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UN ANNO SANTO CON AGOSTINO
tratto dal n. 12 - 1999

Alle fonti dell’ecumenismo


«Ad aiutare questa convergenza è stato un approfondimento delle nostre fonti: la Sacra Scrittura letta secondo la Tradizione, i Padri della Chiesa, tutta la liturgia e la testimonianza dei santi, quei poveri peccatori la cui santità è un’opera mirabile della grazia di Dio». Walter Kasper, segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, spiega a 30Giorni le ragioni e i possibili sviluppi della Dichiarazione congiunta tra cattolici e luterani sulla dottrina della giustificazione


Intervista con Walter Kasper di Gianni Valente


Scriveva nel 1537 Lutero a proposito della giustificazione: «Su questo articolo non si può cedere o fare concessioni, neppure se dovesse cadere il cielo e la terra, o tutto ciò che è perituro. “Non c’è infatti alcun altro nome che sia stato dato agli uomini per il quale noi abbiamo ad essere salvati”, dice san Pietro (At 4, 12). “E per le sue piaghe noi abbiamo avuto guarigione” (Is 53, 5). Su questo articolo si fonda tutto ciò che insegniamo e viviamo contro il papa, il diavolo e il mondo. Perciò dobbiamo essere assolutamente certi e non dubitarne, altrimenti tutto è perduto e il papa, il diavolo e tutti hanno ragione contro di noi e ottengono la vittoria».
Lo scorso 31 ottobre, sottoscrivendo ad Augusta, in Germania, la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, i rappresentanti della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale sono tornati a confessare insieme, davanti al mondo, l’assoluta gratuità della salvezza promessa a tutti i peccatori, operata «per grazia di Dio nella fede in Cristo». Hanno cioè riaffermato ciò che costituisce per così dire il proprio, lo specifico del cristianesimo: «Ciò che è specifico della Nuova Legge è la grazia dello Spirito Santo», riconosceva anche san Tommaso d’Aquino. Un passo importante, che pure è passato come acqua sulle granitiche macerie del pensiero e della prassi teologici ed ecclesiastici dominanti. Liquidato alla stregua di una qualsiasi iniziativa di chierici in vena di gentilezze ecumeniche.
Per verificare la portata e i possibili sviluppi della firma di Augusta, 30Giorni prosegue la serie di interviste con autorevoli esponenti cattolici e luterani, iniziata alcuni mesi fa con gli interventi del cardinale Joseph Ratzinger e del vescovo luterano finlandese Eero Huovinen.
Monsignor Walter Kasper ha buoni titoli per intervenire sull’argomento. 67 anni, tedesco, apprezzato teologo, è stato eletto nell’aprile ’89 vescovo della sua diocesi d’origine, Rottenburg-Stuttgart, entrando a far parte della folta schiera di vescovi-teologi della generazione postconciliare. Nel suo profilo biografico il rapporto col mondo luterano rientra come una cosa naturale. Forse anche per questo, dal marzo di quest’anno, Kasper è stato chiamato a Roma come segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

