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RIFORME ELETTORALI
tratto dal n. 01 - 2007

Maggioranze variabili


Nel 1996 è stata introdotta la possibilità di eleggere il papa non solo con i tradizionali due terzi dei voti, ma anche con la semplice maggioranza assoluta dei suffragi. Piccola storia di una innovazione che ha suscitato critiche e sospetti incrociati


di Gianni Cardinale


Nel libro di George Weigel Benedetto XVI. La scelta di Dio, recensito in queste pagine, si fa cenno a una questione riguardante il “sistema elettorale” previsto dalla normativa vigente in occasione del conclave del 2005, quando è stata applicata per la prima volta la costituzione apostolica Universi dominici gregis. Sistema elettorale che almeno su un punto specifico ha visto un cambiamento rilevante rispetto al passato e che ha suscitato un certo dibattito e qualche apprensione. Nella costituzione apostolica suddetta infatti è stata introdotta la possibilità di poter eleggere il papa con la semplice maggioranza assoluta e non con la maggioranza qualificata dei due terzi, prevista da una quasi millenaria tradizione canonistica. Ma andiamo per ordine.

Cardinali elettori entrano in processione  nella Cappella Sistina il 18 aprile 2005, per il conclave che eleggerà papa Benedetto XVI

Cardinali elettori entrano in processione nella Cappella Sistina il 18 aprile 2005, per il conclave che eleggerà papa Benedetto XVI

Universi dominici gregis: le piccole innovazioni...
La Universi dominici gregis fu firmata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio (festa della Cattedra di san Pietro apostolo) del 1996, e presentata nella Sala stampa vaticana il giorno dopo con una conferenza stampa presieduta dall’allora arcivescovo – oggi cardinale – Jorge María Mejía, all’epoca segretario della Congregazione per i vescovi e quindi anche segretario del Collegio cardinalizio. Nell’occasione venne sottolineato che rispetto alla normativa precedente, contenuta nella Romano pontifici eligendo, emanata da Paolo VI nel 1975, i cambiamenti erano minimi. «Chi, dunque», venne detto, «volesse cercare o si aspettasse di trovare cambiamenti sostanziali nell’attuale insieme di norme, andrebbe ovviamente deluso».
La Universi dominici gregis ribadisce infatti che l’elezione del papa spetta solo ed esclusivamente ai cardinali con meno di ottant’anni, e conferma che il numero di porporati elettori non deve superare i centoventi. Viene di nuovo esclusa quindi la possibilità che sull’elezione del successore di Pietro possano intervenire i presidenti delle conferenze episcopali o che il Papa possa essere eletto da un sinodo o da un concilio di vescovi. Agli ultraottantenni, Giovanni Paolo II ha concesso poi l’onore di animare la preghiera «del popolo di Dio radunato nelle Basiliche patriarcali dell’Urbe, come pure in altre chiese delle diocesi sparse nel mondo intero». Giovanni Paolo II ha stabilito inoltre che gli elettori del papa siano tutti i cardinali «a eccezione di quelli che, prima del giorno della morte del sommo pontefice o del giorno in cui la Sede apostolica resti vacante, abbiano già compiuto l’ottantesimo anno di età». Per Paolo VI invece potevano partecipare tutti i porporati, «a eccezione di quelli che al momento dell’ingresso in conclave hanno già compiuto l’ottantesimo anno di età». In pratica succede che con la normativa in vigore possono, al contrario di quella precedente, votare anche i cardinali che compiano gli ottant’anni nei quindici-venti giorni di pausa previsti tra la morte del pontefice e l’inizio del conclave. La Universi dominici gregis prevede poi che «nessun cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto». La Romano pontifici eligendo era al proposito più esplicita e stabiliva che nessun porporato poteva essere escluso «dall’elezione, attiva e passiva, del sommo pontefice, a causa o col pretesto di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o di altro impedimento ecclesiastico; queste censure dovranno ritenersi sospese solo agli effetti di tale elezione [del papa, ndr]».
Come poi avvenuto nel conclave del 2005, la Universi dominici gregis continua a prevedere che le operazioni di voto si svolgano nella Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo, che si trova all’interno del Palazzo apostolico vaticano. Quello che è cambiato, è che i cardinali non risiedono più nel medesimo palazzo, dove venivano sistemati in alloggi di fortuna, alcuni dei quali senza servizi, ma nella più comoda e accogliente Casa di Santa Marta. Non si è più ripetuto quindi ciò che accadde nel 1978, quando il cardinale belga Leo Jozef Suenens si trovò davanti il peruviano Juan Landázuri Ricketts in accappatoio che gli chiese di utilizzare la doccia, perché nella sua “cella” non c’era…

