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ARTE CONTEMPORANEA
tratto dal n. 01 - 2007

Guardando a Est


I destini dell’arte contemporanea si decidono ancora a Miami, Basilea, Londra e New York. Ma Berlino sta diventando il polo più interessante, grazie anche alla valorizzazione degli artisti dell’Est europeo. Il parere di tre esperte d’eccezione su filosofia e mercato della produzione artistica dei nostri giorni


di Stefania Vaselli Piga


Pescatori, Jaroslaw Modzelewski, 
tempera su tela, 2006

Pescatori, Jaroslaw Modzelewski, tempera su tela, 2006

In dicembre a Miami, negli Usa, si è conclusa come ogni anno la stagione delle grandi fiere di arte contemporanea, mondo poco conosciuto dall’uomo della strada, che si interroga confuso su cosa è arte e cosa non lo è, ma intorno a cui ruotano interessi economici giganteschi (gli investimenti legati al mercato dell’arte contemporanea sono sempre più apprezzati anche perché poco sensibili alle crisi economiche e geopolitiche seguite all’11 settembre e alla guerra in Iraq). Su un altro piano, poi, l’arte contemporanea rappresenta uno degli indicatori più chiari della vitalità di un Paese. Art Basel Miami Beach, direttamente collegata con la fiera di Basilea, Svizzera, è l’evento più importante al mondo per collezionisti, galleristi e naturalmente artisti, la vetrina più qualificata e qualificante dell’arte moderna, sponsorizzata dall’Ubs (Unione delle banche svizzere). Si svolge a giugno, ed è seguita a ruota dall’Art Forum di Berlino, una delle più innovative e coraggiose fiere internazionali che a ottobre 2006 è arrivata all’ottava edizione. Un forum di successo, quello di Berlino, riflesso della vivacità culturale della capitale tedesca dove vivono critici, artisti e curatori che vogliono sperimentare il nuovo. Clima ben diverso da quello italiano, in cui difficoltà praticamente insormontabili per gli artisti e per le gallerie impediscono al Paese che accoglie l’80 per cento del patrimonio artistico mondiale, di competere nel settore dell’arte contemporanea, motore culturale ed economico di grande rilievo per i Paesi leader in questo settore. Proprio all’Art Forum di Berlino abbiamo rivolto alcune domande a tre esperte d’eccezione: Erika Hoffmann, gallerista, direttrice della Fondazione Hoffmann, una delle più importanti per l’arte contemporanea, non solo tedesca; Sabrina van der Ley, direttrice artistica dell’Art Forum di Berlino 2006, e Anda Rottemberg, polacca, critico d’arte, direttrice del programma per la costruzione del Museo d’arte contemporanea di Varsavia e curatrice della mostra “Arte polacca del XX secolo” che si aprirà in Vaticano nell’autunno del 2007.

L’arte contemporanea, cioè l’idea che oggi si possa produrre arte, è un concetto che appartiene ancora alla nostra cultura?
Erika Hoffmann: L’arte è necessaria per vivere. Un’esperienza personale cui non possiamo rinunciare. Chiunque la cerchi nella vita di tutti i giorni non può che rispondere così.

Anda Rottemberg: Certo che esiste! È provato che l’arte rappresenta una delle necessità basilari dell’umanità e così sarà sin quando esisterà il genere umano. Semmai si tratta di un problema “cognitivo”, poiché oggi l’arte sta perdendo costantemente le proprie caratteristiche “artificiali” e non è facile fare una distinzione tra ciò che è arte e ciò che non lo è. Anche perché sono mondi che nella realtà incontriamo mescolati.

Sabrina van der Ley: Certo che l’arte è un concetto che ci appartiene. Negli ultimi anni vi è stato un forte e crescente interesse del pubblico per l’arte contemporanea. Le mostre nelle gallerie, nei musei e nelle fiere d’arte sono visitate da un numero sempre crescente di persone e questa è la miglior prova che entrare a contatto con l’arte è un’esigenza sentita della gente.

Il mercato dell’arte contemporanea poggia su un ideale triangolo, di cui un vertice è costituito dal binomio Basilea-Miami, il secondo da New York e il terzo da Londra: quale può essere in questo contesto il ruolo di Berlino e di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est (Polonia, Ungheria, Lituania, ecc.) che si stanno affacciando con vivacità sulla scena internazionale?
Hoffmann: Berlino potrebbe essere per le gallerie dell’Europa dell’ex blocco comunista il luogo privilegiato per mettere sotto la luce dei riflettori la produzione dei propri artisti. Ma la cosa che oggi è necessaria, è un sostanziale supporto finanziario per questi Paesi che aspirano a entrare stabilmente nel mercato dell’arte contemporanea a livello mondiale. Un mercato che è molto sviluppato, ma che presenta anche zone d’ombra.

