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EDITORIALE
tratto dal n. 09 - 1999

“Il vescovo rosso”



Giulio Andreotti


In quasi tutti i necrologi di monsignor Helder Câmara, morto il 27 agosto, il defunto presule novantenne è stato definito, talvolta con qualche malizia, “il vescovo rosso”. Del resto era così che per decenni veniva chiamato nelle cronache sui suoi appassionati interventi, scritti ed orali. Lo sapeva benissimo e ne dette una emozionante spiegazione ad un gruppo di parlamentari europei in visita a Recife. «Se fossi vescovo di Amsterdam o di Parigi la mia pastorale sarebbe diversa. Ma il Papa mi ha affidato questo territorio, dove i diritti dei poveri vanno rivendicati senza alcun compromesso». E, pur dicendo che non voleva generalizzare una accusa di ingiustizia, fece incontrare gli ospiti con un parroco reduce da una terrificante esperienza. Aveva trovato sulla porta della sua chiesa il cadavere di un giovane che il giorno prima aveva chiesto il suo appoggio per ottenere il pagamento dei salari arretrati, volendo lasciare l’enorme azienda agricola in cui lavorava con un rapporto anomalo: vitto ed alloggio e accredito della mercede in un conto finale di cui nessuno aveva mai osato chiedere la liquidazione. Il malcapitato giovane, di fronte al rifiuto, aveva chiesto l’intervento del sacerdote, accolto malissimo dall’amministratore.
«Non è tutto così» spiegò l’arcivescovo «ma occorre ribellarsi ad una servitù della gleba intollerabile».
Qualche anno dopo – era canonicamente in ritiro – lo invitai a Roma in una riunione di ministri sudamericani sui programmi di cooperazione sanitaria internazionale. Parlò in modo affascinante, concludendo con una preghiera a Dio «che ha creato un mondo e non un primo, un secondo e un terzo mondo». Ricordo la commozione generale.
In altra occasione mi trovai come relatore insieme a lui in un convegno di Mani tese presso La Civiltà Cattolica. Suscitava veramente un brivido con i suoi occhi, ancor prima di parlare, fiammeggianti e severi. Ne conservo un ricordo profondo.
Da qualche tempo non veniva in Europa ed anche i suoi messaggi erano divenuti più rari. Ma nel febbraio scorso, quando compì i novanta anni, non furono pochi quanti vollero attestargli una intatta, devota amicizia.
Aveva scritto un giorno: «Arriva il momento in cui, con molta calma, si deve avere il coraggio e perfino la gioia di preparare lo sbarco finale, cioè l’arrivo alla casa del padre. Dio sa fare le cose in modo molto intelligente, molto delicato. A parte la grazia di una morte santa, la più grande delle grazie è quella di invecchiare bene. Invecchiare bene vuol dire invecchiare all’esterno senza invecchiare all’interno. A poco a poco compaiono i segni dello sbarco, non si ha più la stessa energia, si hanno delle difficoltà... Io credo che sia importante offrire la testimonianza di una morte veramente vissuta come l’inizio della vera vita».
Non mi è mai piaciuto che lo si chiamasse “vescovo rosso”. Molto più pertinente fu il saluto del Papa, l’8 luglio 1980 in Recife: «Caro fratello arcivescovo don Helder Câmara, fratello mio, fratello dei poveri e mio fratello».


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