L’altro motore dell’Unione
I cinquanta anni del Consiglio d’Europa, che riunisce i ministri degli Affari esteri degli Stati membri ed ha anche un’Assemblea parlamentare propria. Si affianca alle altre istituzioni comunitarie di Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo. Fu la prima ad aprirsi ai Paesi dell’Europa dell’Est. Anche oggi ha un ruolo determinante, come spiega l’autore di questo articolo che per molti anni ne è stato ai vertici
di Giuseppe Vedovato
L’idea di un
“Consiglio d’Europa”, avente lo scopo di unire la grande
famiglia delle nazioni europee in una organizzazione comune idonea a
garantire nella libertà una pace definitiva, nacque
dall’opposizione ai tentativi di comporre l’unità sotto
la dominazione nazista. Fin dall’ottobre 1942 Winston Churchill
scriveva in una comunicazione al Gabinetto di guerra: «Per quanto sia
difficile affermarlo in questo momento, ho la ferma convinzione che la
famiglia europea possa agire in stretta unione in seno a un Consiglio
d’Europa. Prevedo e attendo la costituzione degli Stati Uniti
d’Europa». Al Congresso d’Europa, riunitosi all’Aia
dal 7 all’11 maggio 1948, sotto la presidenza onoraria dello stesso
Winston Churchill, promotori e delegati, circa settecentocinquanta
provenienti da quasi tutti i Paesi d’Europa, dichiarano che
l’«ora è venuta per le nazioni d’Europa di
trasferire alcuni dei loro diritti sovrani per esercitarli ormai in
comune», sostengono come iniziative urgenti la «convocazione di
una Assemblea europea», la costituzione di una Commissione incaricata
di intraprendere immediatamente la preparazione di una «Carta dei
diritti dell’uomo», demandando alla futura Assemblea la
proposta della «creazione di una Corte di giustizia atta ad applicare
le sanzioni necessarie per fare rispettare la Carta». E una delle
risoluzioni adottate dal Congresso precisa che l’unione o federazione
dovrà «restare aperta a tutte le nazioni d’Europa rette
a regime democratico, che si impegnano a rispettare una Carta dei diritti
dell’uomo».

L’unificazione doveva iniziare a realizzarsi
appena un anno dopo quando, il 5 maggio 1949, dieci governi (Gran Bretagna,
Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi
Bassi e Svezia) firmano a Palazzo Saint-James a Londra il trattato creativo
della prima istituzione europea: il Consiglio d’Europa, che non tarda
ad elaborare quella che è senza dubbio la sua maggiore opera: la
Commissione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo,
sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950.
Il fine e la missione del Consiglio d’Europa venivano così stabiliti nell’articolo 1 dello Statuto: «Realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri in modo da garantire e promuovere gli ideali e i principi che sono loro patrimonio comune e favorire il loro progresso economico e sociale. Questo obiettivo sarà perseguito per mezzo degli organi del Consiglio attraverso l’esame delle questioni di interesse comune, la conclusione di accordi e l’adozione di un’azione comune nei settori economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo, così come attraverso la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Questo principio statutario ha contrassegnato profondamente le attività del Consiglio d’Europa e dei suoi organi: il Comitato dei ministri e l’Assemblea parlamentare.
Il Comitato dei ministri è costituito dai ministri degli Affari esteri degli Stati membri, sostituiti in loco dai rappresentanti permanenti col rango di ambasciatori. L’Assemblea parlamentare è formata da parlamentari eletti in secondo grado dai rispettivi Parlamenti nazionali e, come questi, scandita da commissioni specializzate.
Accanto al Comitato dei ministri e all’Assemblea parlamentare, il segretario generale, che all’origine ne costituiva il supporto tecnico-amministrativo. I primi due segretari generali sono stati di estrazione diplomatica, ambedue francesi. L’Assemblea nel 1957 decise di “politicizzare” le funzioni del segretario generale, fino ad allora concepito soprattutto come un amministratore, e di eleggere a questa carica un membro dell’Assemblea stessa. Quando, nel maggio di quell’anno, la carica divenne vacante, fu eletto a ricoprirla, per la durata di sei anni – la sua candidatura venne proposta con la stessa grande maggioranza con cui si concluse l’elezione –, un italiano, il democristiano Lodovico Benvenuti, il primo uomo politico e parlamentare che, con competenza, forza e prestigio, assicurò il passaggio da una concezione essenzialmente funzionalistica della carica di segretario generale a una più decisamente politica.