Walter Kasper

Walter Kasper

Quali sono gli effetti concreti della Dichiarazione congiunta sottoscritta da cattolici e luterani sulla dottrina della giustificazione? È giusto affermare che le condanne di Trento sono state annullate?
WALTER KASPER: Non è esatto dire che le condanne del passato sono state come soppresse con un colpo di spugna. Il Concilio di Trento, ovviamente, per i cattolici rimane valido anche oggi. Le sue definizioni custodiscono ed espongono la fede della Chiesa cattolica in maniera vincolante. Esse non sono dei relitti inutili di un’epoca passata, ma rimangono come salutari ammonimenti per chi anche oggi nella Chiesa è tentato di negare o di snaturare l’assoluta necessità della grazia per la salvezza e il modo libero e gratuito del suo comunicarsi ai peccatori. È invece giusto dire che le condanne di allora non si applicano più all’interlocutore di oggi. La confessione luterana della dottrina della giustificazione, così come viene definita ed esposta nella Dichiarazione congiunta, non è colpita dalle condanne del Concilio di Trento. E, viceversa, le condanne espresse negli scritti confessionali luterani non colpiscono la confessione cattolica, così come essa ha trovato espressione vincolante nel Concilio di Trento.
Questo vuol dire che ciò che a quel tempo era motivo di divisione adesso è diventato indifferente?
KASPER: Non sono diventate indifferenti le condanne: esse rimangono come guardiani contro errori che sono possibili oggi come ieri. Ma ciò che ci unisce è più importante di ciò che ci divide. La Dichiarazione congiunta cattolico-luterana sulla giustificazione non è il prodotto di un liberalismo o di un relativismo teologico, come se il tempo avesse fatto cadere in oblio le questioni per cui allora interi settori della cristianità si separarono dalla comunione con la Chiesa di Roma. Anzi, ad aiutare questa convergenza è stato proprio un approfondimento delle nostre fonti: la Sacra Scrittura letta secondo la Tradizione, i Padri della Chiesa, tutta la liturgia e la testimonianza dei santi, quei poveri peccatori la cui santità è un’opera mirabile della grazia di Dio. Tutte queste cose non fanno che ripeterci che per quanto riguarda la sua salvezza l’uomo dipende del tutto dalla grazia redentrice di Dio. Che niente di ciò che precede o segue la giustificazione per grazia è in grado di meritarla. Del resto, l’assoluta gratuità della salvezza promessa ai peccatori non era certo una novità introdotta da Lutero, ma era un dato custodito da tutta la Tradizione. Lo stesso sant’Agostino, indicato dalla Chiesa come il doctor gratiae, proprio quando ricorre alle formule più forti sulla assoluta necessità della grazia, non intende esprimere una sua elaborazione teologica personale, ma si limita a ripetere le cose insegnate dalla Tradizione, vuole essere un semplice testimone della Tradizione. Ad esempio, nel De dono perseverantiae, Agostino scrive: «Viviamo più sicuri se diamo tutto a Dio invece di affidarci a lui in parte e in parte a noi stessi». Ma anche questa formula così assoluta, che riconosce tutto alla grazia, Agostino non la inventa. Si tratta di una citazione ripresa dal commento al Padre Nostro di san Cipriano, vescovo di Cartagine e martire. È dunque la frase di un Padre della Chiesa vissuto prima di lui, che Agostino si limita a ripetere fedelmente.
Ma allora perché sulla giustificazione si scatenò lo scisma luterano? Si può spiegare tutto come un colossale malinteso?
KASPER: Non si può ridurre tutta l’origine dello scisma luterano a una serie di malintesi. Su molte questioni legate alla giustificazione, come la dottrina dei sacramenti, col radicalizzarsi dello scontro si arrivò presto a posizioni inconciliabili. Ma all’inizio, sulla questione specifica della giustificazione, è ormai accertato che alcune delle condanne reciproche di fatto non colpivano la dottrina vincolante della Chiesa cattolica o delle comunità luterane, ma piuttosto erano rivolte contro opinioni teologiche soggettive e formule esagerate ed estreme che nell’inasprirsi della polemica vennero identificate tout court come la dottrina ufficiale della parte avversaria. Ad esempio, la reazione di Lutero era chiaramente rivolta contro la teologia tardo-scolastica e occamista dominante a quel tempo. Alcuni esponenti di questa corrente parevano sostenere la capacità dell’uomo di amare Dio e adempiere i comandamenti divini con le proprie forze e senza la grazia divina. In questo senso, come ha sintetizzato lo studioso cattolico Joseph Lortz in una celebre frase, «Lutero abbatté in se stesso un cattolicesimo che non era cattolico». Il suo errore fu quello di trattare questa opinione teologica, assimilabile all’antica eresia pelagiana condannata nei primi secoli dalla Chiesa, come se fosse la quintessenza della Scolastica e di tutta la teologia cattolica.
D’altra parte, anche i controversisti cattolici presero di mira le espressioni più estremiste di Lutero, mentre nell’urto del momento non vennero considerate quelle definizioni vincolanti della confessione luterana, come la Confessio augustana, che i luterani avevano esposto durante i tentativi di riconciliazione, per dimostrare che non si erano allontanati dalla Tradizione cattolica. E che anzi intendevano difendere la assoluta gratuità della giustificazione che era un dato essenziale della fede cattolica, e che a loro sembrava snaturata dalla teologia allora imperante nella Chiesa. È da notare che il Concilio di Trento, nel rispondere alla Riforma, innanzitutto ribadì le condanne del pelagianesimo e del semipelagianesimo, difendendo il dato della fede da cui partiva anche Lutero.
L’adorazione dei Magi

