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PERSONAGGI
tratto dal n. 09 - 2000

Michail Gorbaciov

L’uomo che non si è rassegnato alla mitologia dell’89


L’ex presidente dell’Urss aveva capito che il sistema non poteva durare così com’era. Ma la sua coraggiosa svolta politica trovò resistenze sia nei governi comunisti dei Paesi satelliti (che di lì a poco sarebbero stati travolti dal crollo del muro di Berlino) sia in molti Paesi occidentali (ai quali forse non interessava che Gorbaciov ce la facesse). Pubblichiamo il contributo che il nostro direttore ha preparato per un volume che uscirà per festeggiare i settant’anni di Gorbaciov nel 2001


di Giulio Andreotti


1° dicembre 1989.
Michail Gorbaciov in visita 
a Roma da papa Wojtyla

1° dicembre 1989. Michail Gorbaciov in visita a Roma da papa Wojtyla

Sono passati venticinque anni dalla firma dell’Atto di Helsinki. Il veder riuniti tutti gli Stati europei – compresa la Santa Sede ed esclusa solo l’Albania che si era rintanata in un totale isolamento – rappresentava una novità assoluta. Ma non provocò tra i popoli grande emozione. Diciamo pure che non si riconosceva a questo fatto – nuovissimo – una effettiva validità. Non era nemmeno un trattato internazionale vero e proprio, obbligante attraverso le ratifiche dei Parlamenti.
Tre anni prima ero andato, come presidente del Consiglio, in visita a Mosca. Nel fascicolo di preparazione gli uffici suggerivano grande prudenza sull’argomento di questa iniziativa multilaterale. La diffidenza veniva dal clima di rigida contrapposizione Est-Ovest, che costituiva una sorta di pregiudiziale insormontabile. Tuttavia nei colloqui con Kossighin e Gromyko fui colpito dai giudizi molto positivi che davano sul rapporto con Nixon e Kissinger: non vi era quindi l’incomunicabilità ritenuta (erano invece spaventati dall’idea che in Germania potesse vincere Strauss; non tanto per la sostanza politica, ma per l’immagine che di lui si aveva al Cremlino).
Aldo Moro sottoscrisse l’Atto di Helsinki nella doppia veste di primo ministro e di presidente di turno della Comunità. A chi scetticamente gli chiedeva che significato potesse mai avere questa firma, mentre Breznev aveva ribadito la “sovranità limitata” dei suoi alleati, rispose con fermezza: «Breznev passerà; e il seme che ora abbiamo gettato darà i suoi frutti».
In questa luce va storicamente inquadrata la svolta segnata da Michail Gorbaciov. Profondamente innovatrice e coraggiosamente con forti critiche sul passato non poteva però – né doveva – classificarsi come controrivoluzionaria. Sarebbe stato del resto assurdo un disegno di restaurazione. Il compito che Gorbaciov si assunse fu gigantesco: voltata pagina doveva scrivere le nuove, costruendo modelli possibili, non essendogli certo consentito di aderire ai superficiali consigli stranieri di affidarsi meccanicamente alla economia di mercato. Sul delicatissimo comparto dei diritti umani accettò il metodo proposto da Reagan di abbinare la discussione con quella della forte riduzione degli armamenti nucleari. In questo contesto accettò anche formali suggerimenti americani di modifiche alla legislazione che fino a quel momento davano una giuridica legittimazione alle persecuzioni e ai soprusi sovietici. Il nuovo corso di Mosca non poteva non ripercuotersi sugli altri Stati del Patto di Varsavia. Recatosi in missione nella Germania dell’Est, Gorbaciov trovò quei dirigenti non solo chiusi ad ogni autocritica, ma caparbiamente convinti della assoluta solidità del loro apparato. La filosofia del Muro che impediva ogni contaminazione con l’esterno continuava a dominare tutta l’ispirazione politica. Gli scricchiolii che Gorbaciov aveva avvertito e sui quali li aveva messi in guardia non furono minimamente registrati dai compagni tedeschi.
Il crollo del Muro non tardò ad avvenire; e il boato si ripercosse in tutti i satelliti provocando un capovolgimento abissale, che nel caso della Romania fu tragicamente drammatico.
Luglio 1991, un’immagine del G7 a Londra

