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SINODO PER L’EUROPA
tratto dal n. 10 - 1999

Intervista con il cardinale Adrianus Johannes Simonis

È il Signore che riconduce dall’esilio


«L’immagine che più mi ha toccato è quella del cardinale Danneels: “Noi siamo in un esilio”. È in maniera miracolosa che il popolo eletto ritorna alla propria dimora, e la vita rifiorisce nuovamente in una forma purificata dalla prova»


Intervista con il cardinale Adrianus J. Simonis di Gianni Valente


Il cardinale Adrianus Johannes Simonis

Il cardinale Adrianus Johannes Simonis

Fuma il suo immancabile sigaro, il cardinale Adrianus Johannes Simonis, arcivescovo di Utrecht, mentre cerca di trovare un verso alle pile di scartoffie sinodali che letteralmente sommergono il suo studio al Pontificio Collegio Olandese. A lui, che nel suo intervento ha descritto la Chiesa come una «minoranza influenzata dalla mentalità dominante», 30Giorni ha chiesto un bilancio su alcune parole-chiave che sono riecheggiate nell’assemblea sinodale.

Allora, eminenza, questo Sinodo sull’Europa è stato un Sinodo “ottimista” o “pessimista”?
ADRIANUS JOHANNES SIMONIS: Tanti degli interventi ascoltati durante il Sinodo erano molto realistici. E io so che, di solito, si definiscono realisti quelli che vengono accusati di essere pessimisti. Molti interventi sono stati davvero realistici, perché hanno descritto la crisi attuale della fede e della Chiesa come una realtà drammatica. Guardando alla mia diocesi, al nostro Paese, l’Olanda, si può dire che due milioni di battezzati hanno perduto la fede, hanno lasciato la Chiesa. È un dramma il fatto che un terzo dei matrimoni fallisce, è un dramma reale per i bambini, e noi viviamo in tale situazione, che è ritenuta più o meno normale. Questo disastro è la normalità per milioni e milioni di uomini e di donne, in tutta Europa.
Il cardinale di Bordeaux, Pierre Eyt, ha parlato di «apostasia tranquilla»...
SIMONIS: Devo dire che è cresciuta questa indifferenza, questa lontananza totale. E questo è un disastro in paragone con venti anni fa, quando c’erano magari contrapposizioni e contestazioni su certi contenuti della fede, ma per tanta gente il cristianesimo suscitava ancora un interesse reale. Anche molti vescovi dell’Europa dell’Est hanno raccontato le stesse cose. Dicono: anche da noi oramai è come da voi. Dopo il crollo del Muro c’è stata come un’esportazione della crisi anche all’Est. Questa è una descrizione dell’Europa molto realistica.
Eppure, al precedente Sinodo sull’Europa, nel ’91, si respirava un’aria ottimista, da “primavera dei popoli”.
SIMONIS: Devo dire che quello del ’91 fu un Sinodo vissuto in stato di euforia. Si parlava molto dei possibili doni reciproci. Adesso devo dire sinceramente che dall’Est viene ancora un dono di testimonianza, di spiritualità, di fedeltà alla Chiesa, che si esprime nell’attaccamento a coloro che nel passato hanno vissuto il martirio. Ma riguardo al presente anche molti vescovi dell’Est sono divenuti realisti.
C’è stata in questo Sinodo qualche immagine, qualche frase che le è rimasta più impressa come realistica descrizione della condizione della Chiesa e della fede nell’Europa di oggi?
SIMONIS: L’immagine che più mi ha toccato è stata quella che ha usato il cardinale Godfried Danneels, quando ha detto: «Noi siamo in un esilio». La Chiesa di oggi è condotta in un esilio. Se si guarda l’esilio nella storia degli Ebrei, come è raccontato nelle Scritture, si vede che è stato un tempo di secolarizzazione e di lamentazioni. Il popolo ebraico diceva: noi non abbiamo più nulla, non abbiamo un tempio, non abbiamo sacerdoti. Che dobbiamo fare? Questa è l’immagine che mi tocca di più, ma devo dire che per noi la situazione è ancora più drammatica. Gli Ebrei erano stati deportati in esilio dai Babilonesi. Mentre io mi domando se in un certo senso non siamo stati noi stessi a condannarci all’esilio da soli, e a guidare sulle strade dell’esilio il nostro popolo. La crisi viene dall’interno della Chiesa. Non per attacchi e pressioni esterne.
In una tale situazione, cosa si può fare?
SIMONIS: Sempre guardando alla storia del popolo eletto, l’esilio, al di là delle lamentazioni, è anche il tempo in cui si prega, si fa penitenza, si chiede perdono. E così, in maniera miracolosa, il popolo ebraico ritorna alla propria terra, alla propria dimora, e la sua vita rifiorisce nuovamente, in una forma purificata dalla prova.
L’unica speranza di cui alcuni vescovi hanno potuto parlare è quella che fiorisce dall’aver visto l’azione di Cristo vivo. Tanti vescovi hanno potuto testimoniare questa esperienza, l’incontro con persone che vivono una fede che è evidentemente nutrita solo dai gesti di Cristo risorto. Magari persone che rimangono nascoste, nel quotidiano, e di cui i giornali non parlano.
Invece, come lei ha detto nel suo intervento, davanti a questa situazione, la Chiesa rischia di «ridurre il Vangelo a una ripetizione di parole e di appelli morali, che non danno le risposte necessarie a un mondo che vive nella confusione».
SIMONIS: Io ho detto che la Chiesa non può vivere delle parole, della ripetizione delle parole; perché se si fa ripetizione di queste parole, anche giuste, anche sacre, ma non corrisponde a queste parole una realtà viva, allora queste parole non aiutano.
Riposo durante la fuga in Egitto, Caravaggio, Galleria Doria Pamphilj, Roma. Nella pagina seguente, particolare