L’adorazione dei Magi

Parliamo dei punti più controversi. Da parte cattolica si è sempre espresso disagio per la formula luterana secondo cui il battezzato è simul iustus et peccator, giusto e peccatore al tempo stesso. Questa espressione sembrava indicare che di fatto, nella concezione luterana, quando Dio imputa all’uomo la sua giustizia, il giustificato rimane peccatore, come se il dono della grazia non operasse nessun cambiamento reale nella vita del battezzato.
KASPER: La formula simul iustus et peccator può essere intesa in diversi modi. Ci sono modi di comprenderla che sono inconciliabili con la dottrina cattolica, per esempio se si pensasse che la giustificazione sia soltanto una copertura sotto la quale il giustificato rimane peccatore. Ma anche Lutero e gli scritti confessionali luterani ripetono spesso che tramite la giustificazione e il battesimo il peccato viene dominato (peccatum regnatum) e che diventiamo una nuova creatura. Con la formula simul iustus et peccator Lutero intendeva ribadire la permanenza delle conseguenze del peccato originale che segnano la condizione umana. Ma questo non significa che per lui la giustificazione fosse solo una “copertura” del peccato. Anche per Lutero, quando Dio perdona il peccato al peccatore e lo dichiara giusto a motivo di Cristo, al tempo stesso lo rende giusto per mezzo della potenza dello Spirito Santo. Ma per i riformati, l’inclinazione a ricadere nel peccato che permane anche dopo il battesimo era anch’essa qualificata come peccato, mentre la dottrina cattolica distingue questa inclinazione al peccato, la concupiscenza, dal peccato in senso stretto, che per essere tale esige il libero assenso della persona.
Nella Dichiarazione congiunta e nei documenti annessi c’è una esposizione della posizione luterana sulla formula simul iustus et peccator che non è in divergenza con la dottrina cattolica. Si ripete che la giustificazione opera un rinnovamento reale nella vita del battezzato, ma questo rinnovamento non diviene mai un possesso acquisito, su cui l’uomo possa appoggiarsi davanti a Dio, e rimane sempre dipendente dall’azione dello Spirito Santo, «nel perdurante pericolo che proviene dal potere del peccato e dalla sua azione sui cristiani» (Allegato alla Dichiarazione congiunta).
Anche la formula luterana per cui la salvezza avviene «per sola fede» (sola fide) è stata da sempre vista come una implicita negazione del valore oggettivo delle opere buone dell’uomo gratuitamente giustificato. Col rischio di ridurre la fede a una costruzione psicologica, un sentimento costruito dall’uomo.
KASPER: Gli scritti di confessione luterani non hanno mai negato l’importanza delle opere buone, considerandole anzi un frutto della fede, la forma concreta in cui essa si manifesta. La Confessio augustana sottolinea l’impossibilità per l’uomo di lavorare per la sua salvezza «senza la grazia né l’aiuto né l’opera dello Spirito Santo». Ma sia la Confessio augustana sia la sua Apologia ribadiscono che la forza rinnovatrice dello Spirito Santo rende capaci di fare le opere buone (Confessio augustana 20; Apologia 4). Il Libro di concordia (Konkordienbuch) usa la formula sola fides numquam sola (la sola fede, mai sola) per ribadire che la fede, che sola giustifica il peccatore, non può mai andare separata dalla carità, alla quale si accompagna sempre.
Nelle controversie iniziali, per sottolineare in maniera esclusiva il sola fide i luterani giunsero anche a rifiutare la formula scolastica per cui solo la fede informata dalla carità (fides caritate formata) salva l’uomo peccatore. In essa vedevano il pericolo di tornare ad una concezione per cui la giustificazione non è più un dono gratuito, ma un premio che viene acquisito attraverso le opere di carità. Nelle trattative svoltesi durante la Dieta di Augusta del 1530, il capo della delegazione cattolica Johannes Eck rispose a queste obiezioni di Melantone facendo notare che anche la carità è opera di Dio e non opera dell’uomo.
Il rischio di una riduzione della fede a sentimento interiore si è verificata nel mondo protestante laddove ha prevalso, ad esempio in Germania, un’interpretazione neokantiana ed esistenzialista della dottrina luterana. Ma non è dappertutto così. Ad esempio la scuola finlandese insiste che quando Dio dichiara l’uomo giusto, inizia anche la sua opera di cambiamento reale, sul piano ontologico.
Altro nodo classico della discordia: si è sempre detto che per i luterani il peccatore può solo ricevere in maniera passiva (mere passive) la giustificazione, mentre la fede cattolica riconosce che la libertà dell’uomo toccato dalla grazia “coopera” con il suo assenso all’azione giustificante di Dio.
KASPER: Anche su questo punto lo studio delle definizioni confessionali espresse nel XVI secolo aiuta a cogliere dove erano già allora le basi di possibili convergenze. Il Concilio di Trento condannò l’opinione che l’uomo, nel ricevere la grazia, si potesse considerare alla stregua di una realtà inanimata, incapace perfino di assentire o di dissentire a tale operazione. Ma anche il Libro di concordia, lo scritto di confessione luterana redatto nel 1580 per fronteggiare le controversie sorte dentro il movimento riformatore, respinse sia le tesi dei filippisti, seguaci di Filippo Melantone, secondo cui nell’opera di salvezza c’era tra Dio e l’uomo una sinergia analoga a quella di due cavalli trainanti un carro, sia le opinioni opposte degli gnesioluterani [gruppo di teologi luterani che, nella pretesa di difendere l’autentico insegnamento di Lutero, si oppongono ai filippisti, ndr], secondo i quali l’uomo decaduto era talmente corrotto da essere trattato da Dio, al momento della giustificazione, come un mattone e un pezzo di legno, incapace di assentire o di resistere liberamente alla grazia giustificante.
La fuga in Egitto

