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CINA
tratto dal n. 11 - 2000

CATTOLICI. Incontro con il cardinale Paul Shan

Dialogo sì, sfide no


«Noi non abbiamo mai neppure provato a provocare, confrontarci o contrapporci alla Cina… Si può essere sia davvero un buon cristiano che contemporaneamente un ottimo cittadino. Ecco perché noi cattolici non vogliamo alcun privilegio speciale dal potere civile se non il permesso di poter vivere come cattolici autentici». La Chiesa cattolica e la Cina viste dall’arcivescovo di Taiwan


Intervista con il cardinale Paul Shan di Giovanni Cubeddu


Questi sono i fatti della Chiesa che interessano al cardinale di Taiwan: «Cinque anni fa arrivò da noi un uomo di mezz’età, oltre la cinquantina, e si battezzò. Poi portò nella Chiesa cattolica la mamma, che aveva già ottant’anni ed era stata fino ad allora buddista, e come lei portò anche il fratello. Così, via via ha accompagnato nella comunità cristiana settanta suoi amici. Lui dice che nel cristianesimo la sua vita è cambiata, e in fondo non mi sbaglio se parlo di quest’uomo come di un missionario. I laici sì che possono aiutare la Chiesa, molto, semplicemente perché loro sanno come fare…». Settantasette anni portati con leggerezza tutta orientale, vescovo dal ’79 e cardinale dal ’98, il gesuita Paul Shan narra questo episodio unendo al sorriso pudico un sense of humour che previene ogni retorica. Lui, che dall’87 guida la Conferenza episcopale taiwanese – 15 vescovi in tutto, di cui tre in pensione –, amministra la Chiesa evitando ogni tono di contrapposizione “ideologica” con il vicino governo di Pechino, cercando spunti di conforto (come il fatto appena narrato) per il piccolo gregge che egli guida. «Su ventidue milioni di abitanti, i cattolici a Taiwan sono 300mila, e le conversioni non sono certo a ritmo serrato» ricorda Shan. «Come in Occidente, spesso da noi il cristianesimo è qualcosa che non riguarda la gente. Abbiamo 600 preti, la metà dei quali ha oltre settant’anni e molti oltre sessanta». Ecco però un altro fatto che interessa Paul Shan: «Nel seminario maggiore vi sono sessanta giovani, e non è poco per noi…». Speranza, affidamento, preghiera.
Cina, provincia di Shaanxi. Un neonato riceve il battesimo

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E umiltà, quella necessaria a vivere la dolorosa divisione formale della Chiesa cinese tra patriottica e clandestina, ponendo il desiderio che il nuovo accada non solo negli esiti incerti del confronto-scontro tra Pechino e Santa Sede. Dopo l’importante e fruttuoso viaggio del cardinale Etchegaray in Cina compiuto in “audacia apostolica” lo scorso settembre, e di poco stemperate alcune polemiche strumentalizzazioni sulla canonizzazione dei martiri cinesi, abbiamo chiesto al cardinale Paul Shan un suo personale giudizio sulla vita della Chiesa cinese.

