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CHIESA
tratto dal n. 12 - 1999

«Santo Padre, sia un tappeto...


...così che altri possano camminare su un terreno più morbido». Così dice spesso madre Tekla a papa Wojtyla. La superiora generale dell’Ordine del Santissimo Salvatore, fondato da santa Brigida, racconta il suo lavoro per l’unità dei cristiani


Intervista con madre Tekla Famiglietti di Niels Christian Hvidt


Si dice di madre Tekla Famiglietti che in pochi conoscono tante anime quante ne conosce lei. Jesús Castellano Cervera, direttore del Pontificio Ateneo Teresianum di Roma, l’ha definita «la terza Brigida» (dopo santa Brigida, fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore, e madre Elisabeth Hesselblad, luterana svedese convertita alla fede cattolica, che ha riformato l’Ordine all’inizio del secolo e che il Papa beatificherà il prossimo anno). Per Henrik Ree Iversen, ex ambasciatore danese in Italia, che conosce bene madre Tekla, la superiora generale delle Suore Brigidine, è «la donna più potente nella Chiesa cattolica oggi». Nata ad Avellino, Tekla Famiglietti è entrata nell’Ordine delle Suore Brigidine a soli 14 anni, portando a termine gli studi in convento. Dal 1981 è a capo dell’Ordine del Santissimo Salvatore di santa Brigida. A febbraio di quest’anno è stata infatti rieletta superiora generale per il suo quarto mandato, che durerà sei anni. Durante il periodo in cui madre Tekla è stata superiora generale sono state aperte ben 16 nuove case in tutto il mondo, inclusi Paesi nordici come Danimarca, Svezia, Norvegia ed Estonia. Ma suor Tekla, oltre a essere la stimata superiora di 500 suore, si è dimostrata anche un’ottima organizzatrice di conferenze di studio sull’ecumenismo, campo nel quale è fortemente impegnata e su cui ha una visione chiarissima e consapevole. Ad esempio, è stata la forza motrice dell’incontro internazionale di studio «Santa Brigida e l’Anno Santo», svoltosi a Roma il 12 e 13 novembre 1999, evento che ha portato a Roma 400 cristiani di tutte le appartenenze, dalla Scandinavia alla Polonia. Erano presenti la famiglia reale svedese, i vescovi e gli arcivescovi cattolici e luterani di Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca, giunti a Roma per ascoltare gli interventi che si sono concentrati soprattutto sulla spiritualità di santa Brigida e sull’ecumenismo.

Madre Tekla Famiglietti, superiora generale delle Suore Brigidine, con Giovanni Paolo II

Madre Tekla Famiglietti, superiora generale delle Suore Brigidine, con Giovanni Paolo II