Luglio 1991, un’immagine del G7 a Londra

La Romania era stata sempre un po’ atipica; ma ci domandavamo se le libere uscite del signor Ceausescu fossero davvero il frutto di una contestazione; o se i dirigenti sovietici volessero abilmente fare sondaggi ufficiosi e anche dare l’impressione di un margine di flessibilità nel sistema. L’unico caso nel quale il contrasto era certo fu la partecipazione polemica dei romeni alle Olimpiadi di Los Angeles, in pieno dissenso con i sovietici. Il pubblico della California riservò ai dissidenti romeni e cinesi accoglienze trionfali.
Far accettare l’unificazione tedesca al popolo sovietico (e in particolare ai militari) non era agevole per Gorbaciov. La disponibilità finanziaria di Bonn aiutò nell’attutire l’impatto del rientro di un numero così alto di ufficiali e di soldati; peraltro momentaneamente drogati dalla gioia di un cambio favoloso dei propri risparmi (ben poco c’era da comprare, di qui l’accumulo degli stipendi di tanti anni). La dichiarata parità tra i due marchi fu come vincere una lotteria.
Su un piano pubblico il governo Kohl venne anche in aiuto finanziando gli alloggiamenti delle unità che rientravano in patria.
Gorbaciov dimostrò grande saggezza nella questione religiosa, che aveva per lui un duplice aspetto: lo spirituale e la connessione con il rapporto con il Vaticano.
L’ateismo di Stato aveva contrassegnato a fondo la dittatura comunista. Accanto alla repressione vi erano stati anche momenti ridicoli. Vissi uno di questi a Kiev durante una visita. Era domenica e avevo chiesto di andare alla messa. Si scusarono. Non c’erano sacerdoti cattolici (e non era vero, perché uno clandestino esisteva ed era a loro ben noto). Nessuna difficoltà da parte mia; sarei andato in una chiesa ortodossa. Tutto bene. Alle quattordici, come da intesa, il piccolo corteo di macchine arrivò sul posto e trovammo la porta sbarrata. Grande sorpresa (apparente) e molte scuse; ma le autorità non potevano dare ordini al clero. Così niente messa. Arrossii per loro.
Il protocollo delle delegazioni ufficiali a Mosca, su domanda, includeva però nel programma la vicina città sacra di Zagorsk e venimmo ricevuti solennemente, con discorsi, merenda, offerte di icone del locale centro di pittura, ecc. Da qui, dove Chiesa e Stato si rispettavano, partirono anche i due osservatori al Concilio Vaticano II, ritenuti dai Servizi esteri – forse con perfida malignità – emissari del Kgb.
Il giorno dopo l’incontro con i monaci a Zagorsk, Kossighin mi domandò ironicamente se mi fossi annoiato. Gli risposi che a Leningrado avevo notato le grandi fotografie di lui con il patriarca Alessio durante l’assedio. Cambiò discorso.
8 novembre 1999.
Kohl, Bush 
e Gorbaciov celebrano a Berlino, con il sindaco 
della città, il decimo anniversario della caduta del Muro

8 novembre 1999. Kohl, Bush e Gorbaciov celebrano a Berlino, con il sindaco della città, il decimo anniversario della caduta del Muro

Gorbaciov, a parte un suo sottofondo di sensibilità personale in proposito, prese netta distanza dall’ateismo. Dichiarò anzi (discorso sul Campidoglio di Roma) che la religione non solo può giovare ma di fatto giovava al progresso del suo popolo. Accolto a braccia aperte da Giovanni Paolo II non ebbe timore di urtare la suscettibilità del Patriarca moscovita. Ed intrecciò con il Papa un rapporto di reciproca comprensione, direi anzi di amicizia.
Non sfuggiva altresì a Gorbaciov che nelle Repubbliche asiatiche dell’Unione il fattore islamico poteva essere – in chiave positiva o negativa – un elemento importante. E nel disegno di una graduata autonomia per queste Repubbliche se ne doveva tenere conto.
Purtroppo proprio l’impossibilità di questa differenziazione nel costruire il postcomunismo condusse Gorbaciov alla crisi (anche se vi furono anche altri fattori). Ho nitido il ricordo della sua venuta a Londra ospite del G7. Parlò con il cuore in mano, ad un livello di alta politica. Certamente un bisogno primario era l’aiuto finanziario internazionale per arginare la situazione catastrofica che si era creata. Ma non era questo il punto principale. Ci chiedeva di aiutarlo a realizzare un articolato programma di autonomie, non insistendo sull’immediato ritorno alla sovranità dei tre Paesi baltici. Che dovessero avere piena indipendenza, nessuna obiezione. Ma alla fine del programma generale e non subito. L’accoglienza a questo appello fu freddissima, se ben ricordo, salvo da parte di Mitterrand e nostra. Non fu neppure recepito e discusso questo risvolto, concentrandosi il dibattito nelle riforme economiche e su questioni minori. Anche la signora Thatcher – che pure aveva dato a Gorbaciov una apertura di credito politico quando gli altri lo snobbavano – adottò il fine di non ricevere. Così Gorbaciov se ne tornò a Mosca con la sola concessione (!) di essere appoggiato per entrare come osservatore nel Fondo monetario. Mi sono chiesto se fosse incomprensione obiettiva dei problemi o se, tutto sommato, il successo di Gorbaciov non interessasse più di tanto.
Quel che cominciò presto ad accadere a Mosca e dintorni è ancora circondato, per me, da parecchi punti interrogativi, compreso il comportamento di alcuni tra i massimi dirigenti del governo.
D’altra parte gli occidentali – non tutti – non gradirono la prudenza di Gorbaciov dinanzi alla crisi del Golfo, scambiando per scarsa comprensione quello che era un dovuto e responsabile tentativo per far tornare indietro Saddam Hussein dal Kuwait senza dover impegnare le armi. Lo sforzo, gestito con saggezza insieme a Primakov, non riuscì; e l’ombra della non solidarietà fu a loro contestata.
Quali fossero i gravi problemi interni che Gorbaciov doveva affrontare lo si comprende ogni giorno di più guardando ciò che passa in tante Repubbliche dell’ex Unione. Così pure è sintomatico che, via Gorbaciov dal potere, il discorso internazionale per ridurre l’altra metà delle armi nucleari rimaste si è arenato.
Partecipo, con amicizia e adeguata comprensione del ruolo da lui avuto, alle celebrazioni per i primi settanta anni di vita del personaggio, il cui significato storico certamente nessuno potrà mai cancellare.


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