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AFRICA
tratto dal n. 09 - 2000

CHIESA CATTOLICA. Intervista con il superiore generale dei Missionari della Consolata

La mia Africa di libertà e missione


Il continente nero porrà a tema questioni vitali per la Chiesa come unità nelle cose essenziali, libertà nelle forme liturgiche, collegialità nel governo. Parla Piero Trabucco


Intervista con Piero Trabucco di Giovanni Cubeddu


Giovani missionari in Mozambico. 
Dice Trabucco: «I primi sacerdoti africani venivano formati a Roma, 
e ritornando a casa si sforzavano 
di ripetere quanto appreso. 
Mentre ora si va evidenziando 
una maggiore “fisionomia africana”»

Giovani missionari in Mozambico. Dice Trabucco: «I primi sacerdoti africani venivano formati a Roma, e ritornando a casa si sforzavano di ripetere quanto appreso. Mentre ora si va evidenziando una maggiore “fisionomia africana”»

«L’anno scorso un confratello mi ferma e mi dice: “Padre generale, scusami, è da un po’ di anni che sono in Kenya, ora vorrei andare in missione”. “E dove?” replico io. Mi risponde: “In Europa”».
La battuta appartiene ad uno dei tanti sacerdoti africani dell’Istituto Missioni Consolata e ce la racconta il superiore generale padre Piero Trabucco, che incontriamo. I suoi missionari si apprestano a festeggiare i cento anni da quando il beato fondatore Giuseppe Allamano creò la congregazione missionaria. La creò attribuendo tutto alla Provvidenza, perché «questa casa l’ha posseduta il Signore sin dall’inizio», diceva. Per i denari, il beato fondatore si affidava a Lei, la Consolata, «la Padrona».
Ritorniamo al giovane prete africano desideroso di svolgere il suo ministero nella vecchia Europa con penuria di vocazioni.

Sono ormai in tanti come lui. Un vero fiume che sorge dall’Africa ma anche dall’America Latina e in parte anche dall’Asia: tutte le tradizionali terre di missione…
PIERO TRABUCCO: …E paradossalmente ciò provocherà una “crisi” nella Chiesa, se la intendiamo come struttura. Ancora ieri noi europei immaginavamo la Chiesa nell’abbondanza di clero secolare e di religiosi; ora, diminuendo le vocazioni, nel giro di venti o trent’anni ci sarà definitivamente bisogno che vengano altri preti, e questi “altri” saranno gli africani. L’esodo dall’Africa verso la Chiesa occidentale è già iniziato. Nei contatti che abbiamo tra superiori degli istituti missionari e vescovi africani stiamo esaminando perché tanti preti africani vengono attualmente in Europa: in Italia sono già oltre mille, e molti di più in Francia. I vescovi africani sanno di aver ricevuto la fede da quella stessa Europa che adesso ha bisogno di loro, però sono anche preoccupati che l’Europa ricca non sia agli occhi di tanti seminaristi una meta per motivi meno ideali… E sono cauti, attenti a questo flusso, che vorrebbero preso per mano.
Certamente i prossimi decenni vedranno un cambiamento molto forte nella Chiesa.
A che livello?
TRABUCCO: A Roma e in Europa vi saranno molti più africani, latinoamericani, asiatici. Qualcosa muterà, anche perché le Chiese africane sempre di più vorranno esprimersi come tali, allo stesso modo in cui oggi è percepibile un accento diverso nella Chiesa dell’America Latina, passata la teologia della liberazione. In fondo ambedue queste Chiese chiedono di essere totalmente fedeli a Roma, ma di essere libere nella loro identità, africana o latinoamericana. I primi sacerdoti africani venivano formati a Roma, e ritornando a casa si sforzavano di ripetere quanto appreso. Mentre ora si va evidenziando una maggiore “fisionomia africana”.
Che cosa intende?
TRABUCCO: La si nota nel clero, nei religiosi, nel modo di fare la pastorale, nell’evangelizzazione: è il desiderio di evitare le strutture materiali e intellettuali e cercare la vicinanza della gente. Un aneddoto: in qualsiasi nostra missione noi abbiamo le automobili – è la cosa più naturale di questo mondo – poiché ci hanno affidato parrocchie immense e ne abbiamo bisogno. Ma attualmente i vescovi africani non hanno assolutamente denaro e dicono: «Ai nostri preti non daremo la macchina, ma la bicicletta». Una cosa banale, la povertà, eppure è un modo diverso di stare in missione, perché così il prete tutti lo vedono arrivare e venire, stare a contatto con la gente. E ancora, in Africa sempre si costituiscono piccole comunità ecclesiali di base – molto diverse da quelle dell’America Latina – con una loro struttura, il loro responsabile, con i laici che svolgono vari ministeri. In tante comunità il sacerdote va e assiste, non ha dimora. Perciò sono i laici, diciamo più semplicemente la povera gente, che annunciano il Vangelo, curano i malati, amministrano i funerali. Ecco già due elementi: la povertà e la laicità.
E durerà questa modalità di vita?
TRABUCCO: Le Chiese africane dipendono in buona parte dagli aiuti dall’estero. Tutti i vescovi locali dicono che se si vuole che la Chiesa africana abbia un futuro, deve essere autonoma, senza elemosinare all’estero – come molti prelati africani fanno tuttora nel loro “giro” periodico in Europa e Stati Uniti in cerca di fondi. La gente locale invece provvede per tentativi: in un villaggio si coltiva il campo anche per pagare i catechisti o dare al sacerdote un compenso, oppure con i prodotti della terra si offre la “decima” alla Chiesa. Queste cose fino ad alcuni anni fa non avvenivano, perché c’erano i missionari europei “ricchi”. La fede di questa gente è fiorita da un’occasione così. Non è per pauperismo che lo dico. E comunque il grande flusso di aiuti europei ed italiani verso l’Africa non è più lo stesso da anni. È attraente il modo africano di fare pastorale. Il prete, non avendo da gestire nulla, lascia a noi le “opere” – « voi avete la scuola, voi dovete gestirla…» dice – mentre lui accompagna uno per uno la sua gente, la conforta, la spinge nelle braccia della Chiesa, insomma. Certamente è meno “efficiente” – se noi vogliamo una scuola, in due anni c’è; se dipende dagli africani, ce ne vogliono dieci –. Però è il suo cammino, e il popolo è contento. Questa contentezza è un grande sintomo.
Piero Trabucco. «Non è più tempo 
di cultura. È solo tempo di testimoniare Gesù»

