Un magistero necessario
del cardinale Agostino Vallini
Anzitutto il suo impegno per la piena attuazione del Concilio, con l’autorevole e obiettiva precisazione del concetto di “recezione” del patrimonio dottrinale e disciplinare. Che il Vaticano II sia stato una immensa grazia per la Chiesa è pressoché universalmente riconosciuto, ma «nessuno può negare», ha detto il Papa nel discorso alla Curia romana in occasione dei primi auguri natalizi (22 dicembre 2005), «che in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile» per una errata interpretazione. All’«ermeneutica della discontinuità e della rottura», Benedetto XVI ha contrapposto “l’ermeneutica della riforma”, cioè del rinnovamento nella continuità, perché la Chiesa rimane sempre la stessa, seppure cresce nel tempo e si sviluppa come popolo di Dio in cammino nella storia. Una messa a punto opportuna, anzi necessaria, che ha aiutato tutti, pastori, teologi, operatori ecclesiali e fedeli, a camminare sui sentieri dell’autentico spirito conciliare.
Un secondo indirizzo del magistero di Benedetto XVI mi pare altrettanto chiaro e fecondo. Nel contesto culturale in cui oggi viviamo, marcato da una situazione di smarrimento spirituale, di sfiducia nella verità oggettiva e di accentuato individualismo, il Papa fin dai suoi primi interventi ha mostrato la preoccupazione di offrire motivazioni chiare e persuasive per credere. La Chiesa oggi si trova davanti a una grande sfida: come rinnovare la sua pastorale? Come formare i battezzati, perché la fede diventi luce e forza gioiosa di vita? La formazione generalmente messa in campo dalle parrocchie richiede di essere ripensata; il catechismo in occasione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e la predicazione domenicale a una percentuale bassa di praticanti sono inadeguati e insufficienti. Per tante persone, che pure si dicono cristiane, i valori della fede e della morale, se non sono rimossi positivamente, restano sullo sfondo e, a giudicare dai comportamenti, sembrano diventare ininfluenti. In questi due primi anni di pontificato il Papa ha stimolato e incoraggiato a ripensare metodi e forme dell’azione missionaria della Chiesa, perché Dio non rimanga escluso dalla vita della gente, dalla cultura e dalla stessa società.
È stato giustamente detto che il magistero di Benedetto XVI ruota con frequenza intorno a tre ambiti: fede, ragione, amore. È un terzo aspetto, questo, nel quale il Papa si è imposto all’attenzione per la chiarezza del pensiero e il rigore di argomenti stringenti. Convinto che fede e ragione siano complementari nei confronti della verità e della salvezza, volendo scuotere dal torpore intellettuale e morale soprattutto l’Occidente, il Papa spinge perché fede e ragione si muovano in unità, senza esclusioni reciproche. «Dio non diventa più divino», ha detto nel famoso discorso all’Università di Regensburg, il 12 settembre 2006, «per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro e impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore». E al tema dell’amore, come è noto, ha dedicato la sua prima enciclica, Deus caritas est. Le implicanze concrete di questo trinomio sul piano etico-morale sono evidenti e il Santo Padre non ha mancato di ricordarle, motivarle, ribadirle, difenderle. La difesa e la promozione della vita umana, del matrimonio, della famiglia, dell’educazione delle nuove generazioni, della pace, sono temi ricorrenti del suo insegnamento. Lo ha proposto e lo propone ogni giorno per fedeltà a Cristo e all’uomo. E la gente lo apprezza. Basta pensare allo spontaneo appuntamento domenicale dell’Angelus, non organizzato da alcun ufficio vaticano, che vede riunite in piazza San Pietro migliaia e migliaia di persone, attratte dalla sua parola breve, chiara, incisiva, che fa pensare e resta nel cuore. Alcuni mesi fa, in via della Conciliazione, mi ha fermato un signore di mezza età. «Lei è un prete», mi ha detto, «e permetta che le dica una cosa importante». «Dica pure», ho risposto con un sorriso incoraggiante. «Sono pentito di essermi allontanato dalla Chiesa; ma è un po’ di tempo che la domenica, a mezzogiorno, non posso fare a meno di venire a sentire il Papa, perché mi dice la verità».
Al Santo Padre, in occasione del suo ottantesimo genetliaco, assicuriamo la nostra preghiera e porgiamo i nostri auguri devoti e filiali. Ad multos annos!