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AFRICA
tratto dal n. 06 - 2000

Paul Zoungrana L’umiltà, la semplicità, l’attaccamento alla sua terra


Dal 1960 al 1995 è stato arcivescovo di Ouagadougou, nel Burkina Faso. Creato cardinale da Paolo VI nel 1965, è stato uno dei presuli più rappresentativi del continente nero. In questo articolo, un suo «amico da lunga data» ne racconta l’avventura umana e cristiana


del cardinale Fiorenzo Angelini


Il cardinale Paul Zoungrana, scomparso 
il 4 giugno scorso. Nel 1942 furono ordinati i primi tre sacerdoti originari dell’Alto Volta. Zoungrana era uno di essi

Il cardinale Paul Zoungrana, scomparso il 4 giugno scorso. Nel 1942 furono ordinati i primi tre sacerdoti originari dell’Alto Volta. Zoungrana era uno di essi

Il 13 ottobre 1989, intervenendo alla Conferenza internazionale sull’Aids promossa dal Dicastero della Pastorale per gli operatori sanitari da me presieduto, il cardinale Paul Zoungrana mi chiamò affettuosamente «amico da lunga data».
In occasione della sua morte, avvenuta il 4 giugno 2000, sono state scritte molte cose di questo santo e coraggioso vescovo che, nato nella capitale del Burkina Faso, già Alto Volta, la resse come arcidiocesi dal 1960 al 1995, portando l’iniziale e minuscola comunità cattolica di Ouagadougou al suo attuale e fiorente sviluppo. Trent’anni di salda e fattiva amicizia, tuttavia, credo permettano di alzare il velo sulle radici profonde della forte personalità del cardinale Paul Zoungrana, uomo di vasta preparazione culturale, missionario in patria, sacerdote e vescovo esemplare perché autentica incarnazione di quella Chiesa che – come volle il Concilio – «riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, e si adopera per sollevarne l’indigenza e in loro intende servire Cristo» (Lumen gentium 8).
Lo avevo conosciuto, ma soltanto di vista, durante i lavori del Concilio ecumenico Vaticano II. Ero rimasto impressionato quando, nell’autunno del 1964, nel corso di una congregazione generale, monsignor Paul Zoungrana parlò a nome dei 77 padri conciliari africani della necessità di incentrare l’evangelizzazione partendo dalla Persona di Cristo per difendere, in Suo nome, i diritti inalienabili della persona umana, soprattutto dove questi diritti sono misconosciuti e calpestati.
Pochi mesi più tardi – il 22 febbraio 1965 – Paolo VI lo creò cardinale con il titolo della parrocchia di San Camillo de Lellis in Roma. Nel prendere possesso di questa chiesa, officiata dai padri Camilliani, il cardinale Zoungrana lasciò capire ai superiori di questo istituto religioso il suo desiderio di averli a Ouagadougou per affidare loro una parrocchia che avrebbe intitolato a San Camillo. I religiosi raccolsero l’invito e l’anno dopo aprirono una loro fondazione nella capitale del Burkina Faso. Senza dubbio anche perché alcuni padri Camilliani avevano parlato al cardinale di me e della mia attività nella pastorale sanitaria – ero infatti stato accanto ai religiosi di San Camillo e li avevo sostenuti nell’avvio dei loro servizio sanitario nel Burkina Faso –, ebbi il primo, lungo e cordiale incontro con il cardinale Zoungrana in occasione del mio primo viaggio pastorale a Ouagadougou nel 1969. Mi ci recavo per benedire e visitare il poliambulatorio e la cappella del Santo Volto che avevo provveduto a far costruire nella savana. Da Roma avevo portato con me il quadro del Santo Volto che io stesso provvidi a collocare sulla parete centrale della cappella. Con mia grande e commossa sorpresa, al mio arrivo trovai che il poliambulatorio era stato intitolato a mia mamma Angela. Feci anche scavare un pozzo d’acqua potabile, sostegno essenziale per la struttura sanitaria. Non pensavo allora che, diciotto anni più tardi, avrei fondato l’Istituto internazionale di ricerca sul Volto di Cristo. Le vie di Dio, però, non sono le nostre. Devo anche ricordare che, alcuni anni più tardi, nel 1976, con l’aiuto dell’Associazione medici cattolici italiani, creammo a Ouagadougou, nella missione San Camillo, un centro di neonatalogia dedicato a san Giuseppe Moscati, subito dotandolo di sedici lettini e di sei incubatrici.
Zoungrana (a sinistra) 
a Castelgandolfo nel ’49 
con papa Pio XII

