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EDITORIALE
tratto dal n. 06 - 2000

Dal Cenacolo: invito all’unità per la pace


Intervento al quarto Congresso internazionale “L’Eucarestia e il Volto di Cristo”, Pontificia Università Urbaniana, Roma, 21 giugno 2000


Giulio Andreotti


La fractio panis, 
Cappella greca, Catacombe di Priscilla, Roma

La fractio panis, Cappella greca, Catacombe di Priscilla, Roma

Intervento al quarto Congresso internazionale “L’Eucarestia e il Volto di Cristo”,
Pontificia Università Urbaniana, Roma, 21 giugno 2000


In una delle precedenti edizioni di questi suggestivi convegni sul Volto di Cristo tentai una rilettura della storia contemporanea della Palestina, con la facile e obbligata previsione di un periodo molto lungo – tuttora indefinibile – prima che si arrivi alla auspicata “convivenza”. Oggi ci muoviamo in cieli più aperti, ma con una connessione non marginale.
Nella angosciosa preghiera-meditazione nell’orto degli ulivi, forse una nota di profonda amarezza rattristò l’uomo Gesù; perché il Figlio di Dio sapeva che il suo testamento di invito all’unità – enunciato nel Cenacolo – si sarebbe diffuso su tutta la terra, ma non avrebbe trovato lungo i secoli che una risposta molto limitata.
L’unum sint sarebbe stato disatteso e in non pochi momenti storici apertamente violato, anche tra quanti avrebbero ricevuto lo Spirito Santo.
Il messaggio dell’unità viene da duemila anni da quell’aula nella quale Gesù volle celebrare la Pasqua insieme agli apostoli, dando loro l’esempio di umiltà con la lavanda dei piedi e offrendo il cibo che da allora è sacro alimento vitale per tutti i cristiani.
Il tema che il cardinale Angelini – di cui non occorre che io ripeta l’elogio, sempre più grato e ammirato – mi ha assegnato, si inquadra con pertinenza nel Congresso eucaristico che stiamo vivendo. La consegna dell’unità come bene prezioso e insostituibile, data da Gesù nell’ultima cena, trova infatti …
Dobbiamo ad una provvida iniziativa di don Luigi Verzè se il Cenacolo è stato restaurato nel suo disegno originale; e costituisce oggi uno dei luoghi sacri più suggestivi della tormentata Gerusalemme.
Il tema che il cardinale Fiorenzo Angelini – di cui non occorre che io ripeta l’elogio, sempre più grato e ammirato – mi ha assegnato, si inquadra con pertinenza nel Congresso eucaristico che stiamo vivendo. La consegna dell’unità come bene prezioso e insostituibile, data da Gesù nell’ultima cena, trova infatti la sua stupenda e perenne concretizzazione nella fractio panis, che è anche pegno di eguaglianza tra i figli di Dio, ai quali si offrono mezzi di santificazione che non esauriscono la loro efficacia in valenze individuali, ma producono effetti autenticamente sociali. Del resto, lo stesso essere battezzato non significa solamente ottenere la personale purificazione dal peccato originale e acquistare la dignità di figliuoli di Dio, ma anche e particolarmente essere «incorporati nel Corpo mistico di Cristo».
Essenzialmente quindi noi siamo, nello stato di grazia, molto più che nell’ordine della natura, dei sociali, delle membra.
Per raggiungere la nostra salute, essenzialmente personale, noi dobbiamo associarci al Corpo mistico; apportandovi la nostra collaborazione di parti attive e viventi: ecco che cosa è per noi la vita sociale.
La difficoltà dell’uomo moderno a vivere perennemente nella coscienza della propria partecipazione al mistico Corpo è forse la punizione divina per la ribellione individualistica che ha creduto di dover associare alla emancipazione da servitù civili il rinnegamento della precisa missione del Cristo e della Chiesa anche nell’ordine terreno. E come la esasperazione dell’individualismo comporta – per le leggi di reazione della storia – il confluire disordinato in una società meccanica, spesso tirannica e deprimente, così l’individualismo spirituale porta a deformazioni sicure nei rapporti tra l’uomo e Dio inaridendo e isterilendo rami che avrebbero potuto dare magnifici frutti di vita.
A proposito dell’Eucarestia, specialmente se la si considera sotto il suo aspetto sacramentale – a che purtroppo spesso la si riduce – pare che essa non abbia a prima vista un carattere sociale. Che vi può essere di più personale e di più individuale dell’azione di nutrirsi? Eppure non si ha dell’Eucarestia un’idea giusta, se in essa non si vede, e non in una maniera accessoria, ma centrale ed essenziale, la più sociale di tutte le funzioni della Chiesa.
La Chiesa è una società e come tale ha per legge indispensabile alla sua esistenza l’unità. Questa è stata l’aspirazione suprema del Verbo fatto carne: ut sint unum; e alla realizzazione di questa aspirazione è stata data dal Verbo di Dio come ideale la stessa unità divina nella vita trinitaria: ut sint unum sicut et Ego et Tu unum sumus.
L’Arciconfraternita della Virgen 
del Mayor Dolor, proveniente da Granada, conduce in processione per le strade di Roma la statua della Madonna 
il 18 giugno 2000, giorno di apertura del  XLVII Congresso eucaristico

