Le sorprese del Gianicolo
Roma. Il caso del parcheggio di Propaganda Fide: nel cantiere in costruzione continuano ad emergere testimonianze archeologiche. Inoltre per realizzare il parcheggio si sarebbe venuti meno ai Patti Lateranensi. E, per evitare eventuali controlli della Soprintendenza archeologica italiana, è stata fatta una legge in cui, di fatto, si cambiano i confini della Città del Vaticano
di Lorenzo Bianchi
Stanza della domus sotto il Gianicolo, muro con disegno di architetture fantastiche
Le fonti antiche accennano a strutture (un portico, una terrazza) di un luogo elevato presso il Tevere; cioè, senza dubbio la collina di Propaganda Fide, come confermano anche le numerose sostruzioni murarie del I e del II secolo che tuttora sopravvivono ai bordi di essa. Sembra invece che quanto rinvenuto nel luogo della rampa, contrariamente alle prime impressioni che facevano supporre una fase del I secolo, con il proseguire degli scavi e l’evidenziarsi di elementi datanti, sia da attribuirsi al II secolo. Concorrono a questa datazione sia i ritrovamenti di ceramiche, sia le strutture murarie, sia i dipinti. Questi ultimi rappresentano elementi vegetali, rami e uccelli di vario tipo e razza, sottili architetture stilizzate e simmetriche a più piani, alte e slanciate, quadretti e figurine fantastiche di animali con volto umano, ali e zampe, forse da interpretarsi come maschere o anche come teste di Medusa.
Anche se dunque non dovremmo essere di fronte a resti della villa imperiale del I secolo (ma potrebbe anche trattarsi di corpi edilizi aggiunti successivamente, sempre nell’area degli stessi horti), quanto emerso dalla terra ha in ogni caso un valore insostituibile per la conoscenza di un luogo così carico di memoria. Ormai si comprende anche benissimo che i segnali che erano emersi dai primi sondaggi prima che le ruspe iniziassero i lavori di sterro dell’area non erano da sottovalutare, ed ora più che mai è opportuno che coloro a cui è affidata la decisione su questi preziosi reperti si oppongano con chiarezza alla loro distruzione e decidano coraggiosamente per la loro integrale conservazione in loco. Sto parlando del Comitato di settore per i beni archeologici del Ministero per i Beni e le Attività culturali, che, dopo il ritrovamento dei primi affreschi, il 9 settembre si era riunito e aveva deciso di far continuare le indagini. Il 30 settembre lo stesso Comitato aveva concesso agli archeologi solo altri pochi giorni ancora. Giovedì 7 ottobre aveva invece definitivamente deciso, in una riunione pomeridiana, di dare il via libera alle demolizioni dei resti antichi, previo restauro, distacco e “musealizzazione” degli affreschi, operazione che, come sa bene chi lavora nel campo dei beni culturali, significa purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi deposizione “provvisoriamente definitiva” in qualche magazzino. Dopo le polemiche apparse sui giornali a seguito degli ulteriori ritrovamenti, una nuova valutazione del Comitato è ora prevista per i primi giorni di novembre. Ma, se nulla vorrà modificare il Comitato della sua decisione di ottobre, quando l’impresa costruttrice avrà ultimato il resto del tracciato e non resterà che la parte occupata dai resti antichi, saranno sospesi ricerche e rilievi. Staccati gli affreschi, tutto il resto, declassato ad “ambienti di servizio” e “muri di scarsa importanza”, sarà affidato alle ruspe. Sembra che la rampa «sia essenziale per il parcheggio di Propaganda Fide, ed è stata addirittura definita opera di importanza internazionale perché, è chiaro, deve collegare tutta una serie di servizi con il parcheggio e quindi le ripercussioni su di esso sarebbero notevoli» (Claudio Mocchegiani, responsabile di zona della Soprintendenza archeologica di Roma, nell’intervista rilasciata a 30Giorni, n. 9, settembre 1999, p. 83). Si comprende dunque perfettamente quale sia il clima che si è venuto a creare: «Il nostro lavoro non si svolge più in un clima di serenità. Siamo tartassati da ogni parte, quotidianamente riceviamo pressioni diverse, frutto di tesi completamente opposte, mentre invece l’archeologia ha bisogno di tempo» (ancora Mocchegiani in una notizia Ansa del 29 settembre scorso). Gli archeologi della cooperativa Ianus intanto lavorano ormai freneticamente dalle otto di mattina fin oltre la mezzanotte.
È necessario invece che, riconsiderando i nuovi e continui ritrovamenti, il Comitato arresti questo conto alla rovescia, anche se la scadenza giubilare incombe e c’è chi – indifferente alla memoria del passato – insiste fortemente perché il “nodo” archeologico che impedisce di ultimare il tracciato della rampa venga reciso e si dia il via libera alla cementificazione. Significherebbe, dopo le tante distruzioni nella zona, antiche e recenti, fare sparire per sempre un altro raro e importante tassello per la ricostruzione della topografia antica nei luoghi che, tra giardini, porticati e terrazze, videro (non è affatto superfluo ripeterlo) il martirio di tanti fedeli cristiani: da quelli uccisi nell’anno 64 ad opera di Nerone fino ai pellegrini difensori della memoria di Pietro nel IX secolo, qui sepolti dopo essere stati trucidati dai Saraceni, «pagani» – dice il Liber Pontificalis – che il Signore, vedendo «che la Chiesa redenta con il suo stesso sangue andava in rovina» per la pratica simoniaca, «mandò come vendicatori» fino a Roma perché «la sua Chiesa non dovesse sopportare una simile vergogna».
