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SOCIETÀ
tratto dal n. 04 - 2000

Il popolo dei Rom

La fede degli zingari


Il 3 aprile Amanda e Alex, due bambini rom, sono morti bruciati nella loro roulotte in un campo nomadi a Bologna. La tragedia ha suscitato commozione e polemiche. Anche per questo siamo stati particolarmente lieti di incontrare don Mario Riboldi, che da quarant’anni vive in una roulotte spostandosi da un campo nomadi all’altro. È stato il primo prete a scegliere di condividere la vita del popolo gitano. Una scelta che fu incoraggiata da Giovanni Battista Montini quando era arcivescovo di Milano


Intervista con Mario Riboldi di Stefano Maria Paci


Mario Riboldi

Mario Riboldi

«No, non mi chiami monsignore. Mi mette in imbarazzo. Mi chiami solo Mario. Mario degli zingari». Gli occhi sorridono sornioni sotto il cappellaccio nero, e si stringono come due fessure. Le labbra si increspano, ironiche e divertite. Vive in una roulotte, Mario degli zingari, ed è facile incontrarlo in uno dei tanti campi nomadi in cui abita. La giacca un po’ sdrucita e quell’aria che incute insieme rispetto e confidenza: difficile credere che monsignor Mario Riboldi non sia zingaro di nascita, ma solo di elezione. Lui è il primo prete che è andato a vivere con gli zingari. Una scelta singolare, incoraggiata dal cardinale Montini, il futuro Paolo VI, che si entusiasmò quando don Mario, appena ordinato sacerdote, gli confidò di voler condividere la vita con il popolo rom.
«Ma lei è proprio sicuro di voler conoscere la mia storia?» si meraviglia oggi Mario degli zingari. «Io non concedo mai interviste: non mi piace parlare, soprattutto di me. Sa, vivendo con gli zingari ho imparato a parlare poco e ad ascoltare molto. In questo modo so che quando dico qualcosa verrò ascoltato».

Sì, monsignore, vorrei saperne di più della sua vita. E mi permetta di iniziare subito con un’impertinenza: ma come le è saltato in mente di andare a stare con gli zingari, e di trascorrere la vita in una roulotte?
MARIO RIBOLDI: Mi chiami un’altra volta monsignore, e non le rispondo più! Come mi è venuto in mente, dice? È accaduto oltre quaranta anni fa. Ero un giovane sacerdote, e appena consacrato ho chiesto di partire con gli zingari. Vado a parlarne con il mio vescovo, e lui si mostra subito entusiasta della novità. Era il cardinale Giovanni Battista Montini. Ma allora io ero così giovane che Montini volle tenermi per un po’ sotto controllo, per capire se si trattava solo di un capriccio giovanile o di qualcosa di più. Passano gli anni, e nel 1962 Montini mi chiama e mi dice: «D’accordo, ancora un paio d’anni, e ti lascio andare». Ma poi viene eletto Papa. E io devo ricominciare a convincere il nuovo cardinale di Milano. Ci riesco, e nel 1969 il cardinale mi dice: «Va bene, posso lasciarti partire. Vediamo cosa combini». L’anno seguente, è iniziata l’avventura.
E lei dove è andato?
RIBOLDI: Sono andato a vivere in alcune comunità zingare attorno a Milano e a Varese: già le conoscevo, perché in quegli anni avevo continuato a frequentarle. Poi, ho iniziato a girare: Venezia, Udine, Rimini…
Una famiglia rom prega nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Don Riboldi è stato uno dei promotori della causa di beatificazione dello zingaro Zefirino Jiménez Malla

Una famiglia rom prega nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Don Riboldi è stato uno dei promotori della causa di beatificazione dello zingaro Zefirino Jiménez Malla