Di ritorno dal suo viaggio in Cina il cardinale Etchegaray ha detto di essere «più che mai convinto» della necessità di una «testimonianza di unione» tra i cattolici cinesi…
PAUL SHAN: Sì, concordo con lui, perché la comunione e l’unione dei cattolici sono parte integrante della nostra comune fede cattolica: il cardinale Etchegaray lo ha enfatizzato moltissimo. Siamo convinti che l’unità e la comunione di tutti i cattolici della Cina e di Taiwan con la Chiesa universale siano essenziali. D’altro canto, se siamo separati dalla Chiesa universale, dalla Santa Sede, dal Papa, non siamo più cattolici. Ci possiamo chiamare ortodossi o protestanti, ma non più cattolici.
«Visto da lontano» ha aggiunto Etchegaray circa l’attuale momento vissuto dalla Chiesa in Cina «alcuni sono tentati di tagliare tutto con il coltello come nel giorno del giudizio finale. Ma, vissuto dall’interno, ci si accorge che… si tratta in fondo di una sola Chiesa in cui una fede comune cerca a poco a poco di superare ciò che fino a questo momento separa sfortunatamente “clandestini” e “ufficiali”». Cosa ne dice, visto da Taiwan?
SHAN: Premetto che non posso essere io ad interpretare il cardinale Etchegaray, ma vorrei parlare solo di quello che so… E cioè che la Chiesa in Cina, intendo dire il popolo cattolico laggiù, nel suo cuore vuole essere unita con la Chiesa universale. Vuole essere un popolo di cattolici autentici, mantenere l’autentica Tradizione cattolica e la fede. I cattolici cinesi non chiedono altri privilegi, vorrebbero essere ciò che un vero cattolico dovrebbe essere. E dunque, la Chiesa in Cina ha la stessa fede e la stessa dottrina. Sebbene la loro situazione sia molto diversa dalla nostra in Taiwan. E io credo che i cristiani nella Cina desiderano davvero molto di essere uniti con gli altri cristiani del mondo, specialmente col Papa in quanto capo della Chiesa cattolica.
La vita dei cattolici taiwanesi gode di maggiore libertà: ciò è stato di qualche aiuto per i cattolici della Cina continentale?
SHAN: Di fatto nel 1984 il Santo Padre ci assegnò la missione di essere una Chiesa che fa da ponte, intendendo che noi dobbiamo fungere da mediatori tra la Chiesa locale della Cina e quella universale e tutte le altre Chiese locali. Ma la realtà è diversa, talvolta ci permette di fare qualcosa, talvolta no. Così, ciò che io credo è che noi possiamo pregare per loro, e possiamo aiutarli solo per quanto è possibile. Vi sono cento modi… Abbiamo tradotto testi ecclesiastici e documenti del Concilio Vaticano II per aiutarli, stampiamo degli opuscoli informativi. Noi li aiutiamo in piccoli modi, e facciamo questo lavoro di “ponte” poco a poco quando la situazione permette.
E incontri diretti? Vi sono stati episodi degni di nota?
SHAN: Da Taiwan partono dei professori di teologia per insegnare in alcuni corsi nei loro seminari. È di dominio pubblico che essi sono autorizzati ad entrare nella Cina continentale, e vanno sia al seminario di Shanhai Sheshan che in altri. Abbiamo anche preparato un corso completo di teologia di tre anni e lo abbiamo trasmesso da Radio Veritas, per la gente che voleva studiare teologia o solo sapere qualcosa della fede cattolica o di cultura. Alcuni preti e suore dalla Cina sono stati invitati a Taiwan per vedere coi loro occhi la nostra Chiesa, le parrocchie, le scuole, i seminari. Sono venuti qui due volte per 15 giorni, ed è stata una buona occasione per conoscerci.
Il governo di Pechino può giudicare alcuni gesti della Chiesa taiwanese provocatori.
SHAN: Noi non abbiamo mai provocato alcun conflitto, non vogliamo alcun conflitto, ma facciamo davvero del nostro meglio per promuovere la pace. Noi pure inviamo persone a visitare la Chiesa in Cina. Diamo tutto l’aiuto che ci è possibile, per quanto la situazione consente. La Chiesa a Taiwan è molto piccola e molto giovane, fondata appena 141 anni or sono e all’indomani della Seconda guerra mondiale vi erano più o meno soltanto novemila cattolici in tutta l’isola. Quando la Cina è diventata comunista molti missionari sono stati espulsi e sono andati a Taiwan, e molti preti cinesi che avevano studiato all’estero non poterono ritornare in Cina e così sono approdati a Taiwan. Ora siamo circa 300mila cattolici, abbiamo tre università e circa 50 scuole secondarie e superiori. Perciò, la nostra è una piccola e giovane Chiesa e speriamo di poter fare qualcosa nella nostra maniera umile per aiutare la Chiesa in Cina. Non abbiamo mai neppure provato a provocare, confrontarci o contrapporci alla Cina.
Nella sua visione la Chiesa di Taiwan è realista e pragmatica…
SHAN: Sì, da un certo punto di vista si potrebbe dire così, dato che viviamo in un mondo “realistico”.
Però la canonizzazione dei martiri cinesi avvenuta in Vaticano lo scorso 1º ottobre – festa di santa Teresa patrona delle missioni ma anche festa nazionale del popolo cinese – ha scatenato i violenti attacchi del governo cinese e della Chiesa “ufficiale” alla Santa Sede e prodotto polemiche su chi avrebbe insistito per velocizzare tali canonizzazioni: cioè la Conferenza episcopale di Taiwan, prima tra tutti. È così?
