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BACHELET VENT’ANNI DOPO
tratto dal n. 05 - 2000

Bachelet redattore capo della rivista Civitas

Quando scriveva che il destino dell’Italia dipendeva dalla fine dello scontro franco-tedesco



di Paolo Emilio Taviani


Quando, il 19 aprile del 1950, lasciai la segreteria nazionale della Democrazia cristiana per consentire la convergenza in direzione di tutte le correnti, mi venne assegnato l’incarico di dare nuova vita alla rivista culturale del partito.
Così nacque Civitas, che già aveva avuto due brevi esperienze: la prima con la direzione di Filippo Meda nel Partito popolare degli anni Venti e una seconda, più recente, con Guido Gonella.
La mia preoccupazione fu di trovare un giovane collaboratore. Mi premeva che fosse dotato di quattro qualità: vocazione giornalistica, approfondita preparazione scientifica, rettitudine, serietà.
Le mie esperienze nell’università, nella resistenza e nella politica dei primi anni della Repubblica, mi dicevano chiaramente che quelle quattro doti potevano trovarsi congiunte soltanto in poche persone della generazione a me precedente e anche della mia generazione: tutte già degnamente collocate in alti posti di responsabilità.
Si erano infatti creati – con il passaggio dall’impegno giornalistico a quello politico – vuoti paurosi nella redazione del Popolo, nelle riviste di partito e anche in quelle dell’Azione cattolica, Studium compresa (limitatamente a quel tempo).
Monsignor Franco Costa, assistente nazionale della Fuci, mi indicò Vittorio Bachelet. Monsignor Guano, Giulio Andreotti e Federico Alessandrini me ne diedero ottime informazioni.
Lo assunsi come redattore capo.
Mentre stavamo stendendo il menabò del primo numero mi capitò l’impegno di presiedere la delegazione italiana per la costituzione del Piano Schuman. Sicché il peso dei compiti operativi per il lancio e la pubblicazione della rivista gravarono ancor più sulle spalle del dottor Bachelet che disponeva di due soli collaboratori: la dottoressa Livia Petterini e il mio segretario particolare Walter Paccagnini.
Il primo numero della rivista uscì puntualmente a metà del mese di giugno 1950.
Alcuni articoli indicavano già chiaramente quale sarebbe stato l’indirizzo della rivista.
Il primo, di Giampietro Dore: Il pensiero politico di Federico Ozanam. Il riferimento era inequivocabile: ci si rifaceva a colui che a metà del secolo XIX aveva detto: «La democrazia o sarà cristiana o non sarà». Non era soltanto un’affermazione di partito, bensì un principio. E questo veniva confermato dal mio articolo successivo: Il rapporto di logico sviluppo fra individualismo e comunismo. Si prendevano le distanze da ambedue le dottrine materialistiche: marxismo e liberismo.
Ecco, subito dopo, il primo articolo di Vittorio Bachelet: Primi echi del Piano Schuman. Egli aveva già le idee chiare e precise in politica estera proprio dove non pochi si smarrivano e dove si era ormai spaccata l’unità resistenziale.
Bachelet si rendeva conto, con un intuito eccezionale per la sua giovane età, che il contrasto fra le due grandi forze popolari che avevano condotto unitariamente la resistenza armata era stato provocato non da differenze religiose, non da differenze economiche e sociali, ma da una ferrea contrapposizione nella politica estera.
Scriveva Bachelet: «L’Italia ha l’interesse politico che la proposta Schuman si attui. La pace e la sicurezza dell’Italia sono inevitabilmente legate alla pace e alla sicurezza dell’Occidente europeo. Dalla soluzione del contrasto franco-tedesco dipende non solo la pace e la sicurezza del popolo francese e di quello della Germania occidentale, ne dipendono anche la pace e la sicurezza del popolo italiano, così come di quello svizzero e dell’austriaco. Seguire una linea particolaristica o nazionalistica di politica estera, nell’attuale posizione geografica ed economica, costituirebbe per noi una ingenuità talmente colossale, che soltanto potrebbe comprendersi in qualche pervicace nostalgico o in qualche studente liceale, cui l’insegnamento della storia sia stato impartito secondo i criteri storiografici della fine dell’Ottocento, l’età d’oro del nazionalismo».
Subito dopo, un articolo di Piero Saisi (pseudonimo di Giacomo Guiglia) confermava l’interesse prioritario per i temi di politica internazionale cui Civitas si mantenne poi fedele per un cinquantennio.
Con sorprendente lungimiranza l’articolo sosteneva l’impossibilità della convivenza fra il popolo eritreo e il popolo etiope.
Fin da subito dunque Bachelet dimostrò di possedere le doti che temevo di non trovare: vocazione giornalistica, preparazione scientifica, rettitudine, serietà.
Concludo questa “memoria” con una notizia che può apparire, ma non è, banale. Il primo numero di Civitas terminava con le Cronache di politica internazionale, di politica interna e di politica economica. Bachelet le impostò e le curò per nove anni (1950-59). Nacquero allora e durarono fino al 1995. Oggi non si trovano più. Vi ha rinunciato il Calendario Atlante De Agostini.
E se ne sente la mancanza.


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