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STORIA DEI GIUBILEI
tratto dal n. 10 - 1999

Aperture insperate


Anno Santo del 1900. La questione romana non è ancora superata, tanto che Nathan organizza un provocatorio pellegrinaggio alle “basiliche laiche”. Ma il Giubileo riserva qualche sorpresa: Pascoli che si commuove per papa Leone XIII e re Umberto I che acquista l’indulgenza andando penitente alla Scala Santa...


di Serena Ravaglioli


Leone XIII apre la Porta Santa nel 1900

Leone XIII apre la Porta Santa nel 1900

Quando, il 24 dicembre 1899, Leone XIII inaugurò il primo Giubileo del Novecento erano passati settantacinque anni dall’ultima apertura della Porta Santa.
Pio IX, sebbene nel suo lungo pontificato cadessero due ricorrenze giubilari, non aveva avuto la gioia di celebrare nessun Anno Santo in forma completa. Nel 1850, a ridosso dei moti quarantotteschi e delle vicende della Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, il Giubileo non fu neanche indetto e il Papa, che aveva trovato rifugio nel Regno di Napoli, restò lontano da Roma fino all’aprile. Nel 1875 Pio IX promulgò la bolla d’indizione Gravibus Ecclesiae et huius saeculi calamitatibus, con la quale estendeva il Giubileo a tutto il mondo, ma poi, “prigioniero” in Vaticano, lo celebrò in forma ridotta. La cerimonia di inaugurazione fu tenuta l’11 febbraio nella Basilica di San Pietro alla sola presenza del clero romano e senza l’apertura della Porta Santa. Nel corso dell’anno non vi furono pellegrinaggi di grande entità, a eccezione di alcuni di fedeli francesi, per altro animati da sentimenti, oltre che religiosi, apertamente antiitaliani. Nei primi giorni del 1876 una speciale proroga per l’acquisizione del Giubileo fu concessa alla neofondata Gioventù cattolica maschile di Bologna.
Alla fine del secolo, la questione romana non era stata risolta e la Santa Sede teneva ferme le richieste avanzate dopo la proclamazione di Roma capitale. Fin dal momento della sua elezione, tuttavia, Leone XIII aveva adottato un atteggiamento di maggiore distensione verso il Regno d’Italia. Riteneva inoltre necessario che la Chiesa cattolica desse un segno visibile di aver mantenuto un ruolo di guida, anche dopo la fine del potere temporale. In questa prospettiva si spiega dunque la fermezza con cui volle la promulgazione del Giubileo e la sua celebrazione “a porte aperte”, nonostante il parere contrario degli ambienti più intransigenti della curia.
Anche lo Stato volle rispondere nello stesso spirito di moderazione e se ne ebbe riprova nelle parole pronunciate da Umberto I in occasione dell’inaugurazione della XV legislatura: «La prossima ricorrenza di un anno che segna un’epoca nel mondo cattolico sarà per noi occasione di dimostrare, ancora una volta, come sappiamo far rispettare gli impegni da noi assunti quando, compiendo la nostra unità, abbiamo affermato in Roma la capitale del Regno». Prova ancora più evidente di questa volontà di pacificazione fu la proibizione di manifestazioni pubbliche in occasione del congresso anticlericale tenuto per commemorare il terzo centenario della morte di Giordano Bruno. Lo stesso Umberto I, insieme alla regina Margherita, volle lucrare l’indulgenza giubilare; per intermediazione del cardinale Respighi, gli fu concesso di assolvere alle pratiche penitenziali con la visita alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo e alla Scala Santa.