SHAN: Potrei dire che qualcuno di Pechino ha criticato la Conferenza dei vescovi di Taiwan. Le dirò adesso la verità. Molti anni or sono, dopo la beatificazione dei martiri cinesi, anche alcuni dei vescovi della Cina continentale hanno tentato di fare la petizione per la canonizzazione, ma data la situazione e le difficoltà, non l’hanno fatto apertamente. Vorrei dire circa la petizione per la canonizzazione dei martiri cinesi che non solo i vescovi di Taiwan l’hanno chiesta ma anche i vescovi di Hong Kong, il vescovo di Macao e il cardinale Gong Pin Mei dall’esilio, e alcuni vescovi nella Chiesa della Cina continentale, quando è stato possibile scrivere qualcosa. A proposito dunque della petizione, ci sono stati più di cinquanta vescovi cinesi che hanno chiesto la canonizzazione, ed a Taiwan noi siamo in 15!
A proposito della canonizzazione dei 120 martiri cinesi vorrei dire che i responsabili della scelta del 1º ottobre come data della cerimonia, o non sapevano che essa era il giorno della festa nazionale di Pechino, o mancavano di sensibilità politica, eccetto una ingenua buona intenzione di gratificare Pechino. Avranno pensato che la canonizzazione sarebbe stata un grande onore per la Cina, perché da quel momento in poi i santi martiri cinesi sarebbero stati elevati agli onori degli altari e venerati da tutti i cattolici in tutto il mondo. Di fatto tutti i Paesi cristiani tengono in gran conto la canonizzazione dei propri figli e figlie nativi come grande onore nazionale e gloria. Sono sicuro che nel processo di canonizzazione e nella scelta della data nessuno ha avuto la minima intenzione di polemizzare o “confrontarsi” con la Cina. Al contrario, come so, tutti quelli coinvolti nella canonizzazione hanno avuto la sincera buona volontà di dare il pieno rispetto al popolo di Cina. E per quanto concerne il violento attacco della Chiesa ufficiale, si potrebbe riflettere su quanti cattolici davvero essa rappresenti. Ciò che essi [i cattolici della Chiesa patriottica, ndr] dicono in pubblico, davvero esprime i loro intimi pensieri? Se così fosse, quanta gente sarebbe in realtà d’accordo con loro?
Può dirci qualcosa su come vivono quotidianamente la loro fede i cattolici in Taiwan e, se è possibile, quelli della Cina?
SHAN: La fede in Cina è una cosa molto più profonda che a Taiwan. Come dicevo poc’anzi, a Taiwan in maggioranza i cattolici sono “neofiti”, appena ora cristiani. Non custodiscono molto nel profondo le tradizioni cristiane, come invece vengono mantenute nella Cina continentale. Là molti sono cattolici da generazioni e generazioni, dal tempo di padre Matteo Ricci fino ad oggi, cioè già da oltre 400 anni. Il contesto è così difficile che essi debbono davvero tentare di mantenere viva la fede e pregano tanto. Sono gente semplice ed ordinaria, di certo possono non conoscere a menadito la teologia, ma sanno bene che cosa è l’essenziale della loro fede. Essi pregano ogni giorno. Anche nelle campagne, dove la gente è analfabeta, non sanno leggere ma sanno pregare. La loro fede è forte ed è gente disposta a soffrire, anche a sacrificare la vita per la fede. Perciò il cardinale Etchegaray si è tanto commosso nel vedere questa gente così pia. Si potrebbe dire che è pia almeno come in Polonia: quando ci sono difficoltà la gente è più devota che altrove, perché essi si trovano a dare tutto per mantenere viva la fede.
Lei ha citato il gesuita missionario Matteo Ricci. Si arriverà alla sua beatificazione, senza polemiche stavolta?
SHAN: Speriamo e preghiamo che un giorno ci s’arrivi. Matteo Ricci è stato certamente un grande missionario, di fatto è morto per la carità. Aiutò uno dei suoi amici cinesi che era molto malato. Era durante la Quaresima, lui digiunò, era già debole e si ammalò gravemente. È morto molto giovane, sul finire dei cinquant’anni.
E quanto importante sarebbe la sua beatificazione per tutta la Chiesa cinese, sia del continente che a Taiwan?
SHAN: Padre Matteo Ricci è rispettato da tutti, come grande missionario, come l’uomo che ha introdotto la scienza dell’Occidente; egli dette grande attenzione anche all’inculturazione e rispettò la cultura cinese. Permise che la dottrina cristiana e la cultura cinese s’incontrassero nel dialogo.
L’inculturazione, soprattutto in Asia, è un tema delicato, che fa da sfondo anche alla recente Dominus Iesus. Secondo la sua esperienza, quale relazione ci può essere tra cristianesimo e cultura religiosa cinese?
SHAN: Tutta la cultura classica cinese è molto vicina alla fede cattolica, lo è in particolare il confucianesimo, circa la vita morale, l’etica… Ad esempio, nei classici cinesi è davvero difficile trovare qualcosa che contraddica il cattolicesimo. Perciò Matteo Ricci e tutti i grandi missionari del XVI e XVII secolo rispettarono molto la cultura cinese. Penso che a quei tempi sarebbe stato troppo presto per la Chiesa avere la messa in cinese, ma comunque, tramite l’intervento di san Roberto Bellarmino, si ottenne dal Papa l’autorizzazione per i preti cinesi di dire messa in cinese, nonostante ciò non fu poi messo in pratica. Questo è accaduto quattrocento anni fa. Allora vi fu la “controversia sul rito”, che gravi danni recò alla causa della missione in Cina. Durante il tempo di padre Ricci e degli altri grandi missionari, anche molti intellettuali si convertirono. In seguito, dopo la “controversa sul rito”, essi iniziarono a vedere la fede cristiana come una religione straniera.