Un organo consultivo del Consiglio d’Europa è rappresentato dal Congresso dei poteri locali e regionali, istituito nel 1994 dal Comitato dei ministri, che comprende la Camera dei poteri locali e la Camera delle regioni, con l’obiettivo principale di garantire la partecipazione dei poteri locali e regionali al processo di unificazione europea. Tra i suoi compiti prioritari figurano la promozione della democrazia locale e regionale e il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera e interregionale nell’Europa allargata.
I tre anni di presidenza dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, dal 1972 al 1975 – forse più ancora che i 18 anni di partecipazione nella delegazione italiana presso tale Assemblea –, e successivamente la presidenza della Commissione affari politici fino all’onorariato della Presidenza dell’Assemblea parlamentare, mi hanno reso possibile apprezzare adeguatamente la qualità del lavoro svolto a Strasburgo. La competenza del Consiglio d’Europa si è rivelata di un’utilità inestimabile, specialmente nel campo culturale, sociale, dell’ambiente, degli enti locali, giuridico (convenzioni e accordi), criminologico e nel campo fondamentale dei diritti dell’uomo. È infatti utile ricordare che la Commissione e la Corte dei diritti dell’uomo, poi Corte unica e permanente, è il solo organismo che ha previsto e applica, grazie a un sistema perfettamente messo a punto, la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, consentendo a qualsiasi cittadino di difendersi dinanzi a un organo giurisdizionale dagli abusi dello Stato al quale appartiene. Si deve al presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il riconoscimento, a decorrere dal 1° agosto 1973, nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, del diritto al ricorso individuale. I casi italiani deferiti alla Corte dall’origine al 31 ottobre 1998 sono stati 296, di cui 101 con constatazione di violazione del diritto, 31 di non violazione, 7 ancora pendenti e 157 diversi.
Sulla scena europea è innegabile che le istituzioni comunitarie di Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo occupino il primo posto, ma nessuno ha interesse, sottovalutando le attività del Consiglio d’Europa, di spaccare l’Europa in due. Il Consiglio ha – e il simbolo conta – la stessa bandiera dell’Unione, blu con dodici stelle. La sua Assemblea parlamentare è intersecata con i Parlamenti di tutti gli Stati membri. Vi è già la base istituzionale per l’allargamento della identità europea; e non è senza un profondo significato, al riguardo, che nel novembre 1994 il Parlamento europeo abbia affermato che, per divenire membro dell’Unione, uno Stato europeo debba essere già membro del Consiglio d’Europa. Vi è già, insomma, ha scritto Andrea Manzella, «l’altra gamba d’Europa che si aggiunge a quella dell’Unione, in una prospettiva confederale».
La mia lunga esperienza di vita europea nella faticosa marcia dei popoli d’Europa verso l’unità, mi fa ritenere che la cosiddetta “debolezza” dello Statuto del Consiglio d’Europa, del suo Comitato dei ministri e della sua Assemblea parlamentare costituisca la loro forza. L’Organizzazione non dispone di un “esecutivo” paragonabile alla Commissione delle Comunità europee; debolezza in parte compensata da un accordo annuale su un programma di lavoro a scadenze più o meno fisse. Né il Comitato dei ministri né l’Assemblea parlamentare dispongono di poteri indipendenti: le decisioni del Comitato non impegnano in linea di massima i governi, e l’Assemblea non ha un potere legislativo. Stante questa situazione, il Consiglio non è divenuto – e del resto nessuno lo auspicava – un’organizzazione per l’integrazione europea: le sue realizzazioni più importanti, tra quelle già ricordate, sono costituite da convenzioni e accordi che formano un utile corpus di regole comuni rispondenti indubbiamente all’obiettivo definito nello Statuto, e cioè alla realizzazione di una “unione più stretta” tra gli Stati membri. Al 1 marzo 1999, l’Italia ha ratificato 110 convenzioni e ne ha firmate 28 su 173.
La maggior parte delle attività del Consiglio sono state proposte dall’Assemblea, la quale – oltre a rappresentare l’innovazione storicamente più importante dell’introduzione di elementi parlamentari nell’amministrazione internazionale – è divenuta il motore non solo del Consiglio, ma anche di una grande parte degli sforzi che, in tutta l’Europa, si sono orientati e hanno contribuito alla realizzazione dell’Unione.