L’organizzazione del Giubileo, essendo stata smantellata la maggior parte delle confraternite e delle compagnie religiose tradizionali, fu affidata al Comitato internazionale, sorto alcuni anni prima a Bologna con il fine di promuovere la devozione al Sacro Cuore, che fra le altre iniziative aveva fatto innalzare un monumento al Redentore su venti delle più famose cime delle Alpi e degli Appennini (con pietre delle stesse montagne vennero preparati venti mattoni che furono poi murati nella Porta Santa di San Pietro alla fine dell’Anno Santo). Complessivamente l’Anno Santo fu un successo: anche a detta di osservatori “laici” l’organizzazione fu mirabile, lo svolgimento delle cerimonie ordinato e anche l’affluenza dei pellegrini, provenienti sia dall’Italia sia da molti Paesi esteri, e in particolare dal Sud America, elevata, in particolar modo per eventi “speciali” come la canonizzazione di Giovanni Battista de la Salle e quella di Rita da Cascia.
Molta parte di questo successo è da attribuire al carisma personale del Pontefice e al fervore religioso che la sua figura, apparentemente resa così fragile dall’età e dalla salute malferma, sapeva suscitare. In realtà in molti si erano chiesti se e come il Papa novantenne avrebbe potuto affrontare le fatiche legate alle celebrazioni di quell’Anno Santo. Già per la cerimonia di apertura la preoccupazione era tale che si ritenne opportuno commissionare alle Suore della Carità degli speciali paramenti di seta leggerissima, nella convinzione che il Papa non avrebbe potuto sostenere il peso di quelli usati tradizionalmente. All’apparente debolezza di Leone XIII e alla fiducia che sapeva ispirare nel suo ruolo di pastore di un’umanità stanca e desiderosa di pace immortale, fa riferimento una commossa poesia a lui dedicata da Giovanni Pascoli e intitolata La Porta Santa: «Uomo, che quando fievole/ mormori, il mondo t’ode,/ pallido eroe, custode/ dell’alto atrio di Dio…/ scingi il grembiul tuo bianco,/ mite schiavo di Dio:/ la Porta ancor vaneggi!/ voglion ancor, le greggi/ meste, passar di là…/ Non ci lasciar nell’atrio/ del viver nostro, avanti/ la Porta chiusa, erranti/ con vane parole…».
Le preoccupazioni per la salute del Papa e i timori dei più pessimisti furono però smentiti totalmente. Non solo Leone XIII arrivò alla fine dell’anno (e in realtà sopravvisse per altri tre anni) ma poté partecipare a tutte le cerimonie, fino a quella di chiusura. Personalmente compì la visita giubilare in maniera del tutto particolare, legata alla sua volontaria prigionia in Vaticano: fece un percorso penitenziale all’interno dei palazzi apostolici, fino a raggiungere la Basilica di San Pietro, ove entrò varcando la Porta Santa in ginocchio.
La tolleranza e il rispetto nei quali si era svolto il Giubileo durante i primi sei mesi dell’anno si incrinarono parzialmente dopo la fine di luglio, a causa del clima di forte tensione innescato dal mortale attentato a Umberto I. Il solco fra clericali e anticlericali sembrò farsi ancora più profondo e da un fronte e dall’altro si accentuarono le manifestazioni di intolleranza. Così L’Osservatore Romano fu spinto a commentare in modo assai infelice la disastrosa inondazione del Tevere provocata dal crollo di oltre 200 metri di muraglione del Lungotevere: «Forse la Provvidenza permise tali sciagure per mortificare un poco, proprio nell’Anno Santo, l’arrogante baldanza dei nuovi padroni di Roma». Sull’altro fronte, ebbe un palese carattere di sprezzante provocazione la celebrazione del trentesimo anniversario della presa di Roma, organizzata dalla massoneria romana guidata dal futuro sindaco Ernesto Nathan. Fu tenuto allora un “controgiubileo” con una processione alle quattro “basiliche laiche” (il Pantheon, dov’è la tomba di Vittorio Emanuele II; il Gianicolo, in ricordo di Garibaldi e dei garibaldini morti nella difesa della Repubblica Romana; il Campidoglio, presso il monumento a Cola di Rienzo, simbolo del governo laico cittadino; e infine Porta Pia, luogo della breccia). Nel timore che il significato del corteo non fosse sufficientemente chiaro, Nathan tenne a precisare: «Questi monumenti sono più maestosi di quelli che una turba di gente raccogliticcia visita per ottenere indulgenza».


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