Dopo che il cardinale Montini divenne Papa, lei ebbe modo di parlargli del suo lavoro con gli zingari?
RIBOLDI: Devo dire che, quando era cardinale a Milano, il futuro Paolo VI mostrava di volermi molto bene, benché io fossi un tipo strano. E il suo affetto per me non era del tutto istintivo: nasceva proprio dal fatto che io andavo dagli zingari. Lui mi disse che vedeva spalancarsi l’evangelizzazione verso un nuovo popolo. Mi riceveva con molta facilità in quegli anni, mi concedeva moltissimo tempo per parlare con lui, e i suoi segretari ne erano un po’ seccati. Ma adesso che ci ripenso, mi accorgo che ero molto inesperto e ingenuo: erano i primi anni del mio impegno apostolico. Credo che Montini sia stato molto indulgente con me. Lo fu anche dopo, quando divenne Papa. L’ho rivisto, benché non altrettanto spesso, e mi ha sempre tenuto in grande simpatia. Si interessava ancora del popolo rom, ma ormai aveva così tante cose a cui pensare…
Così lei andò a vivere con il popolo zingaro. E cosa fece?
RIBOLDI: Innanzitutto mi sono fatto loro discepolo. Ho imparato i loro costumi, ho appreso la loro lingua: una cosa fondamentale, per riuscire ad andare fino in fondo nei rapporti. Ed è fondamentale anche per far conoscere Gesù Cristo. Poter leggere la Bibbia e il Vangelo nella propria lingua è decisivo per incontrare il cristianesimo. Io, per esempio, ho tradotto i Salmi e il Vangelo di Marco in vari dialetti zingari.
E lei cosa ha imparato dagli zingari, in tutti questi anni di lavoro con loro?
RIBOLDI: Avvicinando popolazioni diverse dalla propria si impara ad essere un po’ più universali, un po’ più “cattolici”. Un pizzico, perché in realtà si rimane sempre troppo concentrati su se stessi.
Quali sono le difficoltà più grandi che ha incontrato nell’evangelizzare il popolo rom?
RIBOLDI: Le difficoltà sono in me stesso. Ho dovuto “superare” me stesso e la mia mentalità, per penetrare nella cultura di questo popolo così strano, sparso un po’ ovunque: ci sono delle differenze marginali, ma sostanzialmente è lo stesso popolo che è diffuso in tutto il mondo. Si può fare un parallelo tra gli zingari e il popolo ebraico. Solo che gli ebrei hanno la Bibbia, gli zingari invece hanno unicamente un’identità etnica. Per noi entrare nella loro mentalità, nei loro metodi di vita, nelle loro estetiche, è sempre molto difficile. Per questo il primo impegno è quello di formare dei rom che si mettano a fare quello che sto facendo io. E questo, grazie a Dio, sta avvenendo.
Una madre con il suo bambino in un campo nomadi. Per Riboldi si può fare un parallelo tra gli zingari e il popolo ebraico. Gli ebrei però hanno la Bibbia, gli zingari solo un’appartenenza etnica

Una madre con il suo bambino in un campo nomadi. Per Riboldi si può fare un parallelo tra gli zingari e il popolo ebraico. Gli ebrei però hanno la Bibbia, gli zingari solo un’appartenenza etnica