La fuga in Egitto

Per Lutero la fede non è un’opera. Come spiega la Dichiarazione congiunta, quando i luterani sottolineano che l’uomo può solo ricevere la giustificazione mere passive, non negano che l’uomo possa rifiutare l’azione della grazia, ma negano ogni possibilità di un contributo proprio dell’uomo alla sua giustificazione. Ma questo non è di per sé in contrasto con quanto tutta la Tradizione cattolica ha definito riguardo alla cooperazione dell’uomo alla giustificazione. Anche la Scolastica parlava di una aptitudo passiva della creatura umana per definire la capacità di ricevere la grazia di Dio. Lo stesso Concilio di Trento ribadì che ogni preparazione umana alla grazia battesimale non è condizione o presupposto posto dall’uomo, ma esso stesso effetto della grazia divina. L’inizio della fede, il pentimento, la preghiera per ottenere la grazia e il desiderio di perdono, sono già un’opera di Dio in noi, una mossa suscitata dall’attrattiva della grazia. Come recita la Dichiarazione congiunta, «quando i cattolici affermano che l’uomo, predisponendosi alla giustificazione e alla sua accettazione, “coopera” con il suo assenso all’azione giustificante di Dio, essi considerano tale personale assenso non come un’azione derivante dalle forze proprie dell’uomo, ma come un effetto della grazia» (n. 20).
Nell’attuale contesto, segnato da una scristianizzazione tale per cui il cristianesimo è per l’uomo d’oggi «un passato che non lo riguarda» e da una «religiosità patologica» (sono entrambe espressioni di Ratzinger), la firma di Augusta non rischia di apparire come una cerimonia tra addetti ai lavori, interessati per mestiere a questo tema?
KASPER: Mi auguro di no. La Dichiarazione congiunta dovrebbe invece essere un richiamo profetico per tutta la Chiesa, in un momento come questo. Siamo oggi nel pericolo di cadere in un certo deismo, dove Dio sembra essere lontano dal mondo e dalla vita di ogni giorno. Viviamo spesso etsi Deus non daretur. Perciò la domanda che ha tormentato Lutero, «come posso trovare un Dio misericordioso?» spesso non ci tocca più. Proprio l’attuale condizione di insignificanza di Dio e della sua grazia per la gran parte dei contemporanei fa risaltare la verità della parola di Gesù ai suoi «senza di me non potete far nulla», ossia l’assoluta necessità della grazia. In questo senso la Dichiarazione congiunta è un kairòs, un’occasione favorevole per parlare nella predicazione e nella catechesi di nuovo del centro e del cuore del Vangelo. Ha detto il cardinale Danneels all’ultimo Sinodo per l’Europa, descrivendo l’attuale condizione della Chiesa: «Forse Dio ci conduce verso una sorta di nuovo esilio babilonese, per insegnarci a diventare più umili e vivere della dottrina dell’onnipotenza della grazia».
