Home > Archivio > 11 - 2000 > Il costo della politica
ITALIA
tratto dal n. 11 - 2000

APPROFONDIMENTI. La legge sul finanziamento pubblico dei partiti

Il costo della politica


Tutti sanno che lo Stato non finanzia i partiti politici ma rimborsa le spese sostenute per la campagna elettorale. Con quali modalità?


di Giuseppe Troccoli


La materia della disciplina del finanziamento pubblico dei partiti politici è particolarmente “sofferta” nel nostro Paese e, a partire dal 1974, anno del primo intervento del legislatore, sono state approvate numerose leggi, spesso recanti interventi di segno diverso, e per ben tre volte i cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi a seguito della indizione di referendum popolari.
Attualmente il sistema del finanziamento pubblico dei partiti politici si basa sulla legge n. 157 del 3 giugno del 1999, che ha superato il referendum abrogativo dello scorso 21 maggio. Si tratta di una legge che trae origine dalla constatazione del fallimento (sia per lo scarso favore dimostrato dall’opinione pubblica, sia e comunque per le difficoltà incontrate sul piano della fattibilità amministrativa) del sistema configurato da ultimo dalla legge n. 2 del 2 gennaio 1997, che, nel tentativo di superare almeno in parte il ricorso ai contributi dello Stato, basava il finanziamento dei partiti in quanto tali – indipendentemente cioè dal rimborso delle spese elettorali – oltre che sulle donazioni delle persone fisiche e delle società di capitali e degli enti commerciali, soprattutto sul riconoscimento a ciascun contribuente della possibilità di devolvere liberamente il 4 per mille della propria Irpef a favore del finanziamento di partiti e movimenti politici.

