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TIMOR EST
tratto dal n. 09 - 1999

Monsignor Belo a Roma



di Giulio Andreotti


Quando nel 1996 incontrai il vescovo Ximenes Belo, venuto a Roma dopo aver ricevuto il premio Nobel per la pace, commentai con lui la delusione nel constatare lo scarso interesse dell’opinione pubblica per questo riconoscimento internazionale ad un valorosissimo combattente per la libertà. Forse la lontananza di Timor Est può spiegare questa disattenzione anche in rapporto alle sue stesse dimensioni nell’ambito dell’Indonesia: più o meno un milione su duecento milioni di abitanti. E – pur se non la condivido – posso comprendere la timidezza del mondo cattolico, di fronte ad un sacerdote insignito del Nobel. Non si voleva accentuare la specificazione cristiana in un contesto statale dove la grande maggioranza si ascrive ad altre confessioni religiose.
Monsignor Belo sosteneva allora, a difesa del suo popolo, il diritto ad uno statuto di autonomia entro lo Stato dell’Indonesia. Non mi sembra che facesse mai – almeno a Roma non lo fece – riferimento a illiceità nella annessione dell’isola fatta quando il Portogallo considerò superata la sua sovranità.
Il governo di Giacarta non corrispose alla aspirazione autonomistica di Timor Est. Forse la natura tanto frazionata e multietnica della Repubblica induceva alla intransigente difesa dello status quo, senza consentire spazi alle tante etnie presenti; che anzi si cerca di comprimere con estremo e progressivo rigore.
Tuttavia la causa di Timor Est, specie dopo il Nobel, non era eludibile. E, attraverso approcci di varia intensità si era arrivati a… dare di più, lasciando che la popolazione scegliesse per referendum se rimanere nel contesto dello Stato o spiccare il volo dell’indipendenza.
Ci si domanda come mai questa disponibilità per così dire totale. La spiegazione più plausibile è che vi sia stato un macroscopico errore di previsione. Forse i rappresentanti del potere centrale nei loro rapporti scrivevano quel che pensavano fosse gradito alla capitale; forse non erano idonei a captare l’animo della gente. Sta di fatto che il referendum fu strutturato e deciso dando ai responsabili dell’Onu la convinzione che ci si trovasse di fronte ad una consultazione non soggetta a successive contestazioni. Di qui forse la mancata predisposizione di una presenza non inerme di forze Onu che garantisse il pacifico postelezione. Certamente se gli indipendentisti avessero perduto non vi sarebbero state le stragi che, purtroppo si sono avute, nel quadro di una furiosa reazione esplosa dopo l’espressione così forte di un voto di libertà totale: poco meno dell’ottanta per cento con una percentuale di votanti quasi totale sugli aventi diritto.
L’odierna immediatezza delle informazioni ha fatto sì che non si potesse calpestare in silenzio il responso delle urne. Si è fatto solo conto sui tempi non brevi con cui l’Organizzazione mondiale avrebbe reagito. Gli assassinati sono a migliaia e altissimo è il numero delle famiglie fuggite, che sono ora sottoposte a rastrellamenti – specie tra i giovani patrioti – e alla morsa drammatica dell’addiaccio. Chi ha cercato di interporsi per bloccare questo genocidio, come il vecchio padre gesuita che ha speso una vita al servizio della gente di Timor, è stato brutalmente fatto fuori.
Dum Romae consulitur…
L’Onu ha fatto molta fatica a decidere l’intervento di una forza di pace alla quale anche Giacarta ha dato la sua adesione, dopo che erano stati messi a ferro e fuoco anche gli sparuti nuclei di presenza della stessa Onu e della Croce rossa internazionale.
Non è chiaro prevedere come la normalità potrà effettivamente tornare a Timor Est, con un popolo falciato, deluso e vilipeso.
Sembra che il vescovo Belo fosse in testa alla lista delle persone da far fuori per scoraggiare gli indipendentisti. Non l’ho visto, per questo, né impaurito né desistente. Desidera rientrare al più presto.
Si dovrebbe sperare, ora che l’Indonesia ha aderito all’intervento dell’Onu, che i propositi omicidi siano accantonati. E proprio monsignor Belo avrà un ruolo essenziale nel difficile ristabilimento di condizioni di convivenza, fermando gli impulsi a vendette o, se si vuole, a giustizie private. La solidarietà mondiale che è mancata a Timor nel passato dovrebbe ora esplicarsi in molti modi. Mentre dalla orrenda strage dovrebbero venir fuori impulsi vigorosi per evitare che a situazioni analoghe seguano identici, orrendi sviluppi.


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