Madre Tekla, ci parli di come è nata la sua vocazione.
MADRE TEKLA FAMIGLIETTI: Credo che il Signore sia stato molto buono con me, perché sin dall’infanzia sapevo che ero stata chiamata ad essere una suora. Vengo da una fervente famiglia cattolica. I miei genitori, le mie tre sorelle e i miei due fratelli emigrarono negli Stati Uniti quando io ero già in convento. Così non sono mai andata a trovarli negli Stati Uniti: non perché ci fossero dissapori, ma perché il Signore mi chiamava a questo abbandono completo. Volevo e voglio sempre seguire Cristo, il cui infinito amore ho sempre visto risplendere nella mia vita. Anche se sapevo che ero stata chiamata a consacrare tutta la vita a Dio, mi ci è voluto del tempo prima che trovassi l’Ordine che sentivo fosse giusto per me. Quando alla fine l’ho trovato, ero molto contenta: l’Ordine del Santissimo Salvatore di santa Brigida mi appassionò sin da quando l’ho incontrato la prima volta: c’era il giusto equilibrio tra vita contemplativa e vita attiva. Ho passato i primi anni di vita conventuale a Lugano, in Svizzera. Quel monastero è un gioiello, immerso in una natura meravigliosa. Sono stata lì per 24 anni, la metà dei quali come madre badessa del monastero.
È difficile il compito di una madre superiora di un Ordine con oltre 500 suore?
MADRE TEKLA: È innanzitutto una missione, un servizio alla Chiesa. È difficile? Confido nell’assistenza dei miei due grandi esempi: santa Brigida e madre Elisabeth. Le sento molto vicine, sento che guidano e benedicono me e le mie sorelle. Cerco di restare nella loro tradizione e compagnia attraverso la preghiera, tentando in tal modo di mettere in pratica la sacra amicizia con i santi, quella che si professa nel Credo quando diciamo: «Credo nella comunione dei santi...». Mi sento inoltre felicemente benedetta dal sostegno delle suore, sia attraverso il loro lavoro sia con le loro preghiere. Quindi anche se può essere pesante, non è mai una croce “troppo” pesante da sopportare. È una vocazione che deriva non soltanto dall’Ordine, ma dalla Chiesa. È la Chiesa, di cui siamo un’umile parte, che mi chiama a condurre quest’Ordine con tutte le mie forze e la forza di Cristo.
Cosa è cambiato di più nella sua vita in tutti questi anni trascorsi da quando è diventata suora?
MADRE TEKLA: Direi che ciò che mi ha cambiato e insegnato di più nella vita sono le sofferenze. Dal 1981 ho avuto una serie di malattie e ho subito molte operazioni. Dopo aver sofferto molto, si capisce meglio e si vede sotto una luce diversa il Signore e le sue sofferenze, sopportate per noi nell’amore divino. Analogamente, anche i rapporti con gli altri cambiano. Mi sento più vicina alle persone che soffrono rispetto a prima. E queste sofferenze hanno avuto un significato importantissimo anche per la mia vita spirituale. Durante una delle operazioni più lunghe, che è durata più di cinque ore, sono stata a un passo dalla morte, e questa esperienza, che per me è stata esperienza di Cristo, ha posto la mia vita in una prospettiva diversa.
Quali sono i carismi del suo Ordine?
MADRE TEKLA: Sono tre: primo, la lode del Signore, secondo, la riparazione e terzo l’unità. Il primo, la lode del Signore, non è soltanto qualcosa che si fa quando ci riuniamo in Chiesa per pregare. Cerchiamo di fare in modo che la lode del Signore sia il sangue che ci scorre nelle vene. Nella vita di tutti i giorni, nei compiti più banali e quotidiani che cerchiamo di svolgere con amore a Cristo, proprio come facciamo concretamente nella nostra liturgia giornaliera. Il contenuto principale della lode del Signore è amarlo, a prescindere dal momento della giornata o dall’occupazione in cui ci troviamo. Secondo, la riparazione. Cristo è il Crocifisso. Non è possibile essere suora senza avere Cristo come il Tutto, sposando la sua missione, continuando la sua opera di redenzione dell’umanità. E questo possiamo farlo con ciò che siamo, piuttosto che con ciò che facciamo. Ho scritto molte volte al Papa che, come Cristo, offriamo le nostre vite a beneficio della Chiesa. Offriamo i doni che siamo in grado di offrire, ma il dono più grande che possiamo fare è il dono di noi stesse. Il dono di noi stesse è un dono di riparazione, e io lo considero importantissimo.
Il terzo carisma è legato direttamente al secondo. Diamo noi stesse in riparazione per uno scopo specifico, e questo scopo è l’unità. Quando parlo di unità non penso soltanto all’ecumenismo negoziato dai teologi. Penso più di ogni altra cosa alla preghiera di Gesù: «Padre fa’ che siano uniti in un solo corpo!». È unità tra individui, unità nelle famiglie, unità nella Chiesa e tra le diverse Chiese, unità in generale nel mondo oggi, ma più di ogni altra cosa è l’unità dentro noi stessi, l’unità personale con Dio e con il nostro essere interiore.
Brigida voleva e promuoveva l’unità ai suoi tempi. Madre Elisabeth voleva la stessa cosa, anche se ha vissuto in un’epoca diversa. All’epoca di Brigida, la Chiesa d’Occidente era ancora unita, mentre in seguito la Riforma ha cambiato la situazione. Madre Elisabeth ha cercato di continuare la vocazione di Brigida e, con la stessa forza di Brigida, ha rifondato quest’Ordine che aveva ormai smesso di esistere nei Paesi nordici.
Quando ho conosciuto madre Elisabeth ho capito immediatamente che si trattava di una persona dai doni straordinari, ma la caratteristica principale era che lei possedeva il Signore. Non era una persona normale, ma una persona che possedeva Cristo, e Cristo possedeva lei.
Come si sentono le sue sorelle che vivono in Paesi come la Danimarca, dove la Chiesa cattolica rappresenta una minoranza?
MADRE TEKLA: Cerco sempre di insegnare alle suore che non è importante se si trovano in un Paese cattolico o no, se vivono in una cultura materialista o no, poiché Dio vive in ogni cuore. Brigida voleva che noi fossimo una luce per tutti gli esseri umani, sia direttamente, attraverso il contatto con le persone, sia indirettamente, con le nostre preghiere. È il Signore che deve intervenire. Anche se l’unico frutto di una nuova casa fosse la salvezza di una sola anima che altrimenti non sarebbe mai riuscita a trovare Cristo, questo varrebbe l’istituzione di tutta la casa.
Come vede la via verso una maggiore unità nella Chiesa?
MADRE TEKLA: Credo in un “ecumenismo dell’amicizia”. Dopo il Concilio Vaticano II se ne è parlato a lungo. Ora è tempo di risultati concreti! Ci sono certe barriere che devono cadere e noi dobbiamo convincerci che siamo vicini gli uni agli altri dopo così tanti secoli di separazione. Credo che la firma della Dichiarazione di Augusta dell’ottobre scorso possa servire a dimostrare che non siamo più così distanti tra noi e che possiamo diventare ancora più uniti. Analogamente, credo che il Grande Giubileo possa essere un’occasione per far proseguire ulteriormente questa ricerca. Ogni anima è in cerca, quindi cerchiamo Cristo insieme e preghiamolo insieme. Questo era lo scopo principale dell’incontro che abbiamo appena tenuto qui a Roma. Era per fornire una base su cui incontrarci e, più di ogni altra cosa, pregare Dio insieme. Dio ci dà sempre nuove vie per stare insieme.
La cosa più importante è promuovere un dialogo nello spirito della carità di nostro Signore. Io dico sempre al Papa: Santo Padre, sia un tappeto, così che altri possano camminare su un terreno più morbido! Dobbiamo incontrarci, aspettandoci il meglio dai nostri fratelli.


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