L’Aracoeli dei pittori romani
Il ritrovamento di un eccezionale affresco nella chiesa che fu per secoli il cuore della vita cittadina di Roma ha riacceso un antico dibattito. Dove iniziò la rivoluzione pittorica avvenuta a cavallo tra il XIII e il XIV secolo in Occidente?
di Stefania Falasca
Madonna col Bambino tra san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista, Maestro romano della fine del Duecento, Cappella di San Pasquale Baylon, Basilica di Santa Maria in Aracoeli, Roma: qui un particolare
Qui, in questa splendida chiesa francescana, per secoli cuore della vita cittadina di Roma, in quella che sembrava la cappella più modesta, dedicata a san Pasquale Baylon, e che fino a ieri era dominata dal dipinto di un pittore spagnolo della seconda metà del Seicento, è stato ritrovato un affresco della fine del Duecento. Una Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista che rifulgono ancora per l’oro purissimo che fu steso sulle aureole rialzate delle sacre figure. Più in là una figura di Cristo accompagnato da angeli e da san Pietro, ed ancora dei festoni sorretti da putti alati, la torre di una città perfettamente scorciata, di color rosso, del tutto analoga ad una presente nella Basilica Superiore di Assisi. Sono solo frammenti, appena un quindicesimo del totale, di un grande affresco che ricopre interamente le pareti della cappella e che è ancora nascosto sotto le ridipinture e gli stucchi. Ma questi primi brani, giunti a noi in condizioni quasi perfette, già bastano a far ritenere che si tratta di un’opera eccelsa del nostro Medioevo. La scoperta è recente. Il giovane studioso, esperto di pittura romana del Duecento, cui va il merito di questo importante ritrovamento, è Tommaso Strinati, figlio di Claudio Strinati, soprintendente ai Beni storici e artistici di Roma.
All’inizio di aprile, Strinati, coadiuvato da Claudia Tempesta, responsabile dei restauri alla chiesa dell’Aracoeli, e da Marina Righetti, direttrice della scuola di specializzazione in Storia dell’arte medioevale e moderna dell’Università La Sapienza di Roma, ha iniziato ad investigare su alcune cappelle della navata destra dell’Aracoeli e sul transetto dove è attestato che lavorò un grande pittore romano di fine Duecento, Pietro Cavallini, del cui lavoro sono rimaste poche tracce e di cui è andato completamente distrutto l’affresco absidale demolito nel Cinquecento. Gli studiosi si sono soffermati sull’ultima cappella della navata destra dove si ritiene possibile un intervento di Arnolfo di Cambio e dove trent’anni fa erano già stati fatti dei saggi di restauro. Quei saggi rilevarono la presenza di una decorazione in affresco di epoca medioevale, ma i lavori non furono proseguiti. Alla fine dello scorso luglio la scoperta, dietro la tela d’altare, della Madonna col Bambino.
Strinati, seppure con grandissima cautela, ha già espresso delle ipotesi a riguardo. «Il soggetto mariano che lascia supporre un ciclo di affreschi dedicato alla Madonna» afferma, «credo rappresenti una dormitio Virginis. La tecnica pittorica, la tessitura cromatica con la quale è eseguito l’affresco, mi riferisco soprattutto al volto del Bambino, caratterizzato da una fortissima presenza plastica, fa ritenere possibile la mano di un pittore di strettissimo ambito romano, cavalliniano forse, per le forti analogie sia con le figure dipinte da Pietro Cavallini nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, sia con il grande anonimo detto il Maestro d’Isacco nella Basilica Superiore di Assisi; e ritengo non azzardata, anche se prematura, una datazione agli inizi del 1290». «Le pitture», aggiunge inoltre, «per la loro ricchezza, lasciano supporre un patronato gentilizio, ad esempio dei Colonna. Ci vorranno tuttavia alcuni anni prima di riportare alla luce l’intera decorazione e quindi formulare plausibili risposte».
Particolare, san Giovanni Battista
Secoli di renovationes Urbis uniti a qualche disastro, come l’incendio che ha demolito la Basilica di San Paolo, hanno infatti provocato la distruzione di chilometri quadrati di mosaici e affreschi, lo smembramento di centinaia di monumenti e la manomissione fino alla cancellazione di decine e decine di architetture. Vale a dire la sostanziale cancellazione dell’immenso cantiere di architettura, scultura e pittura che fu Roma alla fine del Duecento, alla vigilia del primo Giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII, dove vengono a lavorare decine e decine di artisti e dove convergono anche noti maestri toscani tra cui Cimabue, Arnolfo di Cambio e Giotto. Da qui soprattutto l’estrema importanza e rarità di questo ritrovamento. Potranno, dunque, questi affreschi, che rimettono con forza l’accento sulla “questione romana”, far luce su quella grande stagione pittorica che si è espressa a Roma alla fine del Duecento? Potranno far chiarezza su quegli stretti legami che uniscono Roma ad Assisi? E non sarà proprio l’Aracoeli un laboratorio avanguardistico dove si incontrano maestranze toscane e romane sviluppando quelle soluzioni che si ritroveranno ad Assisi? E non sarà Cavallini il maestro di Giotto, il pittore romano dal quale Giotto impara a dipingere figure di straordinario realismo?
Tutte domande che forse potranno trovare una risposta anche dalla definitiva riscoperta del ciclo completo degli affreschi dell’Aracoeli, augurando che non valga, almeno in questo caso, quanto diceva Socrate: «I prodotti della pittura ci stanno davanti come se vivessero, ma se li interroghi, mantengono un maestoso silenzio».