L’Arciconfraternita della Virgen del Mayor Dolor, proveniente da Granada, conduce in processione per le strade di Roma la statua della Madonna il 18 giugno 2000, giorno di apertura del XLVII Congresso eucaristico

Ora appunto perché questa unità, nella quale consiste la perfezione della vita sociale, possa effettuarsi, Dio ha istituito il sacramento dell’amore: l’Eucarestia. Non è possibile l’Eucarestia, senza questa costante ed efficace aspirazione all’unità.
Raccogliamone le testimonianze. I termini con i quali si indicava anticamente l’Eucarestia ne rivelano quasi esclusivamente il carattere sociale. Le parole “agape (amore), fractio panis (spezzamento del pane), sinassi (convegno), communio (comunione)” non potevano avere nell’antichità, né hanno oggi, un significato se non si riferiscono ad una raccolta di persone, che viene effettuata espressamente in virtù di questo sacramento.
Ma più che la parola è il rito del sacrificio eucaristico che insiste sulla virtù sociale della Eucarestia. Dapprima è la tavola, poi è la tomba del martire che costituiscono l’altare per il sacrificio, senonché l’altare, come dice il Pontificale Romano «simbolizza il Cristo, le tovaglie che vi sono sopra distese rappresentano le membra del Cristo, cioè a dire i fedeli, dei quali il Signore si riveste come di un vestimento prezioso». Ma questo rivestimento era troppo poco significativo; il significato dell’unione tra il Cristo e i suoi fu reso molto più eloquente di quel che non fosse stata la semplice apposizione delle tovaglie sulla mensa eucaristica quando, a partire dal IV secolo, i corpi dei martiri presero stanza dentro l’altare, e in qualche modo s’incorporarono, s’identificarono con l’altare. Che cosa è l’Eucarestia? Il dono totale di Dio all’uomo. Che cosa è il martirio? Il dono totale dell’uomo a Dio. Le reliquie dei martiri incorporate all’altare diventarono il modello della nostra vita sociale con il Cristo, l’ideale che noi dobbiamo raggiungere, la risposta della creatura a Dio immolato per noi: Maiorem caritatem nemo habet ut animam suam ponat quis pro amicis suis!
Attorno all’altare, segno eloquente della vita sociale della Chiesa, si celebrava il sacrificio. La basilica raccoglie il popolo, che si fa uno per partecipare, nell’unità con il Cristo, all’altare del sacrificio.
Per quest’unità di vita veramente sociale i catecumeni e i penitenti partecipavano al rito nella prima parte del sacrificio ma, volendo la comunità esprimere il desiderio che fossero da essi rimossi gli impedimenti alla loro perfetta vita sociale, erano allontanati nella seconda parte del sacrificio stesso, per evitare che in questo mistero di unità esistano dissonanze!