Rottemberg: Prima o poi il mercato internazionale dell’arte assorbirà le opere di valore da tutti i Paesi che stanno ultimando la loro transizione. Vi sono sempre più nomi di artisti dell’Est europeo, prima presentati solo da gallerie stimate per la loro serietà, che trovano spazio nelle fiere d’arte internazionali. Il vero problema è come sollecitare i collezionisti di quei Paesi emergenti ad aiutare il mercato dei loro artisti. Per tutto questo ci vorrà del tempo e le istituzioni pubbliche dovranno aiutare questo processo elaborando una scala di valutazione delle opere non solo in base al mercato che hanno, ma in termini di qualità artistica.

van der Ley: Credo che Berlino non avrà problemi nell’affermarsi. Anche se Basilea, Miami, Londra e New York continuano a decidere se e quanto vale un’opera e a determinare il destino dell’arte contemporanea, la Germania è un mercato molto forte, dal quale possono trarre profitto anche altri. Collezionisti e musei tedeschi sono ambìti ovunque, così come gli artisti e le gallerie di quel Paese. Berlino, dove vivono e lavorano molti talenti da scoprire e molti artisti internazionalmente rinomati, è divenuta il più vitale palcoscenico d’arte in Europa. Non si può operare nel mondo dell’arte contemporanea senza passare per Berlino almeno una o due volte l’anno, per visitare la Fiera, le esposizioni in gallerie, i musei e gli studi di artisti. Vi è inoltre un forte interesse per gli artisti originari dei nuovi Stati della Ue; specialmente l’arte polacca è sulla cresta dell’onda, seguita dagli altri Paesi dove il mercato si sta appena formando. Ci sarà molto da vedere nei prossimi anni.

Portiere, Szymon Urbanski, olio su tela, 2003

Portiere, Szymon Urbanski, olio su tela, 2003

Per migliaia di anni sia l’arte visiva e plastica che l’architettura si sono sviluppate soprattutto nel rispondere alle credenze religiose. Oggi sembra che solamente l’architettura abbia mantenuto un certo collegamento con l’arte sacra. Essendo voi in contatto con artisti e collezionisti di vari Paesi, potete dirci la vostra opinione in proposito?
Hoffmann: I miei contatti sono soprattutto con artisti e collezionisti che hanno abbandonato i confini della religione per godere della libertà di scegliere sia i soggetti che i mezzi di espressione. Comunque cerco anche opere d’arte che offrano esperienze di trascendenza.

Rottemberg: Non condivido questa affermazione nel suo complesso. Sin dal Rinascimento l’arte ha trovato una sua via laica, non più legata solamente al sacro. È una questione molto delicata, oggetto di infinite dissertazioni scientifiche. Dal punto di vista contemporaneo possiamo osservare diversi tipi di spiritualità, non necessariamente collegati con le Chiese ufficiali, con le religioni tradizionali o che si ispirino a episodi della Bibbia. Questa linea è molto forte nell’arte moderna e contemporanea almeno dall’apparizione della Piazza Nera di Malevic.

van der Ley: Nel passato i committenti dell’arte e dell’architettura erano le autorità religiose e l’aristocrazia, forse perché gli unici ambienti culturalmente e al contempo finanziariamente elevati. E gli artisti, quindi, dovevano fare estrema attenzione alle esigenze e alle idee dei committenti, proprio perché erano pochi. Oggi in Europa chiunque può raggiungere un alto livello culturale e, per quanto riguarda il potere economico, il collezionare e il supportare l’arte non è più una prerogativa del potere religioso o della nobiltà. Direi piuttosto che, in conseguenza degli avvenuti mutamenti sociali, questo ruolo è stato assunto quasi interamente dal settore privato, da grandi società, e in parte dallo Stato. I governi democratici hanno preso il posto delle monarchie e dunque è lo Stato che provvede alle esigenze dei musei. I nobili, assai potenti nell’epoca feudale, sono stati rimpiazzati dal potere industriale e finanziario. Non mi è altrettanto chiaro, invece, per quale motivo la Chiesa non sostenga di più l’arte contemporanea. Ovviamente, non avendo più il potere temporale, non ha più la ricchezza su cui poteva contare nel Rinascimento e nel Seicento, e quindi mi sembra che la Chiesa investa più in progetti sociali, anziché nella cultura e nell’arte. Si tratta solo di un cambiamento dei tempi. Oggi l’arte può prendere spunto da un’infinità di soggetti: politici, sociali, filosofici. La religione può farne parte ma raramente è il tema scelto per un’opera d’arte.

Esiste un parallelismo tra il momento attuale di globalizzazione e il Rinascimento, periodo nel quale l’arte era considerata universale? Possiamo dire che globale sta per universale?
Hoffmann: Nel Rinascimento gli artisti aspiravano a una universalità spirituale e intellettuale diversa da quella cui aspirano gli artisti contemporanei. Mi sembra di capire che la maggioranza di quelli con cui lavoro e che frequento desidera solo che il proprio lavoro venga apprezzato in tutto il mondo, mantenendo al contempo alcune espressioni artistiche della tradizione del Paese d’origine.

Rottemberg: La nozione di universalità nel Rinascimento era riservata in Europa a un gruppo molto ristretto di cultori dell’arte. Ora dobbiamo prendere in considerazione qualcosa che sia comprensibile su scala mondiale. Questo significa che l’arte dovrebbe trovare sia un linguaggio narrativo sia soggetti di comune interesse. In effetti molti soggetti artistici, interessanti e di valore, sono ispirati a un comune sentire dell’esistenza e a una spiritualità condivisa da tutte le tradizioni religiose. Non descrivono una fede, ne cercano piuttosto il nucleo.

van der Ley: Non vedo questo parallelismo. L’Umanesimo ha generato una nuova coscienza e una nuova fiducia nelle qualità e capacità dell’uomo e nel suo ruolo nel mondo. Probabilmente il Rinascimento, e successivamente l’“Età della Ragione”, sono stati tra i più importanti momenti di cambiamento della società occidentale e dell’Europa, per non parlare del capitalismo e del mercato. Altre società hanno avuto e hanno processi storici diversi, per cui l’uomo universale del Rinascimento non è l’uomo globalizzato. Il mercato, quello sì, è diventato universale.


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