A dire la verità, nella predicazione odierna si parla anche di grazia. Ma la grazia viene di fatto descritta come un a priori, una realtà già in atto nel profondo del proprio essere uomo, di cui si tratta solo di prendere coscienza.
KASPER: Per Lutero la grazia di Cristo è “aliena”. È qualcosa extra nos, al di fuori di noi, che ci raggiunge dall’esterno. Su questa espressione ci furono dissensi e malintesi. Ma rimane il fatto che questo è un tratto che distingue il cristianesimo da tutte le dottrine di insegnamento religioso. Secondo la fede cristiana l’uomo è caratterizzato da un desiderio per Dio e per la sua grazia. Così la grazia non è semplicemente una cosa esteriore, è la piena e più profonda soddisfazione dell’uomo, ma è una soddisfazione che è un dono, un approccio e una autodonazione di Dio che per così dire tocca la nostra vita dall’esterno. Invece adesso, anche nelle nostre Chiese, prevale talvolta un modello asiatico-induista per cui l’unità con Dio la si cerca dentro di sé.
Un’altra concezione ricorrente è quella che considera il beneficio della grazia come una spinta iniziale, una premessa da cui dedurre con un discorso le logiche conseguenze.
KASPER: Lo stupore gratuito di fronte all’attrattiva della grazia non descrive solo ciò che avviene all’inizio della vita cristiana. San Tommaso, nella Summa theologica, scrive: «La grazia crea la fede non soltanto quando la fede nasce in una persona ma per tutto il tempo che la fede dura». In questa prospettiva si deve intendere anche l’espressione gratia habitualis (grazia abituale) usata dalla teologia scolastica: l’azione della grazia accompagna la vita dell’uomo giustificato come con un continuo riaccadere, come in un continuo nuovo inizio che raggiunge il battezzato e lo sostiene mediante i sacramenti quali strumenti ordinari. Purtroppo Lutero equivocò il senso dell’espressione e la respinse, vedendo in essa una pretesa di ridurre la grazia ad una qualità posseduta dall’uomo, una sorta di destrezza acquisita che consente all’uomo di adempiere con più facilità e più volentieri a quei precetti naturali e divini che comunque la ragione umana sarebbe in grado di seguire anche da sola. Ma c’è da aggiungere che anche in questo caso, al di là delle formule, riguardo alla res intesa le posizioni erano meno inconciliabili di quanto si creda. Quando, durante la Dieta di Ratisbona del 1541, si fu vicinissimi a un accordo sulla giustificazione, anche i rappresentanti luterani si erano dimostrati disposti ad accettare la corrispondenza tra la formula della Riforma «giustificazione per fede» e la formula scolastica «giustificazione mediante la grazia che rende graditi a Dio», che indica la grazia creata da Dio nell’uomo (gratia creata) che rende l’uomo gradito al Signore. Lo stesso Concilio di Trento riconosce che senza uno speciale aiuto della grazia non si può permanere nella grazia.
Gesù e il centurione di Cafarnao