Altre organizzazioni e altre assemblee esercitano mandati precisi e concreti, nel campo economico, come in quello sociale o della difesa. Non è così, invece, per il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea, che hanno compiti più vasti e più elastici e, proprio per questo, sono stati particolarmente capaci di adattarsi a situazioni mutevoli. Nel 1949, anno di istituzione del Consiglio, la cooperazione fra i Paesi europei occidentali costituiva l’obiettivo principale. Nel corso degli anni altri problemi altrettanto importanti si sono posti all’Europa occidentale e il Consiglio d’Europa, grazie alla sua duttilità, ha contribuito a risolverli.
Si pensi alla Convenzione culturale europea e alla tutela delle minoranze; alla Carta sociale europea e al Fondo di sviluppo sociale; al Centro europeo della gioventù; alla lotta contro l’abuso e il traffico di droga e al Gruppo Pompidou; alla interdipendenza e solidarietà mondiale e al Centro Nord-Sud; alla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia); alla lotta contro il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza; alla repressione del terrorismo; alla Convenzione-quadro per la cooperazione transfrontaliera; alla Farmacopea, che assicura la buona qualità delle medicine in Europa; all’Osservatorio audiovisivo europeo; a Eurimages; alla Convenzione europea per la prevenzione della tortura; ai protocolli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tra cui il protocollo n. 6 che abolisce la pena di morte; alla Convenzione contro il doping; alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali; alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina; alla Convenzione penale sulla corruzione. E la lista non è neppure esauriente.
E si pensi, altresì, ai rapporti Est-Ovest. Il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea parlamentare hanno aiutato a superare il fossato tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, e la loro azione si è rivelata altrettanto importante quanto la fondazione di una Europa unita. Dall’Europa, drago dalle cento teste, alla Grande Europa.
Tutto cambiò a Est nel 1989. Il 6 luglio 1989 Michail Gorbaciov dichiarò davanti all’Assemblea parlamentare: «Bisogna ripensare insieme l’idea dell’unità europea, in un processo di collaborazione creativa di tutte le nazioni, grandi, medie e piccole […]. Abbiamo accolto con piacere la decisione dell’Assemblea parlamentare di concedere all’Unione Sovietica lo statuto di “invitato speciale”. Siamo pronti a collaborare. Ma pensiamo di poter andare oltre […]. Noi concepiamo la casa comune europea come una comunità di diritti […]. Gli europei non potranno rispondere alle sfide del secolo venturo se non unendo le forze: ci vuole una sola Europa, pacifica e democratica, che conservi tutta la sua varietà e si conformi ai comuni ideali umanistici».
Il Consiglio, invero, è stato la prima istituzione europea ad aprirsi agli Stati dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, invitandoli a cooperare, creando lo statuto di “invitato speciale” con cui l’Assemblea parlamentare apriva loro la strada verso la futura piena adesione. L’Ungheria, la Cecoslovacchia di allora, la Polonia e la Bulgaria effettivamente aderirono al Consiglio, e furono presto seguite da altri Paesi, compresi la Russia, l’Ucraina e la Georgia (27 aprile 1999). La Serbia ha fatto domanda di adesione, da alcuni anni “sospesa” per la sua politica di violazione dei diritti delle minoranze.
Con la fine della guerra fredda il Consiglio ha acquisito il carattere e il prestigio di una piattaforma politica paneuropea, spostando verso Est e Sud-Est il suo centro di gravità, calamitando verso di sé quei Paesi desiderosi di ancorarsi all’Europa democratica, a cui del resto non avevano mai smesso di guardare con fiducia e speranza. Una svolta per il Consiglio d’Europa, poiché l’ampio ruolo politico assegnatogli dai fondatori appariva fino a quel momento delimitato e caratterizzato da una vaga difesa dei “valori occidentali”, in concomitanza con la progressiva integrazione economica e politica dell’Europa occidentale, la cui fiamma ideale ardeva non a Strasburgo ma a Bruxelles. Il compito di far partecipare i Paesi dell’Europa centrale, orientale e sudorientale al processo di unificazione europea ha dotato il Consiglio d’Europa di un ruolo di primo piano. È il “Consiglio della Grande Europa”, tanto per le sue dimensioni geografiche quanto per i valori comuni che rappresenta.
L’Assemblea parlamentare ha svolto – e svolge tuttora – un ruolo fondamentale, essenziale nel campo politico, come cassa di risonanza dell’opinione pubblica e parlamentare delle democrazie. Essa è intervenuta – e interviene – ogniqualvolta un problema di attualità politica abbia chiesto una discussione d’urgenza, una rapida presa di posizione. Non è stata mai ripiegata su se stessa: troppi problemi, anche se la loro soluzione poteva essere trovata a livello più ampio, hanno bussato alla porta. Vedi i fatti tragici nel Kosovo.