Riposo durante la fuga in Egitto, Caravaggio, Galleria Doria Pamphilj, Roma. Nella pagina seguente, particolare

Molti padri sinodali hanno parlato dei movimenti. Anche lei ne ha accennato nel suo intervento.
SIMONIS: Li ho citati come un possibile esempio di ciò che dicevo prima. La cosa più grande è che questi carismi sono sorti in modo miracoloso. Si può dire ad esempio che né Chiara Lubich né don Giussani volevano fondare un movimento. Ciò che è iniziato da loro non è merito loro, non è opera loro. È cresciuto così, per la forza dello Spirito Santo. Io sono colpito da persone che si vede che hanno incontrato Gesù vivo, tanto che la loro vita ne è cambiata. Non il discorso su Gesù, ma la Sua realtà. Come avvenne a Giovanni e Andrea, e infatti è questo l’episodio del Vangelo che ho ricordato nel mio intervento. Anche in questo tempo di perdizione, di perdita di fede, io vedo i germogli di una rinascita. Li vedo nel fatto che è possibile anche oggi un incontro così.
C’è un altro fenomeno che a volte conforta. Alcuni che avevano perduto la fede e si erano allontanati, magari nel periodo della contestazione, adesso, a volte nei momenti cruciali della vita personale, si ricordano della ricchezza della fede cristiana, e ritornano, senza che nessuno li vada a cercare con strategie ecclesiali. La Chiesa è come una casa a cui si può tornare dopo esserne usciti. Chi, almeno una volta, ha assaporato la ricchezza del dono della fede, può sempre ritornare.
Cosa pensa di chi nella Chiesa vorrebbe contrapporre un “partito dei movimenti” a un “partito dell’istituzione”?
SIMONIS: Nessun movimento basta a se stesso, è autosufficiente. La contrapposizione che si fa tra istituzione e carisma è falsa. Già san Paolo ha detto che il ministero stesso è un carisma. Anche l’aspetto istituzionale della Chiesa non è una realtà in sé sussistente, ma è sostenuto dallo Spirito Santo. È come uno specchio in cui le persone dovrebbero veder riflessa l’azione dello Spirito Santo. Altrimenti la Chiesa diventa solo un’istituzione umana. D’altra parte si deve riconoscere che anche tutti i movimenti hanno un aspetto istituzionale, strutturale: un programma, una guida, una membership.
C’è qualche tema che in particolare ha sollecitato l’interesse dei padri sinodali?
SIMONIS: Molti hanno insistito sul fatto che la natura propria della crisi sta nell’aspetto cristologico, nel senso che non ci sono più molti atei, quasi tutti sono diventati deisti, credono in un dio che è all’inizio di tutto ma non in un Dio vivo, personale, che opera nella storia. Per costoro Cristo è solo un uomo, un maestro religioso. Inoltre mi ha colpito che molti vescovi hanno parlato del sacramento della confessione, che non si pratica quasi più.
Infine, tanti vescovi hanno sottolineato l’importanza di avere le mani aperte. Meno attivismo, più preghiera e silenzio. Dovremmo essere come la terra, che riceve da fuori di sé il sole e la pioggia che la fanno fruttificare, mentre invece abbiamo ancora l’idea che dobbiamo fare tutto noi.
Come avete accolto e interpretato l’intervento del cardinale Martini, che ha suggerito di cercare «nuove forme di collegialità» per affrontare i problemi di oggi?
SIMONIS: Io trovo che Martini col suo intervento ha sfondato una porta aperta. Nel senso che noi conosciamo bene tutti i problemi a cui si è riferito. Ma non penso che per risolvere questi problemi ci sia bisogno di un Concilio Vaticano III.


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