Piero Trabucco. «Non è più tempo di cultura. È solo tempo di testimoniare Gesù»

Da buon missionario lei fa il tifo per “questa” Chiesa.
TRABUCCO: Combacia con il nostro stile missionario, paziente, umano.
Sul punto dei soldi aggiungo che già anni fa un missionario protestante – sappiamo quanto i protestanti siano sovvenzionati – affermava che il denaro europeo e americano danneggia più che sviluppare la missione. Dobbiamo di cuore aiutare i tanti che sono nell’estrema povertà, e quanti sono!, ma favorire o programmare una Chiesa condizionata nella sua stessa vita da agenti esterni economici… quantomeno non è sano.
L’affacciarsi della Chiesa africana nel mondo cattolico porta con sé questioni delicate: l’accettazione del celibato da parte dei sacerdoti locali, i tentativi di creare una liturgia più africana…
TRABUCCO: Nessuno vuole dipingere una situazione idilliaca. Gli africani vengono da tradizioni in cui spesso il celibato non si sa che cosa sia. Fa eccezione l’Etiopia, dove il cristianesimo ha tradizione secolare grazie alla Chiesa copta e il celibato è inteso correttamente. Ma nella cultura africana veramente non lo si apprezza per il valore che esso ha, per cui può capitare che i preti accettino a volte un comportamento che non è all’altezza dell’impegno che si assumono nella Chiesa. Non possiamo essere d’accordo, ma ci vuole pazienza, anche se il celibato non è un dogma, è una norma di Chiesa, e certamente è un valore e una bellezza reale, talvolta così evidente, alla quale rinunciare è peccato. Se la loro cultura oggi crea un clero che zoppica, vi sono invece dei laici che sono incantevoli, perfetti come impegno, come dedizione a Gesù.
Adesso la liturgia africana…
TRABUCCO: Il clero africano è stato formato per lo più secondo la Tradizione, non conosce altre vie. E dunque, quando parliamo di inculturazione della fede, non possiamo imporla noi, devono pensarci loro, che però – se onestamente devo dire ciò che ho visto – si sentono un po’ “legati”, anche perché gli stessi vescovi locali non aprono più di tanto le porte a questa ricerca. Forse ne temono gli aspetti confusionari. La liturgia in uso in Africa è quella latina, con aggiunta di elementi africani – ad esempio nel battesimo, nelle danze inserite nella liturgia, nei canti.
E secondo lei che cosa garantisce che alla fine non si faccia confusione?
TRABUCCO: La Chiesa di Roma e le Chiese del vicino Oriente sono diverse eppure sono, anzi, è la stessa, unica Chiesa. Adesso l’Africa stenta a venir fuori con un suo rito “popolare”, e c’è molta più diversità tra il Medio Oriente e Roma, che non tra Roma e l’Africa. Forse ci vorrebbe il coraggio di fare un tentativo, non per la novità in sé, ma per far sì che in quella liturgia la gente si senta a casa, tocchi che quello è il suo cristianesimo, espresso con immagini africane, che diano loro maggiore conforto, prossimità umana. Perché è sempre lo stesso Cristo, lo stesso Vangelo, la stessa Eucarestia. È chiaro che l’Eucarestia che celebriamo noi non è quella che celebrava san Paolo, c’è stato un cammino della Chiesa. Suggerisco: se siamo uniti sull’essenziale, il resto potrebbe svolgersi nella creatività.
C’e poi un altro elemento importante, che idealmente ci riporterebbe al primo millennio cristiano…
Quale?
TRABUCCO: Chiederci quale è e sarà il ruolo delle conferenze episcopali. Il rapporto tra i vescovi (anche africani) e Roma, la collegialità, il magistero del papa… Sono temi non da poco che attualmente si dibattono. Molti auspicano più decentralizzazione, e che l’Africa abbia la sua autonomia con le sue conferenze episcopali, i suoi sinodi, pur sempre nella comunione con la Chiesa di Roma, che da sempre rende visibile la comunione di tutti coloro che amano Gesù Cristo. La collegialità è un tema con un valore molto ampio, da discutere.
A lei piacerebbe un “patriarca” dell’Africa…
TRABUCCO: L’unico precedente che da questo punto di vista possiamo esaminare è il “rito congolese”, in cui peraltro si nota una grande cura nelle parti interessate dal cambiamento: vi sono inserite, ad esempio, le invocazioni agli antenati, che nel canone romano certo non abbiamo, le abluzioni, canti e danze…
Il rito dell’invocazione degli antenati