Di qui la prestigiosa collocazione, nei dibattiti di politica generale o specifici, delle più alte rappresentanze dei governi degli Stati membri e di organizzazioni internazionali. Le personalità italiane invitate alla tribuna dell’Assemblea, dal 1949 in poi, sono state molto numerose, a livello di capi di Stato e di governo, di ministri degli Affari esteri e di altri dicasteri. Memorabile il discorso di Alcide De Gasperi – “padre dell’Europa”, insieme a Jean Monnet, Konrad Adenauer e Robert Schuman – dinanzi all’Assemblea il 10 dicembre 1951: «Credo che tutti i Paesi rappresentati siano ormai d’accordo sul principio che si debba arrivare ad una forma d’integrazione europea. Le opinioni differiscono non soltanto sul come arrivarci… Bisogna vivificare le forze nazionali con gli ideali comuni della nostra storia, offrendo come campo d’azione le diverse e grandiose esperienze della civiltà europea comune. Anche se la costruzione non è perfetta, una comune volontà politica sia sempre vigilante per riassumere gli ideali più puri delle nazioni associate e farli brillare alla luce d’un focolare comune».
Una presenza significativa italiana al Consiglio d’Europa è rappresentata anche dalla Bibliothèque Vedovato, dotata di 25mila titoli, tra volumi e periodici, italiani e stranieri, in continuo aggiornamento. Grande raccolta, degnamente collocata nella sede del Consiglio al Palais de l’Europe, che al momento della inaugurazione il senatore Louis Jung, presidente dell’Assemblea parlamentare, definì «una presenza culturale preziosa che fa onore all’Italia e a chi, donandola, ne ha permesso la realizzazione»; ed il rappresentante permanente italiano del Comitato dei ministri: «Una delle finestre attraverso cui molti studiosi ed operatori internazionali e tanti italiani guardano all’Italia nel consultare i volumi della Bibliothèque passando a fianco del busto metallico che ricorda il suo fondatore». «La stessa composizione di detto centro di consultazione», ha testimoniato il cardinale Angelo Sodano in nome di Giovanni Paolo II che inviò una benedizione alla Bibliothèque Vedovato, in occasione della visita, l’8 ottobre 1988 all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, «riflette la molteplicità degli interessi e, nel contempo, la coerenza della dedizione alla nobile causa dell’integrazione dell’Europa da Giuseppe Vedovato profusa come cattolico militante, come studioso e come politico».
Quanto fin qui detto vale, ancor più, per le conferenze intergovernative, per le celebrazioni anniversarie e per i vertici dei capi di Stato e di governo degli Stati membri, solenni occasioni di bilanci, di riflessioni, di proposte.
Il primo vertice, a Vienna nell’ottobre 1993, si concluse con l’adozione di una Dichiarazione che confermava la vocazione paneuropea del Consiglio d’Europa e definiva nuove priorità politiche, in particolare la tutela delle minoranze nazionali e la lotta contro ogni forma di razzismo, di xenofobia e di intolleranza. Al Consiglio veniva affidato un mandato specifico: la “sicurezza democratica”, elemento di un concetto globale della sicurezza europea fondata sulla cooperazione sotto tutti gli aspetti.
Il secondo vertice, a Strasburgo nei giorni 10-11 ottobre 1997, dopo aver constatato che il significativo ampliamento del Consiglio ha posto le basi per un più vasto spazio di sicurezza democratica, ha propugnato il rafforzamento dell’azione del Consiglio in questo periodo di mutazione profonda sul piano sociale e culturale, così come giuridico e istituzionale, tracciando le grandi linee di un piano d’azione per rafforzare la “stabilità democratica” negli Stati membri e definendo, a tal fine, quattro grandi settori nei quali sono possibili dei progressi immediati e dei provvedimenti concreti: democrazia e diritti dell’uomo, coesione sociale, sicurezza dei cittadini, valori democratici e diversità culturale.
L’esperienza recentissima insegna che non si riesce in questi intenti se non si è in grado di dare al concetto di cittadinanza un nuovo contenuto politico e di promuovere la sua accettazione come dato di partenza dell’impegno politico, procedimento opposto alla fissazione, spesso imposta e manipolata, di tale impegno tramite un riferimento dalla matrice esclusivamente nazionale, etnica, religiosa o in qualunque altro modo settaria. Lo Stato continuerà a esistere, ma deve essere uno Stato capace e responsabile verso i bisogni dei cittadini in termini di sicurezza, di servizi comuni, di quadri giuridici, mai piegato al servizio di interessi personali o corporativi.
