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ITALIA
tratto dal n. 09 - 1999

CASI. Il ritorno di Silvia Baraldini

Caso Baraldini: un risultato positivo


È stato premiato l’impegno dei governi e della diplomazia italiana nel perseguire, da molto tempo, l’obiettivo di vedere applicata la Convenzione di Strasburgo del 1983 ratificata dall’Italia nel 1989


di Guido Calvi


Il ritorno di Silvia Baraldini in Italia è certamente un risultato positivo per l’impegno dei governi e della diplomazia italiana nel perseguire, da molto tempo, l’obiettivo di vedere applicata la Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 e ratificata dall’Italia nel luglio del 1989, avente per oggetto l’esecuzione delle sentenze penali e il trasferimento nel Paese d’origine delle persone condannate.
L’arrivo di Silvia Baraldini all’aeroporto di Ciampino il 25 agosto 1999

L’arrivo di Silvia Baraldini all’aeroporto di Ciampino il 25 agosto 1999

Per ben cinque volte il governo statunitense ha respinto la richiesta italiana con argomentazioni di dubbia fondatezza. Oltre a lamentare il rifiuto della Baraldini di collaborare e la sua mancanza di pentimento, si sottolineava con forza il convincimento che, qualora la Baraldini fosse stata rilasciata, a causa dell’eccessivo garantismo del sistema ordinamentale italiano, avrebbe potuto commettere attività criminali contro gli Stati Uniti.
Ferma è stata sempre la risposta dei governi italiani: vanno ricordate le risposte degli allora ministri Giuliano Vassalli e Susanna Agnelli che, respingendo le tesi statunitensi, esprimevano la volontà di continuare a essere impegnati con nuove istanze perché fosse applicata la Convenzione di Strasburgo. Altrettanto fermo fu poi l’impegno del ministro Claudio Martelli che incaricò il dottor Giovanni Falcone, direttore generale degli affari penali, di seguire personalmente la vicenda recandosi più volte negli Stati Uniti.
Accogliendo, poi, una richiesta della difesa italiana di Silvia Baraldini, il governo, in forza degli articoli 23 e 24 della Convenzione, ha formulato ricorso al Comitato europeo per le questioni penali del Consiglio d’Europa, in quanto deputato istituzionalmente a dirimere dispute e interpretazioni errate ed evasive.
L’esito di questo ricorso è stato un passaggio rilevante nell’iter della storia della controversia diplomatica, in quanto il Consiglio europeo ha sostanzialmente dato ragione al governo italiano, invitando gli Stati Uniti a scegliere una soluzione che comunque fosse rispettosa degli impegni derivanti dalla Convenzione.
Il resto è storia recente.
I viaggi negli Stati Uniti del presidente D’Alema e la trattativa condotta dal Ministero di Grazia e Giustizia sono stati momento decisivo per la conclusione di una così lunga e tormentata vicenda.
Silvia Baraldini era stata condannata nel 1983, con sentenza definitiva del 1985, alla pena di 43 anni di detenzione per reati associativi aggravati dal fine di terrorismo. Silvia Baraldini, va detto con chiarezza, non ha mai compiuto atti diretti contro persone o cose.
Nel corso di questi anni ha trascorso la sua detenzione in taluni carceri, tra i quali quello di Lexington, poi chiuso, ove, come ha riconosciuto nel 1990 il Tribunale internazionale sulla violazione dei diritti umani, erano irrogati trattamenti inumani e degradanti.
Tutto ciò ora è terminato, Silvia Baraldini è tornata in Italia dove potrà ricevere la visita della madre e dei suoi familiari.
Si aprono tuttavia delicate questioni giuridiche circa la costituzionalità e la legittimità degli impegni assunti sulla durata e le modalità di detenzione. È opportuno però che tali questioni siano attentamente valutate per gli effetti che potranno avere sul piano politico e diplomatico, e che su di esse vi sia una meditata e prudente riflessione.


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