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IL VIAGGIO DEL PAPA IN INDIA
tratto dal n. 10 - 1999

INDIA. Paolo VI a Bombay nei ricordi del suo segretario personale

«Quella gente aperta, avida di uno sguardo»


Così papa Montini descrisse l’umanità del popolo indiano, nella quasi totalità non cattolico, che lo accolse. Era il 1964. Oggi monsignor Macchi, in occasione della visita di Giovanni Paolo II, ricorda quel viaggio


di Pasquale Macchi


È grande la mia gioia nell’accompagnare col pensiero e con la preghiera il prossimo viaggio del papa Giovanni Paolo II in India.
Ricordo con immutato stupore l’esperienza di Paolo VI trentacinque anni or sono nella sua visita «al grande popolo indiano che è come l’immagine delle numerose genti e nazioni di quel continente». Così lo annunciava lui stesso ai padri conciliari che in quella sessione (la terza) stavano rivolgendo a tutti i fedeli l’invito a essere «infiammati dal desiderio della diffusione del regno di Cristo».
L’occasione del viaggio era stato l’invito dell’arcivescovo di Bombay, il cardinale Gracias, a partecipare al XXXVIII Congresso eucaristico internazionale che si sarebbe svolto in quella terra all’inizio del mese di dicembre.
Paolo VI a Bombay

Paolo VI a Bombay

Io ho ancora nella mente e negli occhi la scena commovente del pomeriggio del 2 dicembre 1964: una folla immensa (più di quattro milioni di persone) assiepata lungo la strada, dall’aeroporto alla sede del Congresso, mi dava l’impressione di una muraglia di teste e di corpi stretti in un unico gesto di saluto e di accoglienza gioiosa all’illustre pellegrino.
Nel cuore del Papa c’era la perenne preoccupazione per la pace, la giustizia, la fratellanza dell’umanità intera, e in particolare per questo popolo, per le «sterminate genti dell’India immensa e con esse quelle dell’Asia intera». Nel radiomessaggio per il Natale di quell’anno ricordò ancora con meraviglia e gratitudine quella gente «non cattolica, ma cortese, aperta, avida di uno sguardo e di una parola dell’esotico visitatore romano, quale noi eravamo».
Continuando, esprime la sua stima per quelle folle nelle quali «abbiamo visto un’umanità degnissima, connaturata con le sue tradizioni culturali millenarie, non tutte cristiane, no, ma profondamente spirituali e sotto molti aspetti buone e gentili, antichissime e giovani insieme, oggi sveglie e rivolte verso qualche cosa che lo stesso portentoso progresso moderno non può dare e forse può impedire».
Celebrando l’Eucaristia allo stadio Oval, dove consacrò sei vescovi, esprime la sua fede commossa nella presenza di Gesù «amico dell’uomo, maestro, pane di vita, salvatore» e gli viene spontaneo citare alcuni versi di una poesia di Tagore, figlio di quella terra:
«Giorno dopo giorno, o Signore della mia vita, starò io davanti a Te faccia a faccia? Con le mani giunte, o Signore di tutti i mondi, starò io davanti a Te faccia a faccia? Sotto il tuo immenso cielo, nella solitudine e nel silenzio, starò io davanti a Te faccia a faccia? In questo tuo mondo affaticato di pena e di lotta, tra le folle affrettate, starò io davanti a Te faccia a faccia?».
Incontrando le autorità del Paese, mentre si congratula con loro, esalta l’impegno e la tensione di giustizia dei protagonisti dell’India moderna, Gandhi e Nehru.
Il pensiero della pace nel mondo intero ispira tutti i suoi discorsi: ai nuovi vescovi chiede: «Andate, pastori, su tutte le strade del mondo, andate a rivelare ai popoli la loro dignità, la loro libertà, la loro missione!». E siccome «ombre minacciose continuano a pesare sul mondo, a turbare gli animi di buona volontà, a paralizzare le energie oneste e costruttive», rivolge al mondo intero il suo appello accorato: «Noi scongiuriamo tutti coloro la cui azione può essere determinante per conservare e consolidare la pace nel mondo, a misurare la gravità della loro responsabilità, e a fare di tutto per impedire lo scoppio di un nuovo cataclisma». Ai giornalisti affida un particolare messaggio di pace: «Voglia il cielo che le nazioni cessino la corsa agli armamenti, e dedichino invece le loro risorse ed energie all’assistenza fraterna delle nazioni sottosviluppate. Ogni nazione, coltivando “pensieri di pace e non di afflizione” e di guerra, metta a disposizione una parte almeno delle somme destinate agli armamenti per costituire un grande fondo mondiale diretto a sovvenire alle molte necessità di nutrimento, di vestiario, di case e di cure mediche che affliggono molti popoli».
Prima di lasciare il territorio indiano, ringrazia le autorità e affida la sua automobile a Madre Teresa per aiutarla nelle sue opere di bene a favore dei poveri. È un segno della sua perenne attenzione per i più bisognosi che un mese prima lo aveva spinto a rinunciare alla tiara e offrirla perché se ne ricavasse una somma da destinare a questo medesimo scopo.
Ogni viaggio lascia in Paolo VI una forte impressione e gli apre il cuore a una sempre maggiore attenzione alle urgenze dell’umanità e insieme speranza e fiducia per il compito prezioso della Chiesa.
Tornato a Roma, nell’udienza generale del 9 dicembre, dirà apertamente: «Bisogna che ci facciamo un concetto più adeguato della cattolicità della Chiesa, che abbiamo un desiderio più largo della fratellanza umana a cui essa ci educa e ci obbliga, e che affrontiamo con maggiore coraggio apostolico le questioni relative alla presenza della Chiesa nel mondo».
Dopo trentacinque anni, Giovanni Paolo II porterà il medesimo amore e la medesima ansia, il medesimo slancio e la medesima condivisione: è ancora e sempre la Chiesa che offre l’unica salvezza, quella che viene da Cristo.


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