È questo un imperativo politico presente in tutte le manifestazioni celebrative del 50° anniversario del Consiglio d’Europa: a Strasburgo, a Londra, a Budapest e – aggiungo – a Roma.
In Ungheria – quale primo Paese dell’“altra Europa” a integrarsi nel Consiglio d’Europa – i ministri degli Esteri dei 41 Stati membri hanno riaffermato, con la Dichiarazione di Budapest del 7 maggio, la loro determinazione a «utilizzare pienamente il potenziale del Consiglio d’Europa, in quanto istituzione politica per eccellenza, in grado di riunire, su un piano di eguaglianza e in strutture permanenti, tutti i Paesi della Grande Europa»; si sono impegnati a costruire questa “Grande Europe sans clivages”, consolidandone «la stabilità fondata su istituzioni democratiche», rafforzandone «la coesione politica, giuridica, sociale e culturale», continuando a promuovere «il comune impegno a favore della democrazia e dello Stato di diritto» anche sviluppando i partenariati esistenti; e sempre postulando «la priorità della persona umana nel comune progetto politico».

Il fine e la missione del Consiglio d’Europa venivano così stabiliti nell’articolo 1 dello Statuto: «Realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri in modo da garantire e promuovere gli ideali e i principi che sono loro patrimonio comune e favorire il loro progresso economico e sociale. Questo obiettivo sarà perseguito per mezzo degli organi del Consiglio attraverso l’esame delle questioni di interesse comune, la conclusione di accordi e l’adozione di un’azione comune nei settori economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo, così come attraverso la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Questo principio statutario ha contrassegnato profondamente le attività del Consiglio d’Europa e dei suoi organi: il Comitato dei ministri e l’Assemblea parlamentare.
Il Comitato dei ministri è costituito dai ministri degli Affari esteri degli Stati membri, sostituiti in loco dai rappresentanti permanenti col rango di ambasciatori. L’Assemblea parlamentare è formata da parlamentari eletti in secondo grado dai rispettivi Parlamenti nazionali e, come questi, scandita da commissioni specializzate.
Accanto al Comitato dei ministri e all’Assemblea parlamentare, il segretario generale, che all’origine ne costituiva il supporto tecnico-amministrativo. I primi due segretari generali sono stati di estrazione diplomatica, ambedue francesi. L’Assemblea nel 1957 decise di “politicizzare” le funzioni del segretario generale, fino ad allora concepito soprattutto come un amministratore, e di eleggere a questa carica un membro dell’Assemblea stessa. Quando, nel maggio di quell’anno, la carica divenne vacante, fu eletto a ricoprirla, per la durata di sei anni – la sua candidatura venne proposta con la stessa grande maggioranza con cui si concluse l’elezione –, un italiano, il democristiano Lodovico Benvenuti, il primo uomo politico e parlamentare che, con competenza, forza e prestigio, assicurò il passaggio da una concezione essenzialmente funzionalistica della carica di segretario generale a una più decisamente politica.
Un organo consultivo del Consiglio d’Europa è rappresentato dal Congresso dei poteri locali e regionali, istituito nel 1994 dal Comitato dei ministri, che comprende la Camera dei poteri locali e la Camera delle regioni, con l’obiettivo principale di garantire la partecipazione dei poteri locali e regionali al processo di unificazione europea. Tra i suoi compiti prioritari figurano la promozione della democrazia locale e regionale e il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera e interregionale nell’Europa allargata.
I tre anni di presidenza dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, dal 1972 al 1975 – forse più ancora che i 18 anni di partecipazione nella delegazione italiana presso tale Assemblea –, e successivamente la presidenza della Commissione affari politici fino all’onorariato della Presidenza dell’Assemblea parlamentare, mi hanno reso possibile apprezzare adeguatamente la qualità del lavoro svolto a Strasburgo. La competenza del Consiglio d’Europa si è rivelata di un’utilità inestimabile, specialmente nel campo culturale, sociale, dell’ambiente, degli enti locali, giuridico (convenzioni e accordi), criminologico e nel campo fondamentale dei diritti dell’uomo. È infatti utile ricordare che la Commissione e la Corte dei diritti dell’uomo, poi Corte unica e permanente, è il solo organismo che ha previsto e applica, grazie a un sistema perfettamente messo a punto, la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, consentendo a qualsiasi cittadino di difendersi dinanzi a un organo giurisdizionale dagli abusi dello Stato al quale appartiene. Si deve al presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il riconoscimento, a decorrere dal 1° agosto 1973, nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, del diritto al ricorso individuale. I casi italiani deferiti alla Corte dall’origine al 31 ottobre 1998 sono stati 296, di cui 101 con constatazione di violazione del diritto, 31 di non violazione, 7 ancora pendenti e 157 diversi.
