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ITALIA
tratto dal n. 05 - 2002

Intervista con l’ordinario militare per l’Italia monsignor Giuseppe Mani

Preti con le stellette


Il servizio pastorale dei cappellani militari, con la fine della leva obbligatoria, è destinato a cambiare in senso europeo


di Lorenzo Cappelletti


Monsignor Giuseppe Mani durante il Giubileo dei militari a Roma, il 18 novembre 2000

Monsignor Giuseppe Mani durante il Giubileo dei militari a Roma, il 18 novembre 2000

Monsignor Giuseppe Mani non è avaro di parole né di giudizi: la prosopopea nei toscani non è boria, ma forma di difesa di una sincerità altrimenti disarmata. È generale di corpo d’armata, tale è il grado dell’ordinario militare per l’Italia. Ma il tratto non è militarista, o, meglio, è di un militare moderno. E di un prete moderno, senza quelle astuzie che vigono ancora spesso in ambito clericale. Forse è per questo che si trova a suo agio nella sua Chiesa con le stellette, di cui parla con affetto e calore come di qualcosa che gli appartiene. Cosa rara nei preti. Lo stesso affetto e calore che aveva da vescovo ausiliare del settore est di Roma, quello dei più poveri, e da incaricato della pastorale familiare della diocesi fino al 1996.