Dunque sin dall’inizio la prossimità tra cattolicesimo e confucianesimo non generava confusione, neanche nella gente semplice…
SHAN: In generale essi non avevano tale difficoltà. Aderivano alla fede cristiana, e allo stesso tempo mantenevano la tradizione cinese, la pietà filiale verso i loro antenati: è l’omaggio cinese al quarto comandamento sul rispetto dei genitori. Al tempo della “controversa sul rito” certi missionari dell’Occidente pensavano che fosse superstizione anche solo l’inchinarsi in segno di filiale rispetto agli antenati, e ciò veniva proibito. Oggi tutti sanno che questa è una cerimonia civile cui si deve rispetto, e ora siamo autorizzati a praticarla dopo molti anni. Credo che monsignor Costantini, il primo delegato papale in Cina, studiò il tema approfonditamente, sicché in seguito il papa Pio XII consentì ai cattolici cinesi di avere una loro cerimonia di pietà filiale verso gli antenati.
«L’Apostolo [Paolo] ha ammonito la Chiesa perché preghi per i re di questo mondo e per coloro che hanno potere, aggiungendo “affinché possiamo condurre una vita quieta e tranquilla con tutta pietà e carità”». Queste parole dell’apostolo Paolo, riprese da sant’Agostino nel De civitate Dei, suggeriscono qualcosa alla Chiesa di Cina e di Taiwan?
SHAN: Il mondo intero è stato creato da Dio e anche la società umana è stata creata da Dio. Si può essere sia davvero un buon cristiano che, contemporaneamente, un ottimo cittadino di uno Stato di questo mondo. Ecco perché ho detto prima che noi cattolici non vogliamo alcun privilegio speciale dal potere civile ma il permesso di poter vivere come cattolici autentici. Se noi siamo cristiani autentici siamo anche dei buoni cittadini.
Attualizzando, ciò implica il vostro rispetto nei confronti del potere, cioè del governo di Pechino, nella situazione attuale…
SHAN: Sì, noi dobbiamo rispettare il principio che occorre dare a Dio ciò che è di Dio e al governo quanto è del governo. Ma alcune autorità secolari vogliono qualcosa che è di Dio: vogliono controllare ciò che è di Dio. Questo è il terreno del conflitto. Ecco perché vi sono state tensioni e scontro tra le due città, la città di Dio e la città degli uomini. Ma noi dobbiamo mantenere la linea di demarcazione e dare a Dio ciò che è di Dio e allo Stato ciò che è suo. Così, speriamo pure che anche la Chiesa non interferisca in ciò che riguarda le autorità civili, come lo Stato non s’ingerisca in materie della Chiesa. Allora potremo vivere in pace e armonia.
Secondo lei quanto dobbiamo attendere prima di vedere tutti i cattolici cinesi riabbracciarsi l’un l’altro?
SHAN: La Cina continentale progredisce, ed ora è più “liberal” nel business, negli affari industriali ed economici in genere. Così noi speriamo che piano piano la Cina rispetterà la libertà nei settori della politica, della religione, dei mass media e dei diritti umani. La Cina è ora molto più consapevole di poter giocare un ruolo nel teatro mondiale. Non c’è da aver paura dei diritti umani o della libertà. Se c’è questo rispetto per i diritti umani e la libertà, il Paese può svilupparsi più velocemente e adeguatamente.
Saranno il mercato e la globalizzazione a condurre il governo di Pechino ad essere più “liberale” anche verso la Chiesa, più che non il dialogo con la Santa Sede, vissuto talvolta come sfida ideologica?
SHAN: La nostra speranza è riposta nelle giovani generazioni dell’élite di governo cinese, dato che viaggiano molto all’estero e vedono molto di più del mondo libero di quanto poterono i loro predecessori… Sono ottimista e penso che daranno più libertà al popolo e saranno più rispettosi della libertà religiosa e dei diritti umani.
Il potere secolare aiuterà la Chiesa più di quanto può la stessa Chiesa?
SHAN: In un certo senso… Che il potere secolare possa aiutare la Chiesa più che la Chiesa stessa non sono sicuro, ma sono certo che quando il potere mondano e la Chiesa rispettano mutualmente i diritti di entrambi e osservano la regola aurea del dare «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mt 22, 21) allora c’è armonia e vita comune pacifica, fianco a fianco. E si serve il bene materiale e spirituale del popolo. Se la nuova élite cinese avrà il potere reale, potrà seguire l’esempio riformatore di Gorbaciov e forse anche più di lui riuscire a dare alla Cina un futuro migliore e a far rispettare diritti umani e libertà religiosa. In questo senso, dico che il potere secolare può aiutare la Chiesa più che la Chiesa stessa, solo grazie ad un dialogo diplomatico, che è più realistico che non un dialogo ideologico.


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