Sulla scena europea è innegabile che le istituzioni comunitarie di Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo occupino il primo posto, ma nessuno ha interesse, sottovalutando le attività del Consiglio d’Europa, di spaccare l’Europa in due. Il Consiglio ha – e il simbolo conta – la stessa bandiera dell’Unione, blu con dodici stelle. La sua Assemblea parlamentare è intersecata con i Parlamenti di tutti gli Stati membri. Vi è già la base istituzionale per l’allargamento della identità europea; e non è senza un profondo significato, al riguardo, che nel novembre 1994 il Parlamento europeo abbia affermato che, per divenire membro dell’Unione, uno Stato europeo debba essere già membro del Consiglio d’Europa. Vi è già, insomma, ha scritto Andrea Manzella, «l’altra gamba d’Europa che si aggiunge a quella dell’Unione, in una prospettiva confederale».
La mia lunga esperienza di vita europea nella faticosa marcia dei popoli d’Europa verso l’unità, mi fa ritenere che la cosiddetta “debolezza” dello Statuto del Consiglio d’Europa, del suo Comitato dei ministri e della sua Assemblea parlamentare costituisca la loro forza. L’Organizzazione non dispone di un “esecutivo” paragonabile alla Commissione delle Comunità europee; debolezza in parte compensata da un accordo annuale su un programma di lavoro a scadenze più o meno fisse. Né il Comitato dei ministri né l’Assemblea parlamentare dispongono di poteri indipendenti: le decisioni del Comitato non impegnano in linea di massima i governi, e l’Assemblea non ha un potere legislativo. Stante questa situazione, il Consiglio non è divenuto – e del resto nessuno lo auspicava – un’organizzazione per l’integrazione europea: le sue realizzazioni più importanti, tra quelle già ricordate, sono costituite da convenzioni e accordi che formano un utile corpus di regole comuni rispondenti indubbiamente all’obiettivo definito nello Statuto, e cioè alla realizzazione di una “unione più stretta” tra gli Stati membri. Al 1 marzo 1999, l’Italia ha ratificato 110 convenzioni e ne ha firmate 28 su 173.
La maggior parte delle attività del Consiglio sono state proposte dall’Assemblea, la quale – oltre a rappresentare l’innovazione storicamente più importante dell’introduzione di elementi parlamentari nell’amministrazione internazionale – è divenuta il motore non solo del Consiglio, ma anche di una grande parte degli sforzi che, in tutta l’Europa, si sono orientati e hanno contribuito alla realizzazione dell’Unione.
Altre organizzazioni e altre assemblee esercitano mandati precisi e concreti, nel campo economico, come in quello sociale o della difesa. Non è così, invece, per il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea, che hanno compiti più vasti e più elastici e, proprio per questo, sono stati particolarmente capaci di adattarsi a situazioni mutevoli. Nel 1949, anno di istituzione del Consiglio, la cooperazione fra i Paesi europei occidentali costituiva l’obiettivo principale. Nel corso degli anni altri problemi altrettanto importanti si sono posti all’Europa occidentale e il Consiglio d’Europa, grazie alla sua duttilità, ha contribuito a risolverli.
Si pensi alla Convenzione culturale europea e alla tutela delle minoranze; alla Carta sociale europea e al Fondo di sviluppo sociale; al Centro europeo della gioventù; alla lotta contro l’abuso e il traffico di droga e al Gruppo Pompidou; alla interdipendenza e solidarietà mondiale e al Centro Nord-Sud; alla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia); alla lotta contro il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza; alla repressione del terrorismo; alla Convenzione-quadro per la cooperazione transfrontaliera; alla Farmacopea, che assicura la buona qualità delle medicine in Europa; all’Osservatorio audiovisivo europeo; a Eurimages; alla Convenzione europea per la prevenzione della tortura; ai protocolli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tra cui il protocollo n. 6 che abolisce la pena di morte; alla Convenzione contro il doping; alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali; alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina; alla Convenzione penale sulla corruzione. E la lista non è neppure esauriente.
