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EDITORIALE
tratto dal n. 04 - 2007

Letteratura muraria


Agli anonimi autori di scritte contro l’arcivescovo Bagnasco e agli squallidi e presuntuosi custodi di una laicità che nessuno di noi contesta, i doveri di carità cristiana ci impediscono di replicare come verrebbe spontaneo.Forse a qualcuno dispiace che non ci sia più la “questione romana” per motivare dure contrapposizioni alla Chiesa


Giulio Andreotti


L’arcivescovo Angelo Bagnasco scortato da due agenti della Questura di Genova

L’arcivescovo Angelo Bagnasco scortato da due agenti della Questura di Genova

La copertina del mio primo volumetto politico (1945) la consigliò Leo Longanesi. È la riproduzione fotografica di una scritta che a caratteri vistosi campeggiava in un edificio a poca distanza dal Senato: «De Gasperi in sagrestia e Nenni al governo».
In verità non molti mesi prima Nenni aveva ben gradito il rifugio nel Seminario Lateranense; apprezzando che nessuno lo aveva mai obbligato ad assistere alla messa. Ma ora si era in regime di libertà, con una netta demarcazione tra sacro e profano. Era doveroso per i cattolici e il clero cercare di evitare all’Italia le persecuzioni ferocemente attuate nei Paesi dove i comunisti (alleati di Nenni) avevano occupato il potere. Ma il riferimento a questo non era affatto gradito a “don Pietro” (come lo chiamò Mario Missiroli parlandone con Pio XII). Le sfere di competenza tra Dio e Cesare erano definizioni evangeliche; e gli sconfinamenti dovevano essere rimproverati. Che, poi, in Emilia e altrove, si continuasse ben oltre il 25 aprile 1945 nella caccia al prete, gli alleati dei comunisti non gradivano sentirselo dire. Uno strano modo di concepire lo spartiacque tra sacro e profano.
Comunque a spingere a una convergenza tra i democristiani e i democratici di altra estrazione fu proprio il frontismo di Nenni che prevalse sulla linea precedente del: «Marciare divisi per colpire uniti». Gli italiani avvertirono il pericolo, erigendo il 18 aprile 1948 la grande diga della libertà.
Gli anni successivi ebbero caratteristiche varie, in un alternarsi di approcci e di ripulse tra i socialisti definiti nenniani e quelli saragattiani. Fino al massimo della confusione nel luglio 1953, quando Saragat silurò l’ultimo governo di De Gasperi, sospettando, senza alcun fondamento obiettivo, che stesse maturando un’intesa (o almeno una non belligeranza) tra democristiani e socialisti “non democratici”.
Sullo sfondo vi era sempre l’influenza dell’Unione Sovietica, con massicci aiuti finanziari ai partiti esteri collegati e con “premi” agli amici degli amici.
Andando qualche settimana fa al funerale di Boris Eltsin era ovvio che mi tornassero alla mente le lunghe e complesse vicende del nostro rapporto con Mosca; dispiegato sempre con una netta distinzione tra rapporti intergovernativi e relazioni (anche finanziarie) dei partiti tra loro fratelli (o fratellastri come i nenniani).
Il rito funebre nella ricostruita Cattedrale del Santissimo Salvatore è stato ovvio segno dei tempi. Putin e gli altri governanti, che hanno assistito per alcune ore alla complessa liturgia bizantina, non avevano davvero l’atteggiamento di chi deve guardarsi dagli spacciatori di oppio dei popoli. Non c’era traduzione simultanea né hanno distribuito un testo, ma sono sicuro che nel non breve elogio funebre il patriarca abbia avuto per l’estinto espressioni più che riguardose. Per mio conto pensavo al concerto dato alcuni anni fa in Vaticano dalla banda dell’Esercito russo, che cancellò clamorosamente il vecchio spettro dei loro cavalli abbeverati in piazza San Pietro (espressione attribuita a don Bosco).
Nel corso della liturgia esequiale di Mosca mi è venuta alla mente la petulanza di un dirigente socialista nostrano che ogni settimana tuona in televisione contro una pretesa violazione della laicità dello Stato. Da ultimi, delle frecciate sono stati oggetto l’arcivescovo di Genova e lo stesso papa Benedetto XVI per i loro accorati appelli contro l’intiepidimento (o peggio) dei valori familiari.
Lungo la mia ormai non breve esperienza politica posso dire che in una persona ho trovato il religioso più coerentemente intransigente e il politico più attento alla delimitazione dei campi. È il presidente De Gasperi che, non a caso, censurava con tanta severità le deviazioni dalla fedeltà coniugale.
Agli anonimi autori di scritte contro l’arcivescovo Bagnasco e agli squallidi e presuntuosi custodi di una laicità che nessuno di noi contesta, i doveri di carità cristiana ci impediscono di replicare come verrebbe spontaneo.
Forse a qualcuno dispiace che non ci sia più la “questione romana” per motivare dure contrapposizioni alla Chiesa.


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