Il rito dell’invocazione degli antenati

Mi sia permesso dire che personalmente trovo la Chiesa africana tanto ricca di umanità e religiosità. Mi impressiona sempre partecipare ad una messa locale, che dura ore, è partecipata, si danza all’inizio, a metà, alla fine, e tutti cantano, tutti! C’è lo scambio dei doni con una processione che dura venti minuti tra melodie e feste. Alla fine della liturgia si parla e ci si racconta quanto è capitato in quella settimana, come in una vera comunità. Si decide chi andare a trovare perché bisognoso, ed è un’intera famiglia che va e soccorre un’altra. In Africa non c’è la misura del tempo, e per la messa la gente viene al mattino, fa anche due ore di viaggio a piedi, sta lì tutta la giornata, e ritorna la sera. La domenica è il giorno dell’incontro: c’è la messa e poi un piccolo mercatino dove si fa qualche baratto, i giochi e i balli dei bambini. Certamente è tutto un altro mondo.
Torniamo alla liturgia africana.
TRABUCCO: Si era tentato di introdurre nella messa un piccolo sacrificio, non pagano ma penitenziale, inteso come “sacrificio di purificazione”. Ma non è andata bene.
Perché? Com’era questa “aggiunta”?
TRABUCCO: Si invoca Dio, poi si comincia a spargere un po’ di frutta o parte di un animale, ad indicare il male che è in noi e che viene bruciato via, perché Dio nella sua misericordia ci perdona. Ma sa che cosa capita? Che mentre noi pensiamo: «Guarda com’è espressivo», gli africani dicono: «Questo lo facevano i nostri vecchi, è pagano, non cristiano. Non se ne fa nulla!».
…gli africani fanno la parte dei conservatori.
TRABUCCO: Sì, perché hanno alle spalle una tradizione non cristiana e vogliono troncare di netto con la loro storia. È un punto tanto delicato sul quale occorre accompagnarli, evitare traumi. Quando ero in Kenya negli anni Settanta, le prime volte cantavamo il gregoriano o nostri canti italiani semplicemente tradotti nelle lingue locali; poi i nostri cristiani kenioti hanno cominciato a introdurre le loro melodie. E all’inizio, lo ricordo bene!, i sacerdoti africani e a volte persino i catechisti, erano contrari: «Per voi questi suonano come bei canti africani, per noi i canti cristiani sono solo quelli che voi ci avete insegnato. Il resto è paganesimo» replicavano duri.
È un frangente in cui è richiesto tanto discernimento.
TRABUCCO: Si procede a poco a poco. Abbiamo visto che una volta superato il tabù delle loro radici pagane poi sono stati gli stessi africani a comporre i loro canti, secondo le loro belle nenie, i loro modi “dialogici” con i due cori che si rispondono, tutto danzato… e allora va bene così: è la loro umanità potente, è tutta intera la loro storia che abbraccia Gesù. Però l’inizio è ostico, perché c’è un equivoco, e questi poveri cristiani è come se fossero le vittime di uno scontro culturale. Mentre il cristianesimo è libertà…
Non bisogna soffocare l’elemento religioso di ogni popolo. Attorno all’Eucarestia ci possono essere canti e tanti gesti: dire «scambiatevi un segno di pace» per loro equivale a dare inizio a una grande danza.
È finita l’epoca in cui i missionari assieme al Vangelo portavano anche la cultura occidentale. Ora più che mai è chiaro che non è più tempo di cultura, perché ognuno allora ha la sua e gli africani sempre più stanno rivendicando la loro. È solo tempo di testimoniare Gesù. Storicamente sta diventando chiaro, per fortuna non solo in Africa.


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