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STATI UNITI
tratto dal n. 02 - 2000

USA: il lavoro prossimo venturo


Uno studio dell’Ufficio statistico del Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti anticipa come sarà la popolazione occupata nel 2006. È un panorama complessivo dell’evoluzione del mercato del lavoro e offre spunti di riflessione per tutti i Paesi industrializzati


di Maria Elena Andreotti


Nel 2006 la popolazione attiva degli Stati Uniti sarà composta per oltre il 50% da ultraquarantenni, per il 47,4% da donne e, per la prima volta, ci saranno più lavoratori d’origine ispanica di quelli di colore, mentre, nella metà dei casi, il più forte incremento di posti si avrà nell’ambito dei servizi sanitari: è quanto afferma l’Ufficio statistico del Dipartimento del lavoro (il Bureau of Labor Statistics, Bls).
Da circa quarant’anni, il Bls elabora, con ritmo biennale, proiezioni decennali sulla consistenza e composizione della popolazione attiva, la situazione economica, la produzione industriale e il livello d’occupazione1. Si ottiene così un panorama complessivo dell’evoluzione del mercato, prezioso per i responsabili delle politiche dell’istruzione e della formazione professionale2.
Oltre a soddisfare la curiosità sul futuro della superpotenza nel secolo XXI, lo studio del Bls offre spunti di riflessione anche per gli altri Paesi industrializzati, dato che, secondo un luogo comune spesso confermato dai fatti, le tendenze americane si riflettono di qua dell’Atlantico entro pochi anni. Occorre, però, tenere sempre in considerazione quanto siano diverse dalla nostra realtà la struttura e la dinamica del mercato del lavoro americano.

Una fotografia di Lewis W. Hine (1874-1940)

Una fotografia di Lewis W. Hine (1874-1940)

La popolazione attiva
Fra 1996 e il 2006, la popolazione attiva americana (l’insieme delle persone sopra i 16 anni che sono impiegate o alla ricerca d’impiego) aumenterà con un ritmo inferiore a quello del periodo 1986-1996, dell’11% invece del 14%. La crescita rallenta perché è rallentata quella della popolazione generale, dal 16% del 1976-1986 all’11% del 1986-1996, alla proiezione del 10% per il 1996-2006, con un conseguente invecchiamento della società.
L’incremento percentuale della popolazione attiva supera, in ogni caso, quello della popolazione adulta (tutte le persone sopra i 16 anni), perché quelli che lavorano o cercano lavoro sono una parte sempre più ampia della cittadinanza. La maggior parte degli occupati di oggi continuerà a lavorare nel 2006 (circa 110 milioni); dei 40 milioni di nuove leve, 15 rappresenteranno la crescita netta della popolazione attiva, mentre 25 andranno a prendere il posto dei neopensionati.
La struttura demografica è altrettanto, se non più, importante della consistenza di una popolazione e il Bls elabora 136 proiezioni dettagliate, riguardanti le fasce d’età, i sessi e i gruppi razziali.

L’età
Come già accennato, l’età media della popolazione attiva si sta alzando, a mano a mano che invecchia la generazione del “baby boom” e, nel 2006, gli “over 40” saranno la maggioranza assoluta dei lavoratori, con i più anziani (55-64 anni) che cresceranno, addirittura, del 48%. Il calo più notevole si verificherà, invece, nella fascia fra i 25 e i 34 anni, mentre il leggero trend negativo fra i più giovani può essere in parte spiegato, oltre che dal perdurare del basso tasso di natalità, da una crescente diffusione dell’istruzione universitaria e postuniversitaria e della formazione professionale specializzata.

Il sesso
All’inizio del XXI secolo, gli uomini rappresenteranno ancora la maggioranza della popolazione attiva, ma le donne continueranno a erodere i loro spazi, raggiungendo il 47%, con un incremento del 14% contro il 9% maschile. Questi cambiamenti riflettono il rapido aumento, nell’arco di trent’anni, del numero delle donne che scelgono il lavoro extracasalingo, oltre il 10% in più sul totale della popolazione femminile. Nello stesso periodo, fra il 1976 e il 2006, la percentuale degli uomini “attivi” cala, sia pure con un ritmo più lento (-4%).

Le origini razziali ed etniche
In una società multirazziale come quella americana, l’analisi della distribuzione dei vari gruppi etnici3 nella forza del lavoro assume una fondamentale importanza, ed offre spunti per riflessioni che vanno oltre lo specifico ambito del rapporto del Bls.
Gli ispanici sono il gruppo che aumenta di più (oltre 24 milioni su 40 milioni di nuove leve fra il 1996 e il 2006), e più velocemente, con un tasso d’incremento che è oltre il triplo di quello della popolazione attiva in generale. Di conseguenza, nel 2006, per la prima volta nella storia, i lavoratori ispanici saranno più numerosi di quelli neri. L’immigrazione, che fornirà il 40% della nuova manodopera con 820mila lavoratori che entreranno ogni anno negli Stati Uniti, è la causa principale di questo “sorpasso”.
Il mondo del lavoro resta, in ogni caso, “bianco”; anche se in costante diminuzione; la percentuale dei “caucasici”4 rappresenterà, nel 2006, ancora quasi i tre quarti della popolazione attiva con una crescita, in termini assoluti, pressoché pari a quella di tutti gli altri gruppi messi insieme.

Una fotografia di Margaret Bourke-White (1904-1971)

Una fotografia di Margaret Bourke-White (1904-1971)

La situazione economica
Le proiezioni sulla popolazione attiva sono un dato fondamentale per delineare il futuro della situazione economica. A loro volta, le proiezