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MEDITERRANEO
tratto dal n. 12 - 1999

DIALOGO EUROMEDITERRANEO. Una proposta della Chiesa di Libia

Venga a Roma, colonnello…


«Gli europei, gli italiani lancino l’idea di ospitare Gheddafi a Roma, la propongano, perché oltretutto sarebbe un segnale di dialogo religioso, molto più concreto di quello che si pensi». Incontro con Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli


Intervista con Giovanni Martinelli di Giovanni Cubeddu


Di tanto in tanto per le vie di Tripoli e di Sirte c’è chi, in privato, mugugna sui petrodollari che il Colonnello elargisce a tanti Paesi dell’Africa (e dell’Asia), in nome della sua nuova politica estera. Una politica che esprime due eventi fondamentali: la fine della stagione della “solidarietà araba” (solidarietà di cui Tripoli non ha sentito il calore nei duri anni dell’embargo, ora sospeso), la grande ed epica apertura ai popoli poveri e sfruttati del continente nero, nel segno di una rivoluzione libica che ha festeggiato a settembre trent’anni di potere e che vuole continuare idealmente a tener alta la sua bandiera.
Leader in Africa. Gheddafi al vertice dell’Organizzazione per l’unità africana (Oua) ad Algeri nel luglio 1999

Leader in Africa. Gheddafi al vertice dell’Organizzazione per l’unità africana (Oua) ad Algeri nel luglio 1999

A Tripoli tutto ciò ha un’evidenza solare. Basta affacciarsi alla messa multicolore che il venerdì (giorno della liturgia in lingua inglese) e il sabato (in lingua francese) anima le navate della chiesa di San Francesco: più di mille cristiani africani cantano e ballano nell’unico modo nel quale sanno sinceramente pregare e ringraziare Dio. Quando l’embargo iniziò non erano così tanti, e Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, parla ancora oggi di loro come di una novità. Il presule è uomo che conosce l’intima natura del regime e del popolo libico, e insiste nel farci capire che se è vero che l’Europa (e ancor di più l’Italia) è il portone che il Colonnello deve attraversare per condurre la Libia sulla via dello sviluppo, un corrispettivo c’è ed è implicito: «La Libia vi aprirà le porte dell’Africa», suggerisce. Non nasconde che la diplomazia libica avanza portando con sé un bagaglio colmo di aiuti all’islamizzazione (tramite anche la Dawa Al Islamiya, network musulmano a capitale libico), ma comunque «chi ha il dono della fede non ha ultimamente paura di queste cose» (replica Martinelli, probabilmente all’indirizzo di tanti confratelli cristiani). Con lui discutiamo di Chiesa e di popolo, due cose che gli premono. E di un invito da fare. Inizia: «Partiamo dall’ultimo accordo, quello sul gasdotto da costruire tra l’Italia e la Libia: un grande, grandissimo fatto economico e anche politico. Ma…». Ma, eccellenza? «Quanto è coinvolto il popolo libico in questo riavvicinamento con l’Europa? Ad esempio, vi è grande urgenza di aiuto nella sanità pubblica, ma dall’Italia poco di concreto è stato offerto, a parte qualche sporadica visita di medici volontari, nonostante esista un protocollo firmato dai ministri italiano e libico della Sanità. Non si potrebbe anche in questo campo stilare un accordo, garantendo un canale di soccorso preferenziale per i casi di malattie incurabili, di gravi invalidità, per i bambini? Le faccio un altro esempio: al consolato italiano di Tripoli tempo fa sono giunte le richieste di alcuni giovani libici per le borse di studio in Italia; ne sono arrivate settecento, poi si è scoperto che quelle realmente finanziabili erano meno di cento! Infine, da quando l’embargo è stato sospeso ho assistito ad un via vai di delegazioni straniere, desiderose di lucrare consensi diplomatici, o meglio economici. Ma allora, non sarebbe opportuno agire con vero stile e, insomma… invece di andare sempre e solo a Tripoli per “concludere l’affare”, perché gli europei non cercano di avvicinare il leader libico all’Europa e di “conquistarlo” definitivamente al vecchio contintente?». Gli chiediamo come. «Ma invitandolo a Roma! Questo riavvicinamento, lo dico come pastore, servirebbe a “riconciliarci” con lui e con il popolo libico – dopo che ne sono state dette e fatte tante, e commessi tanti errori da ambo le parti. Ci soccorre anche l’occasione del Giubileo: avremmo così modo di riconoscere pubblicamente quella buona volontà che la Libia più volte ha manifestato. E allora, anche voi europei, date un segno, e datelo a Roma».

Lei pensa che Gheddafi accoglierebbe l’invito?
GIOVANNI MARTINELLI: Credo che ne avrebbe davvero piacere.
Già da tempo si conosce il desiderio del leader libico di visitare anche il Vaticano.
MARTINELLI: Lasciamo che queste cose accadano da sole, in occasione del Giubileo… sarebbe un fatto importante. Gheddafi peraltro ha già autorizzato gli ex residenti, un tempo cacciati, a tornare in Libia: un buon segnale che l’Unione europea mi pare abbia apprezzato. Gli europei, gli italiani lancino l’idea di ospitare Gheddafi a Roma, la propongano, perché oltretutto sarebbe un segnale di dialogo religioso, molto più concreto di quello che si pensi.
È significativo che una proposta siffatta venga dalla Chiesa di Libia, che suggerisce un dialogo più serrato, che non prenda subito le mosse da un confronto culturale o religioso – che potrebbe per di più causare prese di posizioni o irrigidimenti – ma esprima concretezza, “ecumenismo pratico”…
MARTINELLI: Il potere libico guarda alla Chiesa locale come a un punto di riferimento per aiutare il popolo nel settore umanitario. Proprio mentre si stipulavano grandi accordi politico-economici con Tripoli, mi pervenivano richieste di aiuto da poveri diavoli, da lavoratori caduti dalle impalcature, che cercavano di essere ricoverati d’urgenza in ospedali italiani, perché le autorità libiche non erano in grado di assisterli in loco. E per questi libici io non ho trovato accoglienza presso le istituzioni, ma nelle organizzazioni di volontariato. Per il popolo, per i poveri, anche in Libia, esiste la Chiesa. Mi ricordo che dal Meeting di Rimini questa estate il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika ha salutato il Papa dicendogli: «Se cerchi la pace, va’ incontro ai poveri». Sono d’accordo. C’è bisogno di gesti concreti per riconciliarsi.
Da due anni vi sono relazioni diplomatiche tra la Libia e la Santa Sede. Le parti sono soddisfatte dell’accordo? Sono state rispettate le promesse di un miglioramento sostanziale della presenza della Chiesa di Libia?
MARTINELLI: La vita continua come prima, nella libertà di un servizio che la comunità cristiana offre al Paese, una libertà garantita dal regime, certo… Magari c’è un clima di amicizia più intenso, e una forte esigenza e richiesta da parte del governo libico di aiuti concreti. Hanno chiesto 500 suore per riorganizzare gli ospedali, questo è un fatto noto, è un’urgenza alla quale bisogna rispondere. Il regime conosce le suore, ma sa perfettamente che è importante garantire loro una sistemazione consona, dove possano riposare, dopo un lavoro difficile, in un contesto sociale non sempre sicuro. Questi sono temi già affrontati nell’accordo tra Santa Sede e Libia. Ho parlato di suore, ma si può loro rispondere adeguatamente anche inviando dei laici qualificati.
Talvolta vi sono però alcune difficoltà, errori di comprensione nel rapporto con Tripoli che vengono lamentati da parte occidentale. Lei lo sa e conosce nel profondo la Libia. Quale suggerimento darebbe al regime perché sia più facile aiutarlo?
MARTINELLI: Non c’è bisogno di arrivare fino al regime, e il regime lo sa. È il regime che lascia apertamente che il popolo si rivolga alla Chiesa, al Vaticano, nel momento del bisogno: il povero, il malato capiscono che se anche si rivolgessero alle autorità e vedessero riconosciuto il loro diritto all’assistenza, otterrebbero una sovvenzione che di fatto è minima… D’altro canto la Chiesa di Libia ha richiesto delle garanzie al governo per poter lavorare efficacemente, garanzie che attendiamo ancora siano fornite. Ecco dunque la novità importante: il punto di riferimento è diventato il popolo, e se il popolo invoca il mio aiuto non devo chiedere al governo libico l’autorizzazione ad agire. Lo dico chiaramente: la Chiesa di Libia ha il diritto e il dovere di aiutare i poveri libici, musulmani e non. Lo stesso vale per quei giovani che desiderano studiare e perfezionarsi in Italia: loro mi chiedono aiuto senza bisogno del nulla osta dell’autorità, e certo non sono io che ne faccio una condicio sine qua non. Si rivolgono alla Chiesa usando una loro libertà, senza schermi religiosi. Questo non ha forse valore per la Chiesa e non ha un valore anche politico? Capite cosa sta succedendo in Libia? Allora, perché non invitare Gheddafi a Roma?


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