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DEBITO ESTERO
tratto dal n. 11 - 2000

L’INDEBITAMENTO. «Un insulto alla nostra comune umanità», ha detto Kofi Annan

Usurai d’Occidente


I dati della Banca mondiale attestano che lo scorso anno i Paesi in via di sviluppo hanno ricevuto prestiti per 246 miliardi di dollari, ma ne hanno dovuti pagare 360 come restituzione di precedenti prestiti. E, salvo rari casi, chi per il 2000 si aspettava, da parte dei Paesi economicamente più avanzati, grandi iniziative di condono del debito ai Paesi più poveri, è rimasto deluso


di Paolo Giaretta


Non è un caso che la Tertio millennio adveniente inviti a cogliere l’occasione del Giubileo del 2000 «per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni».
È un tema che sta particolarmente a cuore a Giovanni Paolo II, da lui sollevato fin dal messaggio all’Assemblea dell’Onu del 1985.
È una sfida che il Papa invita ad affrontare con coraggio e lungimiranza, perché accettare situazioni intollerabili di povertà e di squilibrio, negare il diritto di interi popoli alla partecipazione dei progressi dell’umanità significa corrodere le radici della convivenza pacifica tra i popoli e le nazioni. Queste situazioni costituiscono, come ha detto il segretario generale dell’Onu Kofi A. Annan «un insulto alla nostra comune umanità».
Sono stati annullati solo 15 miliardi di debito dei 100 promessi

