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GIUBILEO
tratto dal n. 12 - 2000

TEMPO DI BILANCI. Le riflessioni di un vaticanista

Resteranno i gesti semplici


L’ultima immagine del Giubileo: San Pietro invasa da un pellegrinaggio di fede spontaneo imprevisto, sincero. Un padre che prega in ginocchio con il figlio in braccio... Non sono le cifre a determinare il bilancio di questo Anno Santo: nella nostra epoca, spostamenti di masse imponenti non sono più fenomeni inauditi...


di Marco Politi


Giovanni Paolo II chiude la Porta Santa di San Pietro 
il 6 gennaio  2001

Giovanni Paolo II chiude la Porta Santa di San Pietro il 6 gennaio 2001

Lultima immagine del Giubileo, che mi è rimasta impressa, è l’immensa fiumana dei fedeli che il 5 gennaio dopo il tramonto cercava ancora di entrare nella Basilica di San Pietro. Non c’erano pullman, non c’erano altoparlanti, non c’erano musiche né striscioni. Era un pellegrinaggio di fede, animato da quegli slanci che si verificano all’“ultimo momento”. Spontanei, imprevisti, sinceri. Forse in alcuni dei presenti c’era anche un pizzico di scaramanzia mediterranea, la voglia di non perdersi il passaggio attraverso una magica Porta, il desiderio di afferrare un’indulgenza (“non si sa mai”), ma nella grande massa che procedeva ordinata passo dopo passo si avvertiva una grande tensione religiosa, il bisogno di un gesto simbolico per sentirsi più vicini a Dio. La Porta è il simbolo più antico e numinoso della storia umana. Porta è il grembo da cui nasce ogni individuo, Porta è la tomba che lo porta verso l’ignoto. Come meravigliarsi che nell’anno 2000 centinaia di migliaia di persone e poi milioni e milioni abbiano sentito il bisogno di varcare una soglia che promette speranza e salvezza? Gli ultimi decenni del XX secolo mi pare abbiano dimostrato a sufficienza che la ricerca di Dio non muore con lo sviluppo della tecnologia, della scienza, della comunicazione. Semmai è il contrario: tanto più il mondo si è andato globalizzando e sono risultate sconvolte le piccole patrie di ciascuno, tanto più – in mille forme – si è venuto manifestando un revival del sentimento religioso.
Torno ancora a quella notte del 5 gennaio perché nel silenzio della Basilica vaticana pressoché deserta, sgombra da transenne, sedie e qualsiasi orpello, maestosa e intima al tempo stesso, si respirava davvero un’atmosfera di forte tensione spirituale. Mentre me ne andavo ho gettato un ultimo sguardo. Era venuto un gruppo di pellegrini, uomini e donne sulla trentina. Li ho lasciati inginocchiati che pregavano ad alta voce. Mormorando le preghiere un giovane padre cullava dolcemente il proprio neonato…