…la sua stupenda e perenne concretizzazione nella fractio panis, che è anche pegno di eguaglianza tra i figli di Dio, ai quali si offrono mezzi di santificazione che non esauriscono la loro efficacia in valenze individuali, ma producono effetti autenticamente sociali
La vera vita sociale esige che tutti possano diventare membri della società per parteciparne ai benefici. Uno dei primi documenti della letteratura cristiana, la Didachè (sec. II), mette in luce il profondo simbolismo nascosto a questo proposito nell’Eucarestia, dicendo: «Come questo pane spezzato era disperso sopra le montagne, e raccolto è diventato uno, così sia raccolta la tua Chiesa dagli estremi confini della terra a formare il regno tuo, poiché tua è la gloria e la virtù per Gesù Cristo nei secoli. Amen!».
La vera vita sociale esige che i rapporti tra coloro che reggono e quelli che sono governati rivelino che essi esistono per il bene comune: l’unità della società.
San Cipriano, parlando del simbolismo dell’acqua e del vino nell’offerta eucaristica, dice: «L’acqua designa il popolo, e nel vino è il simbolo del sangue del Cristo. Orbene quando nel calice viene mescolata l’acqua al vino, il popolo viene unito al Cristo, la moltitudine è associata a Colui che la governa».
Unione tra superiori e inferiori che ancor più efficacemente si rivela nel rito del fermentum e della commixtio: dal pane del sacrificio il celebrante prelevava dei frammenti – il fermentum – destinati ad essere uniti al sacrificio futuro o ad essere mescolati al sangue prezioso che avrebbero bevuto i fedeli. Perché questa cerimonia? Si voleva inculcare l’idea dell’unità tra il capo della gerarchia, il clero e i fedeli.
E il bacio di pace, che ancora sopravvive nelle messe solenni (e che ora è simboleggiato da un gesto quotidiano di fraternità), che altro valore può avere se non di rendere manifesta e sensibile quell’unione delle anime che è scopo della loro vita sociale, per affermare la quale del resto la Chiesa proibisce che il sacerdote celebri la messa da solo?
L’Eucarestia così voluta dal Signore, diventando fondamento di tutta la vita sociale, viene ancora a determinare le mutue relazioni che si debbono stabilire per ottenere la pace e la prosperità comune. Bisogna ricordare che nel piano divino è un dono che Iddio fa alle anime per la loro vita sociale e quindi, a che questo fine si ottenga, è necessaria la collaborazione dei membri in quanto tali.
In questo senso, a strapparci in qualche modo materialmente dal nostro egoismo, la Chiesa ci domanda che al sacrificio eucaristico portiamo la nostra offerta. Tutti facendo la loro offerta debbono avere la cura di contribuire, ciascuno per la propria parte, al bene comune, al sollievo delle miserie e, come già spiegava Giustino nella sua Apologia, ai bisogni di tutta la Chiesa.
Pesce e pane eucaristici, Cripta di Lucina, 
Catacombe di San Callisto, Roma

Pesce e pane eucaristici, Cripta di Lucina, Catacombe di San Callisto, Roma

Ma occorre ancora che questa offerta non provenga da cuori attanagliati dal rancore e dall’odio. Se per il sacrificio giudaico il Signore richiedeva che prima di fare l’offerta il fratello si riconciliasse con il fratello, tanto più quest’esigenza diventava espresso comando per il sacrificio eucaristico. C’è un passo molto bello di Bossuet, anche se autore non più di moda: «Colui che riceve l’Eucarestia avendo nel cuore risentimento od odio contro il fratello fa violenza al corpo del Salvatore, perché mentre Egli viene a fare uno stesso corpo con noi, noi vogliamo dimorare nella separazione e dividerci».
L’odio, i risentimenti che rovinano la vita sociale non procedono forse dalle ingiustizie, dai torti e dalle violazioni dei diritti altrui? L’Eucarestia vuole la pace tra i fratelli e quindi la riparazione dei torti, il rispetto della giustizia e dei diritti reciproci, il superamento delle differenze tuttora drammatiche tra i figli di Dio. Mi piace ricordare qui lo stemma programmatico di Pio XII: Opus iustitiae pax.