E si pensi, altresì, ai rapporti Est-Ovest. Il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea parlamentare hanno aiutato a superare il fossato tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, e la loro azione si è rivelata altrettanto importante quanto la fondazione di una Europa unita. Dall’Europa, drago dalle cento teste, alla Grande Europa.
Tutto cambiò a Est nel 1989. Il 6 luglio 1989 Michail Gorbaciov dichiarò davanti all’Assemblea parlamentare: «Bisogna ripensare insieme l’idea dell’unità europea, in un processo di collaborazione creativa di tutte le nazioni, grandi, medie e piccole […]. Abbiamo accolto con piacere la decisione dell’Assemblea parlamentare di concedere all’Unione Sovietica lo statuto di “invitato speciale”. Siamo pronti a collaborare. Ma pensiamo di poter andare oltre […]. Noi concepiamo la casa comune europea come una comunità di diritti […]. Gli europei non potranno rispondere alle sfide del secolo venturo se non unendo le forze: ci vuole una sola Europa, pacifica e democratica, che conservi tutta la sua varietà e si conformi ai comuni ideali umanistici».
Il Consiglio, invero, è stato la prima istituzione europea ad aprirsi agli Stati dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, invitandoli a cooperare, creando lo statuto di “invitato speciale” con cui l’Assemblea parlamentare apriva loro la strada verso la futura piena adesione. L’Ungheria, la Cecoslovacchia di allora, la Polonia e la Bulgaria effettivamente aderirono al Consiglio, e furono presto seguite da altri Paesi, compresi la Russia, l’Ucraina e la Georgia (27 aprile 1999). La Serbia ha fatto domanda di adesione, da alcuni anni “sospesa” per la sua politica di violazione dei diritti delle minoranze.
Con la fine della guerra fredda il Consiglio ha acquisito il carattere e il prestigio di una piattaforma politica paneuropea, spostando verso Est e Sud-Est il suo centro di gravità, calamitando verso di sé quei Paesi desiderosi di ancorarsi all’Europa democratica, a cui del resto non avevano mai smesso di guardare con fiducia e speranza. Una svolta per il Consiglio d’Europa, poiché l’ampio ruolo politico assegnatogli dai fondatori appariva fino a quel momento delimitato e caratterizzato da una vaga difesa dei “valori occidentali”, in concomitanza con la progressiva integrazione economica e politica dell’Europa occidentale, la cui fiamma ideale ardeva non a Strasburgo ma a Bruxelles. Il compito di far partecipare i Paesi dell’Europa centrale, orientale e sudorientale al processo di unificazione europea ha dotato il Consiglio d’Europa di un ruolo di primo piano. È il “Consiglio della Grande Europa”, tanto per le sue dimensioni geografiche quanto per i valori comuni che rappresenta.
L’Assemblea parlamentare ha svolto – e svolge tuttora – un ruolo fondamentale, essenziale nel campo politico, come cassa di risonanza dell’opinione pubblica e parlamentare delle democrazie. Essa è intervenuta – e interviene – ogniqualvolta un problema di attualità politica abbia chiesto una discussione d’urgenza, una rapida presa di posizione. Non è stata mai ripiegata su se stessa: troppi problemi, anche se la loro soluzione poteva essere trovata a livello più ampio, hanno bussato alla porta. Vedi i fatti tragici nel Kosovo.
Di qui la prestigiosa collocazione, nei dibattiti di politica generale o specifici, delle più alte rappresentanze dei governi degli Stati membri e di organizzazioni internazionali. Le personalità italiane invitate alla tribuna dell’Assemblea, dal 1949 in poi, sono state molto numerose, a livello di capi di Stato e di governo, di ministri degli Affari esteri e di altri dicasteri. Memorabile il discorso di Alcide De Gasperi – “padre dell’Europa”, insieme a Jean Monnet, Konrad Adenauer e Robert Schuman – dinanzi all’Assemblea il 10 dicembre 1951: «Credo che tutti i Paesi rappresentati siano ormai d’accordo sul principio che si debba arrivare ad una forma d’integrazione europea. Le opinioni differiscono non soltanto sul come arrivarci… Bisogna vivificare le forze nazionali con gli ideali comuni della nostra storia, offrendo come campo d’azione le diverse e grandiose esperienze della civiltà europea comune. Anche se la costruzione non è perfetta, una comune volontà politica sia sempre vigilante per riassumere gli ideali più puri delle nazioni associate e farli brillare alla luce d’un focolare comune».