Alla nuova legge del 1999 si è giunti seguendo un difficile percorso segnato da due limiti precisi. Da un lato la volontà dei proponenti – per lo più parlamentari responsabili della gestione amministrativa dei rispettivi partiti – di non optare per una completa privatizzazione del finanziamento dei partiti rinunciando a qualsiasi intervento dello Stato; dall’altro gli esiti del referendum del 1993 nel quale, a stragrande maggioranza, i cittadini italiani si erano pronunciati contro quella parte del sistema di finanziamento pubblico all’epoca esistente basato sulle contribuzioni che lo Stato destinava ai partiti per il loro funzionamento ordinario per il tramite dei rispettivi Gruppi parlamentari, e che aveva lasciato in vigore solo quell’altra parte della legislazione allora vigente che prevedeva la contribuzione dello Stato ai partiti come rimborso per le spese sostenute in occasione delle diverse consultazioni elettorali.
In questa situazione la scelta obbligata per i proponenti della nuova legge era stata quella di concentrarsi sullo strumento del rimborso da parte dello Stato delle spese elettorali, che, come abbiamo visto, non era stato abrogato dal referendum del 1993, ma che andava naturalmente ampliato sia quantitativamente che qualitativamente per rispondere alle esigenze complessive di funzionamento dei partiti politici.
E allora vediamo che la nuova legge attribuisce (art. 1) ai movimenti e partiti politici un rimborso in relazione alle spese sostenute per le campagne elettorali per il rinnovo della Camera, del Senato, del Parlamento europeo e dei Consigli regionali, così come già previsto dalla legislazione precedente non toccata dal referendum, ma con modalità parzialmente diverse e in quantità molto più consistenti.
Quanto alle modalità del rimborso c’è innanzitutto da osservare che con la nuova legge si stabilisce che le procedure relative alle erogazioni rientrano completamente nelle competenze dei presidenti della Camera e del Senato (quest’ultimo limitatamente alle elezioni per quella Assemblea) ed avvengono a carico dei bilanci interni delle rispettive Assemblee, con risorse appositamente trasferite dal bilancio statale. Vengono così ad essere eliminate le competenze che la precedente legge n. 2 del 1997 attribuiva ai ministri del Tesoro e delle Finanze date le caratteristiche delle procedure per la quantificazione e la ripartizione della contribuzione volontaria prevista da quella legge.
Una novità interessante (art. 1, c. 2) che costituisce la risposta dei proponenti della nuova legge alla annosa polemica nei confronti di quelle forze politiche che pur dichiarandosi contrarie pubblicamente al finanziamento pubblico vi hanno poi sempre fatto ricorso regolarmente, consiste nella previsione che i partiti che intendono usufruire dei rimborsi devono farne richiesta, a pena di decadenza, entro dieci giorni dal termine per la presentazione delle liste elettorali, e non più, come nel sistema precedente, in un momento successivo allo svolgimento delle elezioni (e della relativa campagna elettorale).
Il meccanismo configurato prevede l’esistenza di quattro fondi distinti, uno per ciascuna consultazione elettorale, ognuno pari alla somma di lire 4.000 per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera, per un totale di circa 196 miliardi per ciascun fondo. È previsto anche, e questo costituisce una novità assoluta della legge, un rimborso per i comitati promotori dei referendum dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale, per una somma pari a 500 milioni di lire, con la previsione di un ulteriore limite massimo di 5 miliardi di lire annui: il tutto a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto.
Tutti i rimborsi – e questa è una importante novità contenuta nella legge, sia rispetto al sistema di rimborsi elettorali preesistenti, sia rispetto a sistemi vigenti in altri Paesi, e che ci sembra confermare la opinione che, al di là delle definizioni usate, si sia voluto nei fatti introdurre un vero e proprio finanziamento permanente dei partiti per far fronte alle esigenze della loro gestione ordinaria – sono ripartiti in un periodo temporale che comprende l’intera durata della legislatura. Infatti è previsto che entro il 31 luglio del primo anno della legislatura venga corrisposto il 40% della somma spettante e in ciascuno dei quattro anni successivi venga corrisposta, alla medesima data, una somma pari al 15% dell’ammontare complessivo. È anche prevista l’interruzione dei relativi rimborsi annuali in caso di scioglimento anticipato della Camera o del Senato e si dispone che il pagamento sia effettuato anche nel caso sia trascorsa una frazione di anno, eccetto nel caso del primo anno di legislatura. È anche prevista una sorta di norma transitoria, dettata probabilmente dalle difficoltà economiche in cui versano attualmente i nostri partiti, che dispone per i rimborsi relativi alle consultazioni che avranno luogo entro il 2000 (elezioni europee e regionali per la Sardegna del 1999 ed elezioni regionali e referendum del 2000) che essi siano corrisposti in una unica soluzione.
Sul criterio proposto per la determinazione dell’ammontare dei fondi sono da fare alcune considerazioni.
La prima attiene alla scelta di fare riferimento non più, come in passato, al numero degli abitanti risultanti dall’ultimo censimento, bensì agli iscritti alle liste elettorali della Camera. Il criterio adottato intende dare una risposta alle critiche di quanti avevano sostenuto che, con il precedente criterio, si imponeva un onere indifferenziato anche a carico di quei cittadini che per l’età o per altri motivi non possono partecipare alle votazioni. C’è da osservare però che non si è ritenuto opportuno di fare il passaggio logico successivo, certamente, per altro verso, rischioso: quello di passare a un criterio che basasse l’ammontare della contribuzione sul numero dei votanti, attuando così il principio che “chi vota, paga”, senz’altro più corretto sul piano del rispetto della volontà popolare. Ma c’è da dire che con il livello ormai raggiunto dalle astensioni si sarebbe davvero corso il rischio di incentivare ulteriormente l’astensionismo e di falsare il risultato elettorale.
C’è poi da osservare, sul piano quantitativo, che la nuova legge prevede rimborsi per complessivi circa 980 miliardi di lire per legislatura, cifra superiore al tetto massimo delle contribuzioni volontarie previsto dalla legislazione precedente, e che l’aumento disposto per i rimborsi elettorali ha obbligato a prevedere una modifica alla legislazione vigente in materia di limiti alle spese elettorali per consentire di elevare quasi di quattro volte il tetto delle spese elettorali consentite ai partiti politici. È pertanto facile anticipare che, non essendo prevedibile che le spese elettorali effettive dei partiti possano espandersi oltre certi limiti (a parte ogni considerazione sulla opportunità di incentivare fenomeni del genere quando più opportunamente in altri Paesi si cerca invece di ridurre il tetto delle spese consentite), alle prossime consultazioni elettorali si dovrà registrare un ulteriore incremento nel differenziale, già oggi vistoso, tra quanto i partiti percepiscono a titolo di rimborso per le spese elettorali e le spese effettivamente sostenute dai partiti stessi in occasione delle campagne elettorali.