Vuol dire che gli zingari hanno espresso vocazioni religiose e sacerdotali?
RIBOLDI: Gli zingari sono molto religiosi, purtroppo non li abbiamo mai evangelizzati direttamente. Comunque sì, stanno nascendo sacerdoti e religiosi zingari. In Slovacchia, per esempio – dove gli zingari rappresentano una percentuale molto alta della popolazione – ci sono cinque preti rom. E diverse zingare si sono fatte suore. Io sono andato a incontrarne due di rito greco cattolico, e con loro c’erano anche tre zingare aspiranti suore. Mi hanno accompagnato in un villaggio disperso sul confine con la Polonia, un paesino poverissimo, senz’acqua. Lì c’era una zingara delle Piccole Sorelle di Gesù, che si sta preparando in Polonia per prendere i voti.
Come si svolge, concretamente, la sua giornata tra gli zingari?
RIBOLDI: Non vivo da solo, ma con altri tre preti. Io e un padre barnabita abitiamo in una roulotte dove, oltre ai lettini, ci sono stoviglie, una stufa a gas, un tavolino e il tabernacolo del Santissimo Sacramento. Un altro sacerdote della diocesi di Pavia si è unito a noi da tre anni, e vive in un camper che gli ha regalato il suo parroco. Ci svegliamo alle sei, e la prima cosa che facciamo è pregare assieme. Alle nove celebriamo la messa. Per il resto, dipende dai giorni, e da dove ci troviamo. Se per esempio ho un compito da svolgere, come quando fino a pochi mesi fa traducevo il Vangelo di Marco, mi dedico a quello. E il tempo scorre in fretta. In questo periodo, per esempio, viviamo presso una comunità di lingua tedesca, e vengono a trovarmi alcune persone per leggere una pagina di Bibbia. Un ragazzo sta leggendo i Salmi, un’altra ragazza il Libro dei Giudici. La sera con questo gruppo – l’hanno richiesto loro, l’iniziativa non è partita da me – diciamo il rosario, alle nove meno un quarto. E poi leggiamo il Vangelo. Ieri sera, per esempio, non ci siamo accorti del tempo che passava, e infervorati dalla discussione, passando da un versetto di Giovanni a uno di Luca e poi a Matteo, siamo stati assieme fino alle 23. «È così bello parlare di queste cose, perché dobbiamo interrompere?», ha esclamato un ragazzo quando ho detto che era ora di chiudere.
La celebrazione del Giubileo degli zingari, il 2 aprile 2000, presso il santuario della Madonna del Divino Amore a Roma

La celebrazione del Giubileo degli zingari, il 2 aprile 2000, presso il santuario della Madonna del Divino Amore a Roma

Rimarrete per parecchio tempo con questo gruppo di zingari?
RIBOLDI: Adesso ho sistemato la roulotte sulla strada accanto al terreno che i sinti di lingua tedesca hanno comprato. Molti gruppi zingari in questi anni stanno comprando terreni. Io e i miei amici sacerdoti ci spostiamo qua e là. L’altro giorno ero a Cuneo. Lì ci aspettava una comunità di una quindicina di persone dai 15 ai 31 anni, e abbiamo trascorso una giornata di preghiera assieme. Domani parto per Udine, dove mi aspettano per un’altra giornata di preghiera. Ci spostiamo per l’Italia così, secondo quello che spontaneamente ci viene richiesto. Poi farò un salto in Spagna per una commemorazione del beato Zefirino.
Già, Zefirino Jiménez Malla è stato il primo zingaro a essere proclamato beato nella storia della Chiesa. Il postulatore della sua causa di beatificazione, padre Romualdo Rodrigo, ha detto che è stato lei a farglielo conoscere, e a trascinarlo con il suo entusiasmo. Ha anche detto che è stato lei a raccogliere i fondi per le spese necessarie alla causa di beatificazione.
RIBOLDI: Vedo che è ben informato su di me. Beh, la storia del beato Zefirino, che è ormai il patrono degli zingari, è straordinaria. Uno zingaro che amava il suo popolo, la sua cultura e le sue tradizioni, e che morì come martire della fede, ucciso con il rosario in mano durante la persecuzione anticattolica della rivoluzione spagnola. Lo stesso padre Rodrigo, che poi è diventato il postulatore della causa di beatificazione, quando ha conosciuto la sua storia ha superato l’iniziale titubanza e si è subito convinto che si trattava di “uno zingaro con la stoffa da santo”, come lo consideravano tutti coloro che l’hanno conosciuto. Sì, sono proprio felice che questo zingaro analfabeta sia stato proclamato beato dalla Chiesa.
Padre, lei e i suoi due amici sacerdoti siete un po’ l’avanguardia della Chiesa nel popolo rom…
RIBOLDI: Certo, siamo i primi. Però, ci manca ancora un po’ d’organizzazione. Ma se Dio vuole, si farà di meglio. E lo si farà con preti zingari, non con preti degli zingari, come me.


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