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I POLITICI
tratto dal n. 03 - 2007

Diritto naturale e giustizia nel magistero di Benedetto XVI



di Nicola Mancino



Le riflessioni di Benedetto XVI sul diritto naturale e sui doveri che ne discendono, sulla dignità della persona umana e sull’obbligo di rispettarla da parte di ogni legislazione positiva, interpellano il mondo della giustizia e, più in generale, la politica, ben al di là dell’adesione di fede a un messaggio confessionale, o del semplice rispetto che chiunque – credente o non – deve a un’autorità morale internazionalmente riconosciuta quando parla di argomenti di interesse comune. Quando siamo di fronte a temi come la difesa dall’ingiustizia o il ripristino dei diritti violati, siamo in un campo che è proprio della funzione giudiziaria intesa nel suo senso più elevato; e se è vero che obiettivo del processo è pervenire a una verità oggettiva, ecco che anche il confronto con le radici profonde della verità, iscritte – ricorda il Papa – nel cuore stesso dell’uomo, è fecondo e ricco di positive conseguenze.
È nota la tensione tra libertà di coscienza e verità oggettiva, tra spirito critico e principio di autorità; e le polemiche che recentemente hanno occupato il panorama politico italiano sui temi del sostegno alla famiglia e del riconoscimento dei diritti delle convivenze potrebbero rimettere in questione i termini di un costruttivo rapporto tra etica e fede, legge e morale, Stato e Chiesa, peraltro sempre correttamente interpretato, in una continuità di accenti che mi piace sottolineare, nei diversi incontri che negli anni si sono susseguiti fra Giovanni Paolo II e Carlo Azeglio Ciampi e, più recentemente, fra l’attuale Pontefice e il presidente Giorgio Napolitano. La promozione del bene integrale dell’uomo, «che è allo stesso tempo destinatario e partecipe della missione salvifica della Chiesa e cittadino dello Stato» (Benedetto XVI a Giorgio Napolitano, 20 novembre 2006), è il terreno d’incontro fra due autorità indipendenti e autonome ognuna nel proprio ordine, ma che hanno un compito comune da perseguire con i mezzi differenti che il proprio rispettivo status conferisce loro: il servizio alla persona umana, nel quale le due società – Stato e Chiesa appunto – si incontrano e non possono non convenire.
Se compito dello Stato è realizzare un ordine sociale giusto, e compito della giustizia è ripristinarlo quando esso sia stato violato, ecco che «politica e fede si toccano» (enciclica Deus caritas est, n. 28), pur restando ognuna gelosa della propria autonomia. Nella stessa enciclica che ho citato – l’unica finora pubblicata dal regnante Pontefice – Benedetto XVI descrive con chiarezza e in piena continuità con un magistero più che centenario, quella che è in materia la dottrina sociale cattolica: «Essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui e ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato».
Nel recente discorso rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall’Università Lateranense (12 febbraio 2007), il Papa è tornato sul tema della legge naturale, «sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare»; e ne ha ricordato il primo e generalissimo principio, «fare il bene ed evitare il male», da cui derivano tutti gli altri: rispetto per la vita, dovere di cercare la verità, tutelare la libertà, promuovere la giustizia e la solidarietà.
C’è di che riflettere per chiunque di noi è impegnato nella costruzione della società civile e nella difesa del principio di legalità. Nel campo legislativo, nel quale i laici cristiani si muovono in piena autonomia, guidati dalla coscienza debitamente informata e avendo come obiettivo il raggiungimento del bene comune possibile in una determinata situazione – Sturzo e De Gasperi non a caso sono stati antesignani della laicità del servizio chiesto ai cattolici –, si possono registrare tensioni e conflitti anche seri, che impegnano severamente la sensibilità di tutti. È successo anche recentemente, sul tema della famiglia. Oggi è forse possibile, ed è senz’altro auspicabile, che il confronto riprenda in termini più costruttivi, come richiesto dal presidente Napolitano, proprio sui temi della famiglia e della tutela della vita che più stanno a cuore alla Chiesa, nel già citato incontro con il Papa: «Un clima più disteso, uno sforzo maggiore di ascolto e di dialogo, potrà favorire la ricerca di soluzioni valide, ponderate, non partigiane».
Sarebbe quanto meno imprudente quello Stato che non interpellasse, prima e durante il processo di formazione della legge, quei soggetti privati o collettivi che hanno titolo per esprimere opinioni competenti e autorevoli in materia. A questo fine, tra l’altro, l’Unione europea e i suoi Stati membri si sono da tempo impegnati in un dialogo e in una consultazione “strutturati”, cioè costanti e rispettosi, fra i governi e le comunità religiose. E se il dialogo e il confronto non intaccano l’autonomia legislativa degli Stati, i cattolici sapranno, nell’ambito delle loro responsabilità, distinguere fra i diritti e i doveri che spettano loro in quanto membri delle due società, quella civile e quella religiosa. Alla Chiesa, per chi ne vuole liberamente seguire l’insegnamento, il compito di illuminare le coscienze «affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili» (Deus caritas est, n. 28).


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