Ma è impossibile – non potrei esimermi da questo rilievo – citare papa Eugenio Pacelli senza rinnovare la nostra protesta morale per le offese con le quali, falsando la storia, si continua ad addebitargli inerzia e silenzio sui massacri del periodo bellico, dei quali furono particolari vittime gli ebrei. Sul piano della documentazione sono stati prodotti studi ineccepibili (l’ultimo è del padre Blet) ma noi romani che abbiamo vissuto quegli anni non abbiamo bisogno di consultare archivi. Ricordiamo l’impressionante manifestazione di gratitudine e di affetto che la città espresse, immediatamente dopo la liberazione, al Papa che era stato l’unico punto di riferimento in un periodo di crudeltà e di abbandono.
Torniamo al nostro tema.
Per la vita sociale importa soprattutto ricordare che nell’Eucarestia il sacrificio del Cristo è anche il sacrificio delle anime che ne vivono; poiché qualunque sia il sacrificio consentito al cristiano, esso deve essere intimamente unito a quello di Gesù, dal quale solo può attingere il suo autentico valore. La coscienza di questa verità rende le anime capaci dello sforzo vigoroso e necessario per dominarsi, per superarsi, per immolarsi. E questo dominio, questo superamento, questa immolazione quante volte possono essere richiesti per il bene della vita sociale!
L’unione delle anime nell’Eucarestia non può essere divisa in parecchie ostie o in diversi sacrifici. Tutti questi frammenti d’olocausto, per così dire, fanno parte d’un solo olocausto, di una pienezza universale. Tante vittime non sono che le frazioni di una sola Vittima, unica, che celebra sulla Croce la sua sanguinante offerta e nell’Eucarestia la sua incruenta oblazione.
Ma a questa visione soprannaturale del come l’umana convivenza andrebbe concepita e vissuta non corrisponde purtroppo che in piccola parte la realtà oggettiva dei nostri giorni. E quando alla fine dell’anno giubilare – nel quale insieme alla riconciliazione personale il Papa ci invita ad impegnarci in concreti progetti di giustizia (come per il debito dei Paesi poveri) – faremo un bilancio di questo eccezionale inizio di millennio, dovremo constatare che i doni dell’unità e della pace «quae sub oblatis muneribus mystice designantur» sono tuttora poco partecipati da gran parte dell’umanità.
Inquietante è l’orizzonte di molte aree del mondo. Anche sotto un profilo cristiano.
Ma non voglio indulgere al pessimismo.
Nel 1896, al Congresso eucaristico nazionale di Orvieto, Giuseppe Toniolo faceva sue le parole del cardinale Mermillod: «Questo non è crepuscolo di incerto domani: è aurora certa di resurrezione cristiana». E invero, nei tumultuosi anni che seguirono e nelle vicende generali della nazione italiana, la forza dei cattolici ebbe un continuo sviluppo progressivo, sicché cristiani militanti passarono rapidamente dalla umiliante posizione civica di tollerati e di paria alla pienezza più assoluta di diritti e di responsabilità.
Non è davvero questa la sede per bilanci o rimpianti politici. Credo necessario invece, sia pure con un semplice accenno, rifarmi alla fioritura di vocazioni, totali o parziali (vedi il volontarismo), che portano alla società civile un contributo determinante per lo sviluppo e in non pochi casi per la stessa sussistenza. Talvolta i pregiudizi o le culture avverse inducono a dimenticare – cito ad esempio il campo della scuola – il contributo profondo che dietro l’ispirazione cristiana si apporta alla società e in particolare alla popolazione più umile e meno fortunata.