Sul meccanismo per il rimborso delle spese elettorali previsto dalla nuova legge c’è da notare ancora che:
1) non è stata prevista alcuna clausola di rivalutazione periodica degli importi per tener conto della svalutazione monetaria;
2) la materia del rimborso delle spese per le elezioni suppletive, non prevista nella nuova legge, rimane disciplinata dalla precedente legge del 1993 (art. 9 bis legge n. 515 del 1993) così come ritenuto da entrambe le Camere in sede di deliberazione dei piani di ripartizione relativi alle elezioni suppletive del 27 giugno 1999;
3) l’erogazione dei rimborsi non è vincolata alla prestazione di alcuna garanzia bancaria o fideiussoria;
4) è scomparso (rispetto alla precedente legge n. 2 del 1997), l’obbligo, a decorrere dal 2001, di riservare almeno il 30 per cento del finanziamento ricevuto alle strutture decentrate dei partiti politici (cosicché il partito resta, da questo punto di vista, una struttura completamente accentrata). Tale vincolo di destinazione è stato sostituito con l’altro (previsto all’articolo 3), a favore della partecipazione attiva delle donne alla politica: in base a tale disposizione ogni partito destina almeno il 5 per cento dei rimborsi ricevuti a iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla vita politica;
5) si mantiene ferma la previsione della sanzione consistente nella sospensione, da parte dei Presidenti delle Camere, della erogazione dei fondi di rispettiva competenza nei casi di violazione delle norme in materia di rendiconto dei partiti (art. 8 legge n. 2 del ’97).
Per concludere sul meccanismo di rimborso c’è da notare che la nuova legge introduce (articolo 2) un’innovazione per quanto attiene ai requisiti per partecipare al riparto delle somme. Infatti pur restando tali requisiti sostanzialmente quelli configurati in precedenza, si prevede, in relazione al fondo per le spese elettorali della Camera, come requisito minimo, che possano partecipare al riparto i partiti che abbiano superato la soglia del 4 per cento dei voti validi ovvero che abbiano ottenuto un eletto nei collegi uninominali e abbiano conseguito almeno l’uno (e non più il tre) per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale. Il che sembra in controtendenza con l’esigenza, pure largamente condivisa, di cercare di evitare un’eccessiva frammentazione dei partiti.
Ci si è soffermati, finora, sul meccanismo del rimborso elettorale, che è un po’ il nocciolo duro, il pilastro fondamentale della nuova legge. Ma occorre tener presente che essa, non discostandosi in questo dalla logica della precedente legge n. 2 del 1997, da un lato mantiene e cerca anche di potenziare l’altro pilastro del finanziamento dei partiti così come era previsto da quella legge, cioè quello basato sulle erogazioni liberali delle persone fisiche e delle società di capitali e commerciali, dall’altro, al tempo stesso, cerca di seguire, sia pure non con la decisione richiesta da più parti, anche la via delle agevolazioni, fiscali e non, a favore dei partiti politici.
E infatti, per quanto concerne le erogazioni liberali (art. 4), restano in vigore le disposizioni della legge n. 2 del 1997, limitandosi la nuova legge a modificare i tetti degli importi detraibili (per il 19 per cento) dall’imposta lorda: essi passano rispettivamente da 500.000 e 50 milioni di lire a 100.000 e 200 milioni di lire (fermo restando che il mancato gettito derivante da tali agevolazioni non può superare i 50 miliardi annui di lire).
Per quanto concerne la materia delle agevolazioni a favore dell’attività dei partiti politici, la nuova legge prevede poi alcune esenzioni ed agevolazioni fiscali per una serie di atti posti in essere dai partiti e movimenti politici (statuti, trasferimenti, occupazioni di suolo pubblico, ecc.). Inoltre è previsto che gli enti locali possano prevedere forme di utilizzazione di loro strutture idonee a ospitare manifestazioni e iniziative dei partiti politici con oneri a carico degli enti locali stessi.
La legge contiene infine alcune disposizioni volte a disciplinare la transizione dal sistema previsto dalla legislazione precedente al nuovo regime di contribuzioni (artt. 6 e 7) e a prevedere (art. 8) una delega al governo a emanare un testo unico compilativo nel quale riunire e coordinare tutte le norme esistenti in materia di rimborso di spese elettorali e finanziamento a favore di partiti, movimenti politici e candidati a cariche elettive, in materia di agevolazioni in loro favore e in materia di controlli e sanzioni, nonché (art. 10) l’abrogazione di una serie di norme non più compatibili con il nuovo sistema di finanziamento.
Per concludere con una osservazione personale di carattere generale, non si può non rilevare che anche il legislatore del 1999 ha perso, come i suoi predecessori, l’occasione offerta dalla discussione in Parlamento di una iniziativa legislativa in materia di finanziamento pubblico dei partiti, per dettare una regolamentazione organica del partito politico nel suo complesso, intervenendo in particolare nella materia degli statuti dei partiti: ciò al fine di garantire la necessaria democraticità e trasparenza nella vita interna dei partiti e i diritti e i doveri degli iscritti ai partiti stessi che restano ancora, malgrado il ruolo fondamentale assunto nel nostro Stato democratico, delle semplici associazioni non riconosciute.


Español English Français Deutsch Português