Scavi sotto il Gianicolo: i pilastri in cemento armato che hanno sfondato le strutture della domus romana
Ma come è possibile che questo sia avvenuto? Sembra incredibile, ma la facoltà dell’amministrazione di Propaganda Fide di distruggere nel suo terreno le memorie dell’antichità è stata addirittura stabilita per legge, in base al privilegio di extraterritorialità di cui gode la zona. I luoghi dove è stato impiantato il parcheggio fanno giuridicamente parte del territorio italiano, ma sono stati affidati al Vaticano con il Trattato lateranense dell’11 febbraio del 1929. La Santa Sede ha dunque la facoltà di dare «l’assetto che creda» agli edifici in essi compresi, «senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità governative, provinciali o comunali italiane», proprio perché queste, come si dice nell’articolo 16 del Trattato, «possono all’uopo fare sicuro assegnamento sulle nobili tradizioni artistiche che vanta la Chiesa Cattolica».
È quindi evidente che il dettato dell’articolo tendeva unicamente a garantire il terreno assegnato alla Chiesa da futuri ripensamenti dello Stato italiano, in vista, per esempio, di possibili sfruttamenti intensivi. Ma che cosa è invece successo? L’amministrazione di Propaganda Fide se ne è avvalsa per giustificare lo sbancamento della collina, non permettendo la sorveglianza della competente Soprintendenza archeologica italiana (ricordiamo ancora che si tratta pur sempre di territorio dello Stato italiano). Questo risulta, oltre che naturalmente dai fatti, anche da uno scambio di note – di pubblico dominio – avvenuto tra il 3 e il 19 dicembre 1997 tra la Santa Sede e lo Stato italiano, in attuazione del comma 13, art. 1, della legge n. 651/96 che dice: «I finanziamenti relativi agli interventi di cui al comma 2, da realizzare su area ubicata almeno parzialmente su territorio della Santa Sede e almeno parzialmente di proprietà della stessa, sono subordinati alla definizione consensuale, mediante scambio di note, tra la Santa Sede e lo Stato italiano, delle modalità di attuazione degli interventi». Nello scambio di note si fa poi riferimento agli articoli del Trattato lateranense del 1929 e si cita testualmente il parcheggio del Gianicolo come l’«unica opera prevista nel territorio dello Stato Città del Vaticano e parzialmente finanziata dallo Stato italiano».
Tutto ciò, anche se formalmente può sembrare ineccepibile, non appare affatto in accordo con la vera sostanza dell’articolo del Trattato lateranense. Questo articolo, che si preoccupava della conservazione delle antiche testimonianze storiche è servito per giustificarne, a priori, la incontrollata distruzione. Inoltre, non si è tenuto conto delle modifiche concordatarie tra Stato italiano e Santa Sede firmate il 18 febbraio 1984. In particolare l’articolo 12, comma 1, prevede che «la Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborino per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche». Anche se l’articolo 16 del Trattato lateranense non può essere considerato cambiato dalle modifiche concordatarie del 1984, perché si tratta di un diverso trattato internazionale che abbisogna di apposita modifica, tuttavia è anche vero che quanto previsto dal Concordato vigente, cioè che «le due parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche», vincola la Santa Sede e, per converso, legittima le competenti autorità italiane a esercitare i poteri che le leggi gli affidano, per la salvaguardia dei beni culturali. Questo non è stato permesso.
Ma c’è ancora di più. Nello scambio di note c’è anche un incredibile errore “tecnico”. La zona di Propaganda Fide viene chiaramente definita come «territorio della Santa Sede» o «territorio dello Stato Città del Vaticano»; e proprio in base a questo dato viene fatto il riferimento alla legge n. 651/96 e si sono compiuti gli atti e i lavori del parcheggio. Ma nessuno sembra essersi accorto che la zona di Propaganda Fide, anche se extraterritoriale, non è «territorio dello Stato Città del Vaticano»; è invece «territorio dello Stato italiano». Insomma, un bel pasticcio con un forte sospetto di incostituzionalità.
Le distruzioni “extraterritoriali” sono ormai state compiute. Il danno provocato dal parcheggio del Gianicolo è nel suo insieme incalcolabile; sia per ciò che è ormai scomparso, sia per il silenzio totale in cui tutto è avvenuto. Purtroppo proprio chi avrebbe dovuto salvaguardare la santità di questi luoghi li ha invece distrutti, con una indifferenza così ostinata da mettere paura. Crediamo che nessun privilegio o diritto di proprietà possa autorizzare alcuna amministrazione, soprattutto se ecclesiastica, a distruggere, in nome di una asserita pubblica utilità, luoghi cari alla memoria cristiana e perciò patrimonio della Chiesa tutta.