La caratteristica croce di una confraternita ligure in piazza 
San Pietro durante le celebrazioni del Congresso eucaristico

La caratteristica croce di una confraternita ligure in piazza San Pietro durante le celebrazioni del Congresso eucaristico

Il tempo assegnatomi è ormai scaduto. Voglio però, prima di concludere, invitare a riflettere su alcuni pensieri sull’unità, tratti dalle meditazioni suggerite dal beato Josemaría Escrivá de Balaguer, con una piccola aggiunta.
«Se sai voler bene agli altri e diffondi questo affetto tra tutti, vi appoggerete gli uni agli altri; e chi sta per cadere si sentirà sostenuto; e sollecitato, da questa fraterna fortezza, ad essere fedele a Dio. I tralci uniti alla vite maturano e producono frutti. Che cosa dobbiamo fare tu ed io? Stare molto uniti, per mezzo del Pane e della Parola, a Gesù che è la nostra vite… dicendogli parole affettuose per tutto il giorno. Gli innamorati faranno così».
E ancora: «Io vorrei – aiutami con la tua preghiera – che nella Santa Chiesa ci sentissimo tutti membra di un solo corpo, come ci chiede l’Apostolo; e vivessimo a fondo le gioie, le tribolazioni, l’espansione della nostra Madre una, santa, cattolica, apostolica e romana. Vorrei che vivessimo l’identità degli uni con gli altri; e di tutti con Cristo. Persuaditi, figliolo, che disunirsi, nella Chiesa, è morire». Fin qui Escrivá.
Alle esortazioni del fondatore dell’Opus Dei mi piace aggiungere una riflessione missionaria fatta, proprio per questo Congresso eucaristico di Roma, dalla madre Antonia Colombo, superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice: «È impegno e responsabilità di ciascuna di noi e di ogni comunità verificare se la nostra missione ha come fonte e finalità il mistero che celebriamo nell’Eucarestia, se l’atteggiamento fondamentale che ispira il nostro metodo educativo è quello espresso in parabola da Gesù pochi giorni prima di donarci l’Eucarestia: “Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane da solo; se invece muore, produce molto frutto”. In questo tempo segnato dal crescente pluralismo e dalla globalizzazione economica e culturale, la missione educativa diventa sempre più esigente; e sollecita il bisogno di sostare più a lungo dinanzi all’Eucarestia per formarci alla scuola di Gesù. Egli ci insegna ad annunciare il suo amore mediante l’obbedienza alla volontà del Padre fino alla morte e alla glorificazione. Attingiamo in tal modo alle radici del mandato missionario che ci abilita a guardare con fiducia la realtà, a cercare risposte adeguate ai bisogni profondi dei giovani di oggi, ad esprimere la profezia evangelica della comunione nel rispetto di ogni differenza».
La missione universale di salvezza che deriva dall’Eucarestia comporta significativi impegni concreti, dice madre Colombo. «Non possiamo indulgere ad atteggiamenti difensivi o escludenti, dobbiamo cogliere nel pluralismo etnico una nuova opportunità per manifestare la nostra fede di credenti in Cristo, unico Salvatore del mondo, e collaborare ad edificare una convivenza pacifica nel rispetto e nella mutua valorizzazione delle differenze. A volte dobbiamo ammettere che anche in noi, che siamo seguaci di Cristo a tempo pieno, si annidano diffidenze e difese che alimentano separazioni e indifferenze contrarie all’unico segno di identificazione che Gesù ha voluto per i suoi. “Da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se vi amate”. Un segno che i discepoli di Gesù debbono esprimere nelle diverse situazioni in cui vivono e operano». Fin qui madre Colombo.

In queste linee è la sintesi di una dottrina della solidarietà cristiana. Nessuno dimentichi mai che il mondo da solo non può dare e assicurare la pace. Di qui il monito imperativo per l’unità in Cristo, al di fuori della quale arduo è l’attendersi serenità e amore.


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