Una presenza significativa italiana al Consiglio d’Europa è rappresentata anche dalla Bibliothèque Vedovato, dotata di 25mila titoli, tra volumi e periodici, italiani e stranieri, in continuo aggiornamento. Grande raccolta, degnamente collocata nella sede del Consiglio al Palais de l’Europe, che al momento della inaugurazione il senatore Louis Jung, presidente dell’Assemblea parlamentare, definì «una presenza culturale preziosa che fa onore all’Italia e a chi, donandola, ne ha permesso la realizzazione»; ed il rappresentante permanente italiano del Comitato dei ministri: «Una delle finestre attraverso cui molti studiosi ed operatori internazionali e tanti italiani guardano all’Italia nel consultare i volumi della Bibliothèque passando a fianco del busto metallico che ricorda il suo fondatore». «La stessa composizione di detto centro di consultazione», ha testimoniato il cardinale Angelo Sodano in nome di Giovanni Paolo II che inviò una benedizione alla Bibliothèque Vedovato, in occasione della visita, l’8 ottobre 1988 all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, «riflette la molteplicità degli interessi e, nel contempo, la coerenza della dedizione alla nobile causa dell’integrazione dell’Europa da Giuseppe Vedovato profusa come cattolico militante, come studioso e come politico».
Quanto fin qui detto vale, ancor più, per le conferenze intergovernative, per le celebrazioni anniversarie e per i vertici dei capi di Stato e di governo degli Stati membri, solenni occasioni di bilanci, di riflessioni, di proposte.
Il primo vertice, a Vienna nell’ottobre 1993, si concluse con l’adozione di una Dichiarazione che confermava la vocazione paneuropea del Consiglio d’Europa e definiva nuove priorità politiche, in particolare la tutela delle minoranze nazionali e la lotta contro ogni forma di razzismo, di xenofobia e di intolleranza. Al Consiglio veniva affidato un mandato specifico: la “sicurezza democratica”, elemento di un concetto globale della sicurezza europea fondata sulla cooperazione sotto tutti gli aspetti.
Il secondo vertice, a Strasburgo nei giorni 10-11 ottobre 1997, dopo aver constatato che il significativo ampliamento del Consiglio ha posto le basi per un più vasto spazio di sicurezza democratica, ha propugnato il rafforzamento dell’azione del Consiglio in questo periodo di mutazione profonda sul piano sociale e culturale, così come giuridico e istituzionale, tracciando le grandi linee di un piano d’azione per rafforzare la “stabilità democratica” negli Stati membri e definendo, a tal fine, quattro grandi settori nei quali sono possibili dei progressi immediati e dei provvedimenti concreti: democrazia e diritti dell’uomo, coesione sociale, sicurezza dei cittadini, valori democratici e diversità culturale.
L’esperienza recentissima insegna che non si riesce in questi intenti se non si è in grado di dare al concetto di cittadinanza un nuovo contenuto politico e di promuovere la sua accettazione come dato di partenza dell’impegno politico, procedimento opposto alla fissazione, spesso imposta e manipolata, di tale impegno tramite un riferimento dalla matrice esclusivamente nazionale, etnica, religiosa o in qualunque altro modo settaria. Lo Stato continuerà a esistere, ma deve essere uno Stato capace e responsabile verso i bisogni dei cittadini in termini di sicurezza, di servizi comuni, di quadri giuridici, mai piegato al servizio di interessi personali o corporativi.
È questo un imperativo politico presente in tutte le manifestazioni celebrative del 50° anniversario del Consiglio d’Europa: a Strasburgo, a Londra, a Budapest e – aggiungo – a Roma.
In Ungheria – quale primo Paese dell’“altra Europa” a integrarsi nel Consiglio d’Europa – i ministri degli Esteri dei 41 Stati membri hanno riaffermato, con la Dichiarazione di Budapest del 7 maggio, la loro determinazione a «utilizzare pienamente il potenziale del Consiglio d’Europa, in quanto istituzione politica per eccellenza, in grado di riunire, su un piano di eguaglianza e in strutture permanenti, tutti i Paesi della Grande Europa»; si sono impegnati a costruire questa “Grande Europe sans clivages”, consolidandone «la stabilità fondata su istituzioni democratiche», rafforzandone «la coesione politica, giuridica, sociale e culturale», continuando a promuovere «il comune impegno a favore della democrazia e dello Stato di diritto» anche sviluppando i partenariati esistenti; e sempre postulando «la priorità della persona umana nel comune progetto politico».