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EDITORIALE
tratto dal n. 09 - 2000

Dopo il Meeting



Giulio Andreotti


A chi si chiede perché il Meeting di Rimini costituisca ormai in modo consolidato, anzi con un ritmo crescente, un avvenimento di grande risonanza, credo si possa rispondere così. Innanzitutto non è contro ma per, cioè si ispira a una concezione di fondo positiva, a differenza di tanti incontri dai toni solo polemici e non di rado sguaiati. È inoltre un momento di comunione, nel quale si parla e si ascolta con grande rispetto verso tutti: persone e orientamenti culturali. Momento anche di preghiera, che smentisce certe opinioni espresse sulla stampa circa le Giornate della gioventù, attorno ad un supposto contrasto tra meditazione e vivacità collettiva. Qui si crede al “guai al solo” e non alla “beatitudine degli isolati” (vae soli e beata solitudo sola beatitudo). In una parte del programma figura infine un approfondimento di stampo politico con la P maiuscola, al di fuori di ogni contingente preoccupazione partitica e con lo sguardo rivolto ai problemi internazionali. Vi sono vocazioni politiche applicate (spesso a scarso contenuto oggettivo e propositivo) e impostazioni di forte spessore civile e sociale. Queste ultime hanno ospitalità nel Meeting, in una ottica cosciente di integrità che respinge il fondamentalismo di ogni tipo.


L’incontro del 22 agosto 
nell’auditorium della Fiera di Rimini 
dal titolo Libertà di vivere in pace. Mediterraneo mare nostrum

L’incontro del 22 agosto nell’auditorium della Fiera di Rimini dal titolo Libertà di vivere in pace. Mediterraneo mare nostrum

La Giornata estera del 2000 era stata impostata attorno ad una riflessione ricognitiva sul Mediterraneo. Lungo la strada si è articolato il tema in due direzioni.
Da una parte il Medio Oriente, visto dopo la delusione di Camp David, nel ricordo vivissimo di un grande amico del Meeting, lo scomparso sindaco di Betlemme Elias Freij. Il metodo negoziale – aiutato anche dal dialogo interreligioso, tuttora non facile – deve considerarsi l’unica via valida. Sul punto spinoso dello status di Gerusalemme è essenziale acquisire e mantenere la coscienza che debba assicurarsi la convivenza come base ineludibile per ogni decisione istituzionale politica e diplomatica. Un modello originale di città aperta deve essere costruito con il superamento di tante barriere, senza nulla togliere alla fondatezza storica delle tesi che si contrappongono e delle giuste esigenze conseguenti.
Significativi rappresentanti del mondo arabo (non solo palestinese) hanno esposto il loro avviso a Rimini, dove nell’anno scorso era risonata l’autorevolissima voce del nuovo presidente algerino, espressione della volontà di pace in un Paese a lungo lacerato dalla guerra civile. Ascoltammo da lui riconoscimenti importanti del ruolo del cristianesimo; non solo con l’evocazione del nativo sant’Agostino, ma con la memoria del grande cardinale Duval, figura epica della loro indipendenza, al quale si deve il superamento di una visione della Chiesa cattolica come espressione dei colonizzatori europei. Quest’anno abbiamo ascoltato dello stesso Bouteflika un messaggio importante, letto da un suo ministro. Hanno fatto seguito inviati speciali del nuovo re del Marocco (Paese chiave del mondo islamico) con accenti importanti di distensione e di pace.
L’altro aspetto esaminato al Meeting ha riguardato il rapporto politico tra la sponda mediterranea europea e quella africana anche come esperienza di “dialogo euro-africano” senza più esclusioni (vedi Libia) e con contenuti incisivi molto più consistenti di quelli fino ad ora messi a disposizione. Non è solo una necessità umanitaria – e sarebbe già sufficiente – ma la previsione che in mancanza di una programmazione del genere vi sarebbero esplosioni violente di collera con tentativi di emigrazione massiccia verso l’Europa.
Ma in Africa qualcosa si muove. Anche se se ne è parlato poco nella stampa mondiale, il vertice dei capi di Stato riunito a Lomé ha deciso qualche mese fa di sostituire la tenue Organizzazione dell’unità africana (Oua) con una Unione africana le cui linee strutturali saranno elaborate in un biennio. Gli africani accusano l’Occidente di disinteresse verso di loro e sostengono – con qualche fondamento – che nella lunga stagione della guerra fredda tra Est e Ovest da ambedue le parti si inviavano a molti Paesi del continente nero forti aiuti… strategico-politici.


Alla tavola rotonda è venuta meno, per un intoppo logistico, la partecipazione del rappresentante israeliano che però all’indomani ha partecipato ad una riunione dedicata alla proposta di parte sefardita per un piano di indennizzo ai profughi, che può avviare, con un apporto originale, il superamento della incomunicabilità, che ha ostacolato finora ogni tentativo di pacificazione costruttiva.
Con competenza ed in termini molto apprezzati ha dato invece il suo apporto alla Giornata estera il dottor De Mistura, rappresentante in Italia del segretario generale dell’Onu.
Il Meeting è già al lavoro per il 2001. Quando vi sono ospiti stranieri per così dire di prima grandezza il rilievo è certamente maggiore. Ma quel che conta di più è il far prendere coscienza dei problemi veri del mondo e, a nostra volta, dimostrare ad alcuni Paesi che le loro ansie sono da noi condivise, nella ricerca comune di avvio a concrete soluzioni.
Purtroppo il divario tra ricchi e poveri invece di diminuire aumenta. Come vediamo in questo stesso numero, anche i solenni impegni presi in sede Fao non si stanno attuando.


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