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GIOVANNI PAOLO I
tratto dal n. 10 - 1999

La stella di Davide e la croce di Cristo


Abramo Alberto Piattelli, rabbino capo a Venezia dal 1961 al 1972 e oggi assistente del rabbino capo di Roma Elio Toaff, racconta la sua amicizia con Albino Luciani, patriarca del capoluogo veneto


Intervista con Abramo Alberto Piattelli di Giovanni Cubeddu


Abramo Alberto Piattelli insieme al patriarca di Venezia Albino Luciani nel settembre 1972

Abramo Alberto Piattelli insieme al patriarca di Venezia Albino Luciani nel settembre 1972

«Sono arrivato a Venezia nel 1961 e vi sono rimasto fino alla fine del 1972, per poi tornare a Roma. Ero al mio primo incarico in quella comunità come rabbino capo, ed avevo frequenti rapporti sia con varie parrocchie veneziane, mestrine e venete in generale, che con il patriarcato. Con il predecessore, il patriarca Urbani, i contatti erano stati sporadici, legati più alle grandi occasioni ufficiali. Invece con Albino Luciani, non appena ebbi l’opportunità di conoscerlo, s’instaurò un rapporto di sincera amicizia, anche per il suo temperamento così bonario e affabile. E mi capitò spesso di incontrarlo, magari in piazza San Marco, e di passeggiare e discutere del più e del meno, di “accalorarci” assieme su qualche tema d’attualità. Luciani era una persona buona, cordiale e molto intelligente».
Questi ricordi, e quelli che seguono, appartengono ad Abramo Alberto Piattelli, che oggi è assistente del rabbino capo Elio Toaff nella comunità ebraica di Roma, nonché docente al Collegio Rabbinico e alla Pontificia Università Lateranense. È la prima intervista che concede sui suoi giorni a Venezia quando patriarca era Albino Luciani.

Lei rabbino capo e lui patriarca. Come si svolse il vostro rapporto?
ABRAMO ALBERTO PIATTELLI: Era un grande conoscitore della Bibbia, e mi ricordo anzi di avergliene regalata una scritta in ebraico.Lui mi disse di aver studiato ai tempi del seminario l’ebraico, e la cosa gli fece molto piacere. La Bibbia era il fondamento che lo legava anche alla Terra promessa, a Israele. Lui non aveva ancora visitato Israele, e mi diceva che avrebbe voluto tanto visitarla, non come turista fugace, ma per andare lì sul posto e rimanervi a lungo, visitare i luoghi storici del Vecchio e del Nuovo Testamento, vedere gli scavi archeologici che si stavano aprendo e conoscere le imprese realizzate nello Stato di Israele da poco nato. Erano anche gli anni in cui si verificavano i risultati prodotti dal Concilio Vaticano II, e ne discutevamo.
Ci racconti.
PIATTELLI: Molte volte Luciani mi narrò dei suoi interventi durante il Concilio, e teneva a ribadire che era molto legato al cardinale Bea e agiva all’unisono con lui. E sappiamo che Bea ebbe un compito determinante nel Concilio per quanto riguardava i rapporti tra Chiesa cattolica e comunità ebraica. Il futuro papa Luciani si presentava come un grande promotore della rimozione dell’assurda accusa di “deicidio” (rimozione che in qualche modo poi fu approvata dai padri conciliari), ed era favorevole ad un giusto rapporto con il popolo ebraico non defraudato della sua dignità e della sua storia. Noi ebrei dobbiamo essergli grati per essersi adoperato su questo punto cruciale, perché, anche se dal Concilio non è uscito l’optimum nei confronti degli ebrei, insomma… la rimozione dell’accusa di deicidio è stata un avvenimento.
E del “deicidio” che cosa le diceva Luciani?
PIATTELLI: Affermava, rifacendosi ai suoi studi biblici, che al processo di Gesù non potevano esser presenti più di cinquecento persone, perché lo spazio non lo permetteva, «e seppure noi volessimo accusare gli ebrei di deicidio, dovremmo accusare soltanto quei cinquecento e non tutto il popolo». La sua interpretazione era, secondo lui, fedelmente aderente al testo biblico. Io credo che Luciani, già a partire dal suo magistero in Veneto, diede alla Chiesa cattolica una lezione pastorale su tale tema. Per questo è stato molto importante il suo lavoro in questa regione. Luciani si rammaricava delle posizioni antisemite assunte dalla Chiesa attraverso i secoli, e lo ricordava spesso, visto che si trattava di un argomento che in Veneto e nel Nord si sentiva maggiormente. Non dimentichiamo che nel XVI secolo a Trento furono portati al rogo ebrei dopo essere stati accusati di omicidio rituale, ovvero di aver ucciso dei bambini durante la Pasqua per fare con il loro sangue il pane azzimo. La persecuzione nazista, inoltre, aveva decimato anche le comunità venete. Luciani deplorava quegli eventi e s’augurava che tutto potesse essere superato grazie ad un atteggiamento di cordialità e di rispetto tra le due comunità. E per questa sua concezione lui s’adoperò moltissimo, anche nei primissimi incontri ecumenici che si svolsero nel Veneto di quegli anni.
Dal suo punto di vista, dunque, nella Chiesa il rispetto e la cordialità di Luciani fecero scuola?
PIATTELLI: La sua posizione ha per così dire aperto gli ambienti cattolici. Tante volte io mi sono potuto recare nella parrocchia vicino al ghetto e in altre parrocchie di Venezia per discutere dei problemi legati alle rispettive posizioni religiose. Questo è accaduto durante gli anni del patriarcato di Luciani e denota la sua apertura rispetto ai predecessori. Ebbi occasione di invitarlo a visitare ufficialmente la sinagoga, e a partecipare a qualche nostra cerimonia religiosa, e lui mi disse di “sì”, che si era ripromesso di visitare la sinagoga. Gli anni in cui fu patriarca di Venezia non furono però sufficienti, perché poco dopo, nel ’78, fu eletto papa. Ma in tutte le manifestazioni in sinagoga nelle quali le autorità locali civili e religiose usavano partecipare, il rappresentante del patriarcato c’era sempre. E ogni volta che telefonavo in patriarcato per fargli visita, attraverso il suo segretario lui subito mi rispondeva: «Venga pure, quando vuole, a che ora vuole, ho sempre piacere nel riceverla».
Del resto la fama di Luciani era arrivata già anche in Israele, come dimostrò la visita in patriarcato di Gheulla Cohen. Vede, conservo ancora la foto…
Paolo VI a Venezia insieme al patriarca Albino Luciani il 16 settembre 1972