Come si configurerà il servizio pastorale dell’Ordinariato con il cambiamento in atto da un esercito fondato sulla leva obbligatoria a un esercito di volontari?
GIUSEPPE MANI: Tutti i cambiamenti in atto nelle Forze armate influiscono anche nelle scelte dell’Ordinariato militare. È per questo che fra il 1996 e il 1999 si è svolto il primo sinodo di questa nostra Chiesa. Con la fine della leva obbligatoria, i militari diventano più stabili e qualificati, e anche l’Ordinariato, che assomigliava a un grande e variegato oratorio fatto di decine di migliaia di giovani, acquista ora una diversa configurazione. Con l’avvio dell’esercito europeo il militare si muoverà per tutta l’Europa e avrà continui contatti con colleghi di altre confessioni religiose. I cappellani, poi, condivideranno spazi e tempi con ministri di altri culti e, dall’altra parte, dovranno essere disponibili ai fedeli di altre nazioni della loro stessa confessione. In una parola, le Forze armate saranno le prime a sperimentare in modo vitale l’Unione europea e l’Ordinariato sarà chiamato a creare comunione. Quest’esperienza è già in atto nelle varie operazioni di pace dove sono impiegati stabilmente oltre diecimila nostri soldati con dieci cappellani. Tra i vescovi dei militari poi c’è già grande comunione. Sono stato invitato ufficialmente per dieci giorni dall’ordinario militare ortodosso della Russia dove stanno organizzando l’assistenza spirituale alle Forze armate. Hanno già settanta cappellani militari per l’esercito e ottanta per le carceri. Sono andato per incontrare lo Stato maggiore e presentare come è organizzato l’Ordinariato in Italia e soprattutto lo stato giuridico dei cappellani. In quel viaggio mi ha colpito l’accoglienza che ricevavano l’ordinario e i cappellani da parte di tutti i soldati. Davanti alla mia non celata meraviglia mi hanno risposto che, magari non hanno ricevuto alcuna particolare istruzione religiosa, ma 60 milioni di russi dicono di essere stati battezzati clandestinamente. Si vede che il battesimo funziona davvero!
Cambia anche la preparazione dei cappellani?
MANI: Ovviamente per questo servizio ci vogliono preti preparati ad hoc e così è nata la Scuola allievi cappellani militari, vero seminario maggiore dell’Ordinariato militare dove attualmente venticinque giovani provenienti dal mondo militare si stanno preparando per essere preti europei, in possesso delle lingue e con una preparazione teologica tale da poter non solo discutere di ecumenismo ma convivere con altre confessioni senza guerre di religione e senza sincretismi. L’idea di una formazione adeguata per un servizio così delicato come il nostro è stata subito recepita dalle autorità militari, per cui già il ministro Andreatta firmò una convenzione con me che poi è diventata legge con la “paritetica” [la commissione per l’attuazione dell’accordo fra Santa Sede e Stato italiano del 18 febbraio 1984 che all’art. 11 prevede la predisposizione di intese per la disciplina dell’assistenza spirituale alle Forze armate].
La realtà del seminario corrisponde o no alle attese?
MANI: Credo proprio di sì. Nel mondo militare le vocazioni ci sono, i cappellani hanno lavorato molto bene. Anche la formazione è bene impostata: i seminaristi vivono in un bell’ambiente situato nella città militare della Cecchignola, frequentano la Gregoriana e nei fine settimana sono impegnati nelle parrocchie delle borgate romane.
Quali sono state le cose che più l’hanno colpita da quando è vescovo dei militari?
MANI: Mi hanno meravigliato i giovani militari impegnati in operazioni di pace all’estero. Ho visto veri atti di eroismo. Messi a contatto con la realtà e la sofferenza degli altri danno il meglio di loro stessi. Da Timor è venuta direttamente la superiora delle Canossiane per ringraziarmi di quanto hanno fatto per loro i “parà” (venti di questi ragazzi sono tornati con la febbre rossa). La indirizzai alla signora Ciampi che la volle sentire personalmente. Questi giovani, quasi tutti meridionali, generosi, puliti, fanno veri sacrifici per poter mettere su famiglia, una volta ritornati a casa, con ciò che riescono a metter da parte con la missione.
Quando fu nominato ordinario militare si confrontò, o magari si era confrontato già prima, con la polemica che a suo tempo il suo conterraneo don Milani aveva suscitato contro i cappellani militari?
MANI: Come no! Aiutato dal fatto che essendo toscano posso capire di più la mentalità dell’uno e degli altri. Le cose andarono così: don Milani proponeva l’obiezione di coscienza (niente di straordinario, essendoci già in altri Paesi); ai cappellani militari in congedo riuniti a Rifredi nella casa di monsignor Facibeni, santo prete fiorentino dalla cui esperienza di cappellano militare della Prima guerra mondiale nacque l’opera della Madonnina del Grappa, parlare di coscienza per non essere militari sembrò un affronto e un’offesa alla memoria dei caduti. Quei cappellani avevano vissuto l’esperienza della guerra, vedendo cadere migliaia di giovani di cui avevano raccolto le spoglie. Ecco l’origine di tutto il problema che poi finì in tribunale. Capisco don Milani, il quale peraltro ci sguazzò dentro, ma capisco anche i vecchi cappellani. È una polemica che ormai appartiene alla storia.
Ma è proprio necessario che i cappellani siano militari?
MANI: Mentre ordinariamente le diocesi sono caratterizzate dal territorio, la Chiesa ha scelto di fare per i militari una, l’unica, diocesi personale, nella quale si entra mettendosi le stellette e si esce togliendosele. La scelta è risultata intelligente perché quello militare è un vero mondo, caratterizzato dalla condizione di soldati, anche se li si vuole avvicinare sempre più al mondo civile. Per essere loro prete, per seguirli ovunque, in mare, all’estero, in missione di guerra e di pace è assolutamente necessario essere assimilati in pieno a loro.





I numeri dell’Ordinariato militare d’Italia


L’Ordinariato militare è nato l’11 marzo 1926.
La giurisdizione dell’ordinario è personale, cioè limitata alla persona del militare e alla sua famiglia. Si estende quindi anche fuori del territorio nazionale.
La curia dell’Ordinariato militare è a Roma, in Salita del Grillo 37, esattamente sotto la storica Torre delle Milizie.
I cappellani militari sono 220 dei quali 10 in missione all’estero. Rispondono attualmente alle necessità di 200mila soldati, 110mila carabinieri e 60mila finanzieri con le loro famiglie.
I cappellani militari possono cominciare il loro servizio prima dei 40 anni e lo concludono a 62. Sono assimilati ai gradi degli ufficiali.











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