Non sono le cifre a fare il bilancio di questo Giubileo. Venticinque milioni di pellegrini sono tanti, ma nell’epoca contemporanea gli spostamenti di masse anche imponenti non sono più fenomeni inauditi. Mentre scrivo decine di milioni di indù si stanno recando ad Allahabad per festeggiare il grande rito del Kumbh Mela, ma non è difficile registrare ogni anno massicci spostamenti anche per motivi del tutto profani. No, credo che questo Giubileo sia diventato un evento importante soprattutto perché Giovanni Paolo II è riuscito a infondere nuova linfa a un’antica tradizione, contrassegnando l’Anno Santo di gesti che aprono nuove finestre sul futuro.
Penso in primo luogo al solenne mea culpa del 12 marzo pronunciato dal Papa in San Pietro davanti al crocifisso, atto di pentimento che agli occhi di centinaia di milioni di credenti di varie religioni e di non credenti ha mostrato l’immagine di una Chiesa cattolica disposta a fare i conti con errori ed orrori del passato. È noto che qualche anno fa non tutti i cardinali erano d’accordo con un simile gesto (specialmente i presuli provenienti dall’Europa orientale), quasi che fare atto di pentimento significasse “dare ragione agli avversari della religione”. Ma Giovanni Paolo II ha proseguito tenacemente lungo la via imboccata e la storia gli darà ragione. L’idea della purificazione della memoria ha cominciato a radicarsi nel mondo cattolico, libera la Chiesa da molte tristi zavorre del passato e sta diventando uno stimolo per guarire ferite secolari e iniziare con nuovo slancio il cammino verso il futuro. Purificazione della memoria e riconciliazione divengono in tal modo concetti che superano l’ambito puramente religioso, assumendo almeno potenzialmente un significato anche nella dimensione laica dei rapporti interni alla società o fra i popoli.
Altri due eventi hanno marcato singolarmente l’Anno Santo. Il rito ecumenico a San Paolo fuori le Mura, quando il Papa ha aperto la Porta Santa insieme al Primate anglicano e al rappresentante del Patriarca ecumenico di Costantinopoli (quelle “sei mani” che non si dovranno dimenticare, come dice il cardinale Etchegaray), e la commemorazione dei martiri del Novecento davanti al Colosseo. Ambedue le cerimonie richiamano l’attenzione su quell’ecumenismo della prassi che ha animato il XX secolo. Pregare insieme o soffrire insieme per la causa della fede e della giustizia, senza distinzioni di denominazione confessionale, è la base su cui si potrà costruire un ulteriore avanzamento nei rapporti ecumenici. D’altronde più di mezzo secolo fa i primi, forti impulsi al movimento ecumenico vennero dagli studi biblici, da un lato, e dalla comune esperienza nella Resistenza al nazifascismo, dall’altro, quando specialmente in Francia e in Germania preti cattolici e pastori protestanti scoprirono che le divisioni ereditate dalle guerre di religione non avevano più senso.
L’apertura della Porta Santa della Basilica di San Paolo fuori le Mura, 
il 18 gennaio 2000