Sono stati annullati solo 15 miliardi di debito dei 100 promessi

Occorre spezzare il circolo vizioso debito-sottosviluppo che non trova soluzione senza un intervento della comunità internazionale. Le cifre del debito sono la spia del permanere, ed anzi dell’allargarsi, di profonde disparità tra i singoli Paesi: l’estendersi di processi di globalizzazione commerciale e finanziaria non sta affatto portando ad una crescita più equilibrata e continua.
I Paesi indebitati devono rifondere i debiti con valuta pregiata, la cui unica fonte significativa di approvvigionamento consiste nella esportazione di materie prime. Ma il prezzo delle materie prime è costantemente in calo sui mercati cosicché i Paesi più indebitati si trovano due volte sfruttati: perché interessi elevati li obbligano a restituire più volte il capitale prestato, perché la valuta pregiata che devono acquisire costa sempre di più in rapporto alla loro moneta.
È una situazione che porta ad un paradosso: sono i Paesi poveri a finanziare quelli ricchi. I dati della Banca mondiale sui flussi finanziari attestano che nel 1999 i Paesi in via di sviluppo hanno ricevuto 246 miliardi di dollari di nuovi crediti, ma a fronte di questa linea di finanziamento hanno dovuto pagare ai Paesi creditori 225 miliardi di dollari come restituzione di capitale su prestiti precedenti e 135 miliardi di dollari di interesse. In sintesi ciò vuol dire un saldo di 114 miliardi di dollari che sono usciti dalle casse dei Paesi poveri per andare a finanziare quelli ricchi.
Sono risorse sottratte a possibili politiche di sviluppo e di lotta alla povertà. Molti Paesi sottosviluppati spendono da quattro a cinque volte di più per restituire capitale ed interessi sui prestiti ricevuti di quanto possano spendere per le politiche sanitarie, o per l’istruzione di base, o per la fornitura di acqua potabile.
Il vertice di Colonia del 1999 tra i Paesi più sviluppati aveva registrato degli impegni interessanti in direzione della riduzione del debito dei Paesi poveri, sull’onda degli accorati appelli di Giovanni Paolo II e dei movimenti di opinione a livello internazionale promossi da una imponente rete di associazioni di volontariato ecclesiali e laiche.
In modo particolare era importante l’impegno assunto per un miglioramento della iniziativa Hipc (Heavily Indebted Poor Countries, iniziativa per i Paesi poveri maggiormente indebitati) lanciata nel 1996 dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, ma fortemente criticata da più parti per l’esiguo numero di Paesi ammissibili, per la lunghezza delle procedure e per la necessaria adozione da parte di Paesi poveri di politiche di bilancio fortemente restrittive, con disastrose conseguenze sulle politiche sociali.
Gli impegni assunti trovano però attuazione con troppa lentezza: secondo i dati presentati da Jubilee 2000, una delle organizzazioni più impegnate a livello internazionale, alla fine del 2000 solo dieci Paesi tra i 52 più poveri del mondo incominceranno a usufruire di una riduzione del debito, che sarà in media del 34% del totale. Sui 100 miliardi di dollari di annullamento promessi a Colonia solo 15 miliardi saranno annullati alla fine del 2000. Occorre dire però che nell’ultimo scorcio del 2000 vi è stata una certa accelerazione nelle decisioni dei Paesi più sviluppati, con un risultato importante costituito dalla recentissima decisione del Congresso degli Stati Uniti di mettere a disposizione 435 milioni di dollari per le iniziative per la cancellazione del debito.
L’Italia è tra i primi Paesi ad aver approvato un intervento di cancellazione del debito, con l’approvazione da parte del Parlamento a larghissima maggioranza della legge 209/2000.
Si prevede un intervento di annullamento del debito nei confronti di 62 Paesi a basso reddito. L’intervento di annullamento totale o parziale previsto dalla legge italiana coinvolge prestiti complessivamente per un valore di circa 12.000 miliardi di lire.
L’intervento deve essere effettuato nell’arco di tre anni; è anche questo un punto particolarmente importante della legge, perché nella situazione drammatica di molti Paesi debitori la variabile tempo è una variabile essenziale per consentire l’avvio di programmi di lotta alla povertà e di sviluppo delle economie.
Al di là degli aspetti tecnici e dell’entità dell’intervento di riduzione del debito vi sono nella legge tre aspetti di grande rilievo politico.
Il primo punto riguarda la previsione dell’articolo 1, che condiziona l’iniziativa di annullamento del debito al fatto che il Paese interessato si impegni a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, a rinunciare alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie e a perseguire il benessere e il pieno sviluppo sociale e umano. È un principio importante: troppo spesso per il passato l’assunzione del debito da parte di governi dittatoriali è andato in direzione di acquisto di armamenti per sostenere politiche espansionistiche o per attuare all’interno politiche repressive delle minoranze etniche o delle libertà fondamentali e dei diritti degli oppositori.
Il secondo punto consiste nello stabilire un legame diretto tra l’operazione dell’annullamento del debito e la destinazione delle risorse liberate dall’annullamento del debito nei bilanci dei Paesi debitori a politiche di sviluppo: il Paese debitore è infatti impegnato a presentare specifici progetti di impiego delle risorse. Uno spazio particolare viene riservato anche alla cooperazione tra le organizzazioni non governative dei Paesi interessati: il debito può essere annullato con la sua conversione in interventi gestiti da enti ed organizzazioni che abbiano raccolto somme che si affiancano a quelle messe a disposizione dello Stato; la possibilità di un intervento attraverso le organizzazioni non governative è importante perché costruisce “ponti di solidarietà” che non coinvolgono solo i governi (possiamo ricordare che in Italia la Conferenza episcopale italiana sta effettuando una capillare raccolta di fondi per utilizzare le previsioni della legge per intervenire in due Paesi africani).
Infine il terzo punto riguarda la previsione dell’articolo 7 della legge: il governo italiano «nell’ambito delle istituzioni internazionali competenti, propone l’avvio delle procedure necessarie per la richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia sulla coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli».
Vorrei dire che, in prospettiva, è forse la parte più importante della legge. È importante naturalmente un intervento di annullamento del debito il più possibile rapido ed esteso; ma se non si interviene in modo radicale sulle cause e sulle regole che portano alla formazione del debito noi abbiamo la certezza che, anche a fronte di un intervento sul debito molto più intenso di quello oggi previsto, nel giro di qualche anno si avrà il riformarsi di un debito insostenibile per molti Paesi poveri.
La sostanza di questa previsione è questa: molte delle regole applicate ai rapporti finanziari a livello internazionale sarebbero giudicate di tipo usuraio da molti ordinamenti interni dei singoli Stati; occorre perciò assumere una iniziativa per introdurre regole più rispettose dei diritti della parte più debole.
Il prossimo anno si svolgerà in Italia, a Genova, un altro vertice dei Paesi più sviluppati: è importante che diventi una sede di verifica dei risultati ottenuti dopo Colonia e che si possano segnare ulteriori coraggiosi passi in avanti per la cancellazione del debito.


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