... e l’unica vera novità
Ciò che invece è cambiato di sostanziale riguarda il sistema elettorale per eleggere il papa. Fino al ’96 i modi previsti erano tre. «Per acclamazione», quando i cardinali senza votare proclamavano il nuovo papa all’unanimità e a viva voce. «Per compromesso», quando, in caso di particolare difficoltà a trovare un accordo, decidevano all’unanimità di affidare a un gruppo di loro (tra i 9 e i 15) il potere di eleggere, al posto di tutti, il pastore della Chiesa di Roma. Con la Universi dominici gregis queste modalità sono state cancellate. Chi presentò il documento nella Sala stampa vaticana, per giustificare l’abolizione del sistema «per acclamazione», se la cavò con una battuta: «È difficile che fra centoventi persone si realizzi una tale convergenza e c’è il rischio di confondere la discesa dello Spirito con altre cose, deresponsabilizzando gli elettori». La battuta piacque molto al periodico statunitense Newsweek (11 marzo 1996) che la pubblicò nella rubrica Perspectives, che raccoglie le frasi celebri e curiose della settimana. Nella Universi dominici gregis rimane quindi solo quella che prima era la terza modalità che prevede l’elezione per voto con la maggioranza qualificata dei due terzi. Ma attenzione. Nel caso in cui il conclave si protragga per trentatré-trentaquattro scrutini in tredici giorni, i cardinali possono decidere di eleggere il nuovo papa con la sola maggioranza assoluta dei suffragi. A dire il vero, anche nella Romano pontifici eligendo – dopo ventisei scrutini in dieci giorni di conclave – era prevista questa possibilità. Ma solo nel caso in cui tutti i cardinali, nessuno escluso, avessero deciso in tal senso. Con la Universi dominici gregis, invece, questa variante può essere introdotta dalla maggioranza assoluta del Sacro Collegio. La variazione non è di poco conto. Prima poteva accadere che nei confronti di un candidato ci fosse l’opposizione intransigente di un terzo del Sacro Collegio. Questo bastava a non far eleggere quel candidato. Ora non è più così. Un papa potrà essere eletto solo con la maggioranza assoluta. In pratica, nel caso in cui i cardinali elettori fossero centoventi, se prima era necessaria la convergenza di ottantuno votanti per eleggere il nuovo papa, ora ne potranno essere sufficienti sessantuno. Quando la Universi dominici gregis venne presentata alla stampa questa innovazione non venne segnalata nel testo di presentazione preparato per l’occasione, e, solo su esplicita richiesta di un giornalista, l’ecclesiastico che presentò la Universi dominici gregis ammise che su questo punto c’era stato un cambiamento rispetto al passato, minimizzandolo...

I due terzi: una regola «sempre conservata scrupolosissimamente per molti secoli»
In realtà il cambiamento c’è stato, eccome. L’introduzione, seppure in determinate condizioni, della possibilità di eleggere un papa con la maggioranza assoluta, contraddice una tradizione secolare, che risale al Concilio Lateranense III celebrato a Roma sotto papa Alessandro III nel 1179. Proprio nel primo canone di quel Concilio infatti si stabilì che «poiché il nemico non cessa di seminare la zizzania, se non vi è l’unanimità fra i cardinali per la scelta del pontefice, e, pur concordando i due terzi, l’altro terzo non intende accordarsi o presume di eleggere un altro, sia considerato romano pontefice quello che è stato eletto e riconosciuto dai due terzi».
Fino alla Universi domini gregis tutti i documenti pontifici dell’ultimo secolo che riguardano l’elezione del vescovo di Roma hanno strettamente conservato questa norma (cfr. sinossi). Così ha fatto san Pio X nella sua Vacante sede apostolica (1904), così ha fatto Pio XI nel suo “motu proprio” Cum proxime (1922), così ha fatto Pio XII nella sua Vacantis apostolicae sedis (1945), così ha fatto Giovanni XXIII nella sua Summi pontificis electio (1962), e così ha fatto Paolo VI nella Romano pontifici eligendo (1975). Anzi papa Sarto, papa Pacelli e papa Roncalli hanno sottolineato come la regola dei due terzi fosse stata «sempre conservata scrupolosissimamente [religiosissime] per molti secoli»; mentre papa Montini si è “limitato” a definirla «una volta data e da allora conservata scrupolosamente [religiose]». Non solo, per rendere più “pura” la regola dei due terzi, Pio XII e Paolo VI avevano stabilito che per risultare eletto il nuovo papa avrebbe dovuto ottenere i due terzi più uno dei voti, e questo per rendere ininfluente ai fini del raggiungimento del quorum l’eventuale voto dato a sé stesso dal candidato risultato eletto. Per la norma varata da Giovanni XXIII, invece, bastavano i semplici due terzi. Così è anche per la Universi dominici gregis, solo che poi la costituzione varata nel 1996 prevede, al contrario delle precedenti, la possibilità che la maggioranza assoluta degli elettori possa decidere di eleggere il papa con la semplice maggioranza assoluta.