Paolo VI a Venezia insieme al patriarca Albino Luciani il 16 settembre 1972

Ci descriva quell’incontro.
PIATTELLI: Gheulla Cohen era un personaggio eroico e leggendario nella storia del giovane Stato di Israele: ha partecipato alla guerra d’indipendenza, combattendo contro il mandato inglese in Palestina. Fu lei a chiedermi di poter intervistare Albino Luciani, evidentemente incuriosita dalla fama del personaggio, fama che in qualche modo era arrivata in Israele.
C’incontrammo in patriarcato, nello studio di Luciani, tra settembre e ottobre del ’72. Io feci da interprete, perché Luciani non parlava ebraico e mi pare neanche inglese, e la Cohen ad un certo punto gli chiese se la stella di Davide e la croce di Cristo potessero in qualche modo essere segni di amicizia. E lui disse: «Sì, nelle rispettive differenze teologiche, si può essere amici». E si lasciarono con questa speranza. Nella foto si nota molto bene che la Cohen si presentò all’incontro con una grande stella di Davide al collo, mentre Luciani portava il suo crocifisso: ognuno con la propria identità, ognuno aperto all’amicizia.
Stupisce la curiosità di questa giornalista ebrea “combattente” di conoscere il patriarca di Venezia…
PIATTELLI: Chi conosce Venezia sa del ruolo svolto dagli ebrei all’interno della città, dove esistono un ghetto che è rimasto quasi identico a quello istituito nel 1500 e sinagoghe perfettamente inserite nel contesto urbano. Venezia ebraica ha avuto un posto notevole non solo nella storia della città ma anche nella storia della cultura ebraica in generale.
La visita della Cohen è del ’72, e Il Vicario – l’opera di Hochhuth che accusò di antisemitismo papa Pio XII – era già uscito nel ’63. Non ne parlaste proprio in quell’incontro?
PIATTELLI: No. Conviene sempre parlare più delle cose che ci uniscono che dei motivi di divisione. Allora come adesso abbiamo tutti bisogno di lavorare insieme per alcuni obiettivi comuni.
Qualcuno sarà tentato di fare graduatorie sui rispettivi rapporti di papa Wojtyla e papa Luciani con il popolo ebreo, pur nelle differenze tra un papato che dura da oltre vent’anni e uno durato solo 33 giorni…
PIATTELLI: Ma non si possono creare delle contrapposizioni. C’è tutta una continuità d’azione da Giovanni XXIII a Paolo VI fino a papa Luciani e a papa Wojtyla. E anche se l’attuale Pontefice ha compiuto atti notevoli che non hanno confronto nella storia millenaria dei rapporti ebraico-cristiani, lo ha fatto nella scia dei suoi predecessori. Anche per Wojtyla valga quello che ci insegna la Bibbia: nessun personaggio può decidere di farsi profeta e di incidere autonomamente sulla storia, ma si deve fare strumento della volontà di Dio nella storia. Luciani in questo fu esemplare.


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