L’apertura della Porta Santa della Basilica di San Paolo fuori le Mura, il 18 gennaio 2000

Non si può dimenticare, d’altra parte, che due grossi appuntamenti segnati nell’agenda ideale del Papa sono andati deserti. Le perduranti difficoltà dei rapporti cattolico-protestanti e cattolico-ortodossi hanno impedito lo svolgimento di un incontro pancristiano e c’è da temere che gli ostacoli non saranno rimossi finché le altre Chiese cristiane avranno l’impressione che la Chiesa cattolica voglia mantenere una qualche forma di supremazia teologica. Il problema è delicatissimo, ma è certo che i rapporti ecumenici non faranno reali passi in avanti sino a quando tutte le comunità cristiane non si sentiranno realmente “sorelle” e non sarà sciolto il nodo di una nuova comprensione del ruolo papale (come del resto intuì qualche anno fa lo stesso papa Wojtyla nella sua enciclica Ut unum sint).
Anche la giornata comune di preghiera fra ebrei, cristiani e musulmani sul monte Sinai non ha potuto avere luogo nonostante il forte impegno che Giovanni Paolo II ha dedicato negli ultimi tempi al dialogo tra i figli di Abramo. Troppo forti sono le lacerazioni provocate dal conflitto mediorientale, che in questi mesi sta toccando livelli di asprezza che dopo gli accordi di Oslo si sperava appartenessero al passato. Tuttavia nella comunità ebraica hanno suscitato reazioni negative anche la dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la dottrina della fede e la beatificazione di Pio IX.
Memorabile resterà invece il pellegrinaggio in Terra Santa di Giovanni Paolo II, la sua visita allo Yad Vashem, memoriale della Shoah, e la visione della sua mano tremante che infila nelle fessure del muro del Tempio (lo stesso Tempio che Gesù ha continuato a frequentare fino alla sua morte) un cartiglio con il pentimento per le persecuzioni compiute dai cristiani verso i fratelli ebrei e con la preghiera all’Altissimo che mai più ciò si verifichi. È questo uno di quei gesti che gettano veramente un ponte verso il futuro.
Non va sottovalutata, in un bilancio del Giubileo, la parte rimasta più nascosta. Quel lungo periodo di preparazione e di catechesi che si è svolto in migliaia di diocesi del mondo e che a Roma ha avuto un esempio particolarmente significativo nella campagna di rievangelizzazione lanciata dal cardinale vicario Ruini con la mobilitazione di oltre diecimila “missionari” in gran parte laici. Un lavoro di aratura e di semina destinato a rivitalizzare l’appartenenza religiosa dei fedeli.
Si è molto discusso sull’effetto reale degli interventi giubilari sulla pena di morte, la riforma delle carceri, la cancellazione del debito dei Paesi del terzo mondo. Credo che immaginarsi che i governi della terra si sarebbero affrettati a realizzare le esortazioni del Papa sia naïf. Non avveniva neanche – lo sappiamo – nel Medioevo, tranne in quello immaginario. È indubitabile, invece, che l’insistenza della Santa Sede sul problema del soffocante debito internazionale dei Paesi più poveri ha contribuito a provocare negli ultimi anni un’attenzione inedita al problema e in certa misura ha determinato anche un mutamento di approccio da parte degli organismi finanziari internazionali, che hanno cominciato a studiare meccanismi per alleviare un peso insopportabile. Inoltre ci sono stati Paesi, tra cui l’Italia, che hanno preso misure concrete in questo senso. Pena di morte e riforma delle condizioni di vita nelle carceri sono, invece, battaglie culturali di lunga lena e a molti sembra già importante che la Santa Sede le abbia poste prioritariamente sulla sua agenda.
Ho lasciato per ultimo un evento che si è conquistato le prime pagine dei giornali a furor di numeri: la Giornata mondiale della gioventù. Un avvenimento entusiasmante perché i giovani venuti a Roma erano simpatici e pieni di voglia di incontrare il Grande Padre che sa parlar loro così bene di Dio. Conosco romani, assolutamente non credenti, che hanno voluto scendere in strada per vedere da vicino questa parte di umanità così fresca e piena di vita. Ho letto anche una lettere di un giovane che raccontava di aver voluto partecipare in successione al Gay pride, alla Giornata della gioventù e alle manifestazioni di Praga contro la globalizzazione. La cito perché sarebbe in errore chi nell’istituzione ecclesiastica pensasse di annettersi tout court quei due milioni venuti a Roma, esorcizzando con i numeri i problemi esistenti. Il mondo dei giovani è molto complesso, è una galassia di mondi e la sua maniera di concepire la fede è – a seconda delle fasce d’età e delle esperienze vissute – estremamente diversificato e spesso non riconducibile agli schemi della dottrina. Non a caso sociologi cattolici sottolineano che tanti giovani hanno ormai un “Dio personale”. Quando i vescovi d’Europa e dell’Occidente denunciano una silenziosa apostasia di popoli per secoli cristiani, un eclettismo delle fedi, un allontanarsi dalle strutture organizzate e gerarchiche della Chiesa, la piaga su cui mettono il dito è soprattutto il rapporto con le nuove generazioni. Qui meno che mai il Giubileo si presta a consolazioni trionfalistiche e d’altronde lo stesso Papa nella messa finale ha voluto respingere ogni tentazione di autoesaltazione.
Come per gli individui così per la Chiesa gli esami non finiscono mai. Per questo Giovanni Paolo II ha annunciato la necessità di mettersi subito al lavoro e si è proposto un’agenda che smentisce quanti lo credevano sulla via delle dimissioni. Ecumenismo, rafforzamento dello spirito di collegialità e di comunione all’interno della Chiesa, nuovo ruolo dei laici, accresciuto impegno sociale sono gli obiettivi indicati. Ce n’è almeno per un quinquennio.


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