I frontespizi degli ultimi documenti pontifici dedicati al conclave

I frontespizi degli ultimi documenti pontifici dedicati al conclave

Critiche e sospetti incrociati
L’innovazione elettorale prevista dalla Universi dominici gregis è stata forse l’elemento più criticato di questa costituzione apostolica (anche se non sono mancati rilievi per il ruolo, superiore rispetto al passato, che ora è attribuito al prefetto delle cerimonie pontificie e al sostituto della Segreteria di Stato, a scapito di quello storicamente riservato al segretario della Congregazione per i vescovi e quindi del conclave…). E le critiche sono venute sia da “sinistra” che da “destra”, generando anche dei sospetti incrociati. Come ha scritto Weigel l’«innovazione storica» introdotta dalla Universi dominici gregis non è stata «universalmente gradita», perché «si pensava avrebbe consentito a una maggioranza semplice di aspettare fino a che avrebbe potuto imporre la propria volontà all’intero corpo dei cardinali elettori». Negli Stati Uniti i giudizi più critici sono venuti dal gesuita liberal Thomas I. Reese – successivamente direttore del settimanale America – che li ha argomentati nel suo libro del 1996 Inside the Vatican. The politics and the organization of the Catholic Church (Harvard University Press, Cambridge, Massachussets). John L. Allen jr – inviato di punta del settimanale progressista National Catholic Reporter – nel suo libro Conclave (Doubleday, New York 2002) ha spiegato che negli ambienti più progressisti si temeva che la nuova legge elettorale potesse favorire la componente più conservatrice del Sacro Collegio, che avrebbe potuto contare su una maggioranza assoluta ma non dei due terzi. Anche Alberto Melloni, della “officina” bolognese, nel suo Il Conclave (Il Mulino, Bologna 2001) ha manifestato perplessità sull’innovazione. Ma una netta difesa di questa è venuta da un porporato considerato “liberal”. E si trova in un volume pubblicato alla fine del 2003 dalla Libreria Editrice Vaticana, il Commento alla Pastor Bonus e alle norme sussidiarie della Curia Romana, curato da monsignor Pio Vito Pinto, uditore di Rota. In questo tomo la Universi dominici gregis è stata commentata dal compianto cardinale Mario Francesco Pompedda in modo alquanto autorevole, visto che lo stesso Pompedda da decano della Rota romana era stato tra i più stretti collaboratori della Segreteria di Stato nella compilazione del documento in questione. Ebbene, Pompedda ha valutato l’introduzione della maggioranza semplice come «uno degli aspetti positivi» della nuova normativa. E il Corriere della Sera (19 ottobre 2006), nel ricordare Pompedda dopo la sua morte, lo ha definito «il giurista liberal della Curia romana».
Nel Collegio cardinalizio invece le voci più critiche sono arrivate da porporati considerati “conservatori”. È il caso del cileno Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino, che Weigel nel suo libro indica come promotore, nel 2001, di alcune iniziative tese a favorire il ritorno della vecchia normativa. Ma queste proposte non ebbero conseguenze. Nella Curia romana infatti le valutazioni non erano unanimi. Si dice che l’allora cardinale Joseph Ratzinger abbia guardato con una certa simpatia all’iniziativa promossa dal cardinale Medina Estévez. Sarà interessante ora verificare se e come papa Benedetto XVI deciderà di intervenire su questo punto specifico.
Nel secolo scorso tutti i pontefici hanno legiferato sulle norme del conclave, con due eccezioni: Giovanni Paolo I, che ovviamente non ne ebbe il tempo, e Benedetto XV, che in oltre sette anni di pontificato non lo ritenne necessario.


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