaggi minori della scena artistica italiana della seconda metà del secolo, alcuni di essi autori di significative imprese artistiche, dalla decorazione interna della chiesa di Sant’Eugenio a Roma, alle porte di San Pietro (Giacomo Manzù e Luciano Minguzzi), a quelle del Duomo di Orvieto (Emilio Greco), rievocando la frequentazione quasi quotidiana dei loro studi e dei colloqui con essi. Il “metodo” di Fallani lo si può ravvisare in quel vero gioiellino che è il volumetto Chi è Gesù: domande di Umberto Saba (Roma 1977), dove è pubblicato il carteggio con il poeta triestino, in cui Fallani risponde ad alcune domande sulla fede e sul senso della vita e della morte che questi gli aveva posto. Forse presto potremo leggere per intero anche la restante corrispondenza di Fallani con i letterati e artisti di cui fu amico e consigliere (Arturo Martini, Carlo Levi, Fazzini, Socrate, Manzù, Greco, Baldini, Palazzeschi e molti altri), se è vera, come speriamo, la notizia del professor Mario Bencivenni, per il quale si starebbe inventariando il fondo archivistico privato, presso gli eredi di monsignor Fallani (cfr. Una bussola per i naviganti. Ricordo di monsignor Giovanni Fallani, in Impegno nella bellezza: l’Ucai per il Grande Giubileo, Roma 1999, pp. 93ss).
Sì, come si diceva all’inizio, monsignor Giovanni Fallani fu soprattutto un sacerdote! Non solo perché impegnato per 27 anni nel ministero pastorale presso la parrocchia di Santa Marcella, ma in quanto concepì tutto il suo lavoro intellettuale e burocratico come una missione apostolica, in cui Colui che doveva essere annunciato o fatto riscoprire nelle pieghe delle coscienze più assopite era il Cristo. Così infatti si esprime nel suo “Testamento spirituale”: «[…] Fedeltà alla Chiesa. Nella Chiesa è il Cristo nella sua umanità, nella sua divinità. Amate il Pontefice, sicura guida. Fate dell’eucaristia il centro dei vostri pensieri; è il cibo vero dell’anima. Alla Madonna della fiducia volgete sempre la più dolce preghiera. I miei santi: san Benedetto e san Francesco mi presentino al Signore […] (Montecassino, 30 maggio 1970)». In fondo, da fine letterato e critico di riconosciuta autorevolezza, la sua spiritualità era semplice, come sempre accade negli animi veramente grandi ed essenziali. Il papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, non poteva scegliere una definizione più appropriata, nel telegramma di cordoglio inviato alla famiglia in occasione della morte, nel definirlo «servo buono e fedele»: lui si era sempre definito un «operaio della vigna», inviato nel terreno dell’arte sacra per dissodarla e farle produrre buoni frutti a gloria del Signore.


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