Gesù e il centurione di Cafarnao

Si nota oggi un’insistenza della predicazione ecclesiastica a richiamare i princìpi morali a tutta l’umanità per favorire a tutti i livelli l’adempimento della legge naturale. Anche sotto questo aspetto, in che senso potrebbe essere salutare un confronto con Lutero?
KASPER: La crisi personale di Lutero iniziò proprio quando vide che, nonostante il suo impegno nella vita monastica, non riusciva e rendersi giusto col suo sforzo di coerenza. Lutero stesso racconta così quel momento cruciale: «Non amavo ma odiavo il Dio giusto che punisce i peccatori. Ero indignato con Dio, se non con una bestemmia nascosta, certamente con una forte mormorazione, e dicevo: come se non fosse abbastanza che i miseri peccatori, condannati in eterno per il peccato originale, siano oppressi da ogni genere di calamità dalla legge del decalogo! Dio deve aggiungere con il Vangelo dolore a dolore e anche per mezzo del Vangelo minacciarci con la sua giustizia e la sua ira». È un atteggiamento psicologico che mi sembra oggi diffuso nell’inconscio di molti, che sentono la predicazione sulla coerenza morale come un peso ulteriore per la vita già difficile. Senza la grazia è impossibile per l’uomo essere coerente alla lunga ai precetti della legge naturale, e i precetti evangelici risultano addirittura incomprensibili. Invece, nella vita di grazia diventa normale seguire i doveri morali, quasi senza neanche accorgersene. Il Signore è come una mamma che prende il bambino in braccio, e solo dentro questo abbraccio il bambino diventa buono. Lutero, riprendendo i termini usati da sant’Agostino, sostenne per tutta la vita che Cristo può essere per noi exemplum, un esempio da cercare di imitare col nostro comportamento solo perché prima è per noi sacramentum, la causa della nostra redenzione. La sequela e l’imitazione di Cristo sarebbe un’imposizione disumana, se prima Cristo non ci avesse preceduto compiendo in noi la sua azione di salvezza. E anche quando ricadiamo nel peccato lui ci perdona, ha misericordia delle nostre cadute. Questo è consolante per noi. Al contrario, se nella predicazione non si parte dal dato che siamo tutti peccatori bisognosi della grazia, anche la Chiesa rischia di apparire come un’istituzione di imperialismo religioso, e smette di compiere la sua missione liberatrice, quella di annunciare al peccatore la remissione dei peccati.
Il Catechismo maggiore di San Pio X spiega che «l’essere cristiano è un dono tutto gratuito di Dio, che non abbiamo potuto meritare». Riconoscere l’assoluta gratuità dell’inizio della fede cristiana non è anche un antidoto a ogni tentazione di imperialismo religioso verso i non cristiani?
KASPER: Riconoscere l’assoluta gratuità della fede significa riconoscere la libertà di Dio e la libertà dell’uomo. Ciò è il contrario di ogni forma di violenza religiosa e ragione per la tolleranza e la libertà religiosa. In questo senso il Concilio Vaticano II, sulla base della dottrina tradizionale, ha iniziato un nuovo capitolo nel rapporto tra Chiesa e società moderna.
Quali sono i possibili sviluppi che possono derivare dalla Dichiarazione congiunta?
KASPER: La convergenza sulla giustificazione potrebbe avere sviluppi anche in altri campi dove esiste una distanza più grande, come la dottrina dei sacramenti e del ministero ordinato e il ruolo della Chiesa nella giustificazione «per fede». Inoltre, dal punto di vista teologico, potrebbe essere utile approfondire il confronto tra Lutero e san Tommaso. Sono già stati pubblicati molti studi che evidenziano che tra i due, pur nella diversità dei sistemi e dei concetti, c’erano molti punti di contatto.
È possibile immaginare, nel medio termine, qualcosa di simile alla Dichiarazione congiunta rivolto agli ortodossi? Qual è il tema spinoso che si dovrebbe affrontare con loro?
KASPER: Con le Chiese cristiane d’Oriente sono già stati sottoscritti documenti dottrinali vincolanti, basti pensare alle Dichiarazioni congiunte con le Chiese orientali precalcedoniane sulla Cristologia. Non bisogna neanche dimenticare la cancellazione delle scomuniche reciproche firmata da Paolo VI e dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora nel 1965.


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