Zoungrana (a sinistra) a Castelgandolfo nel ’49 con papa Pio XII

Due cose mi colpirono sin dal primo incontro diretto con il cardinale Zoungrana: la sua grande cultura associata a sincera umiltà intellettuale e l’esemplare semplicità. Legatissimo alla sua terra, era di una grande ampiezza di vedute. E la sua semplicità lasciava trasparire la sapienza e la bontà di un vero "uomo di Dio".
La sua cultura aperta e poliedrica aveva solide radici. A Roma, dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1942, si era laureato in diritto canonico, poi aveva studiato scienze economiche e sociali all’Istituto cattolico di Parigi occupandosi soprattutto dei problemi dei Paesi in via di sviluppo, così che tornando in Africa, nel Paese e nella città natale nel 1954, si era impegnato con tutte le forze nella formazione dei seminaristi nativi. Roma, però, gli era rimasta nel cuore, e non nascondeva di sentirsi «più romano dei romani». Non dimenticò mai una famiglia di via dei Prefetti che, in qualche modo, gli era stata vicina durante i suoi studi a Propaganda Fide e che incontrava puntualmente durante i suoi soggiorni romani.
Della sua semplicità era specchio la grande povertà in cui aveva scelto di vivere ed un intenso spirito di preghiera. Generoso senza riserve, sapeva privarsi di tutto. E bene ha fatto il cardinale Jozef Tomko, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, inviato del Santo Padre per le esequie del cardinale Zoungrana, a riconoscere pubblicamente che «il rango sociale ed ecclesiale del cardinale Zoungrana gli avrebbero potuto permettere di accumulare ricchezze per sé e per la sua famiglia», ma che «egli ha servito ed è morto senza lasciare nulla».
L’amicizia nata tra noi dopo quel primo incontro si trasformò in fraterna collaborazione. Ogniqualvolta veniva a Roma per assolvere i suoi impegni – era, infatti, membro di vari dicasteri pontifici –, ci si incontrava e i problemi della sua arcidiocesi erano anche miei. Nella nostra città era sempre ospite dei padri Camilliani. Ci incontrammo spesso durante il Sinodo dei vescovi del 1980, durante il quale i suoi interventi furono forti e "controcorrente" quando difese strenuamente la famiglia e la formazione dei sacerdoti. Lo sviluppo lusinghiero della Chiesa cattolica in Africa – non si dimentichi che all’inizio del XX secolo i cattolici in tutta l’Africa erano 2 milioni e non esisteva clero autoctono, mentre oggi i cattolici sono 110 milioni e i sacerdoti nativi 26.000, senza dire delle religiose e dei catechisti – non gli faceva dimenticare i problemi che ne derivavano. E al Sinodo lo disse chiaramente, affermando: «Perché il sacerdote sia credibile bisogna ristabilire la coerenza tra ciò che egli è e il suo modo di testimoniare. I sacerdoti devono ricordarsi che la loro vita deve essere parte integrante della loro testimonianza». E non pensava soltanto al clero della sua arcidiocesi. Si adoperò personalmente, infatti, per l’istituzione a Ouagadougou del Seminario maggiore nazionale e più volte inviò nel Niger sacerdoti fidei donum e catechisti molto preparati. Presidente della Conferenza episcopale dei due Paesi, il cardinale Zoungrana aveva anche fondato, insieme ad altri vescovi africani, il Symposium delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar. Più tardi il suo contributo fu determinante nella creazione della Conferenza regionale dell’Africa occidentale, del Centro di studi sociali dell’Africa occidentale e della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel.
Paul Zoungrana il 22 febbraio 1965, giorno  in cui fu creato cardinale da papa Paolo VI

Paul Zoungrana il 22 febbraio 1965, giorno in cui fu creato cardinale da papa Paolo VI

Quando nel 1985 fu istituito il Dicastero pontificio della Pastorale per gli operatori sanitari – del quale il cardinale Zoungrana fu subito membro –, scelsi come meta del mio primo viaggio pastorale il Burkina Faso e il Niger. Durante quella visita pastorale egli mi fu assiduo, affettuoso ed operoso compagno di viaggio e di lui ammiravo la capacità di guardare ai problemi ecclesiali e sociali della sua terra in un’ottica universalistica. Com’è noto, allorché nei primi anni Novanta si trattò di preparare l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, da molte parti si insisteva sull’opportunità che essa fosse tenuta in Africa. Il Papa allora convocò alcuni cardinali per conoscerne il parere. Il cardinale Zoungrana confidò al Papa che il cuore gli suggeriva come sede del Sinodo l’Africa, ma che le ragioni dell’universalità gli suggerivano Roma; e addusse tre motivi: la possibilità per il Papa di seguire personalmente i lavori, l’indicazione al mondo del posto che l’Africa occupava nel centro della cristianità e, infine, l’occasione per i vescovi africani di stare nella sede di Pietro.
Da Roma vissi e condivisi con il cardinale Zoungrana l’emozione per la visita del Papa a Ouagadougou nel gennaio 1990. Accolse il Santo Padre non solo a nome dei cattolici, ma «di tutti, uomini e donne, credenti di tutte le religioni, cristiani, musulmani e seguaci di quelle tradizionali, giovani e bambini, uomini di buona volontà»; «tutti», disse, «uniti ai cattolici, vi accolgono a braccia aperte». Poteva parlare a nome di tutto il suo popolo, e se ne è avuta la conferma in occasione delle esequie, che non si sono potute celebrare in Cattedrale, per l’enorme folla che volle parteciparvi. È stato scelto lo stadio cittadino e, dopo il rito funebre, il corteo sterminato dei presenti ha impiegato tre ore per raggiungere nuovamente la Cattedrale.
Fui un’altra volta nel Burkina Faso e conoscendo la sensibilità del cardinale per i problemi sanitari, ho sempre cercato di sostenerlo nella promozione di iniziative che hanno permesso a questo Paese africano decisivi passi avanti nel delicato e prioritario settore della sanità e della salute. E quando, negli ultimi dieci anni, anche la sua salute cominciò a declinare, coglievo l’occasione della sua presenza a Roma per far sì che si sottoponesse ai necessari controlli medici.
Dovrei dire del suo spirito di preghiera. Pregava molto e faceva pregare. Aveva desiderato fondare una congregazione religiosa dedita all’adorazione perpetua. Avendo, però, incontrato difficoltà nell’attuazione di questo progetto, chiamò a Ouagadougou a tale scopo le Pie Discepole. Con simbologia efficace, questo aspetto della sua vita è stato espresso durante la liturgia esequiale, quando i familiari del cardinale hanno voluto rinnovare alla Chiesa l’offerta del loro congiunto: vestiti di bianco, hanno portato insieme, al momento dell’offertorio, un cesto che conteneva la talare, il calice della prima messa, il breviario e il rosario del cardinale Zoungrana. Quattro cose soltanto, quasi a formare una croce, il suo vero e vissuto pettorale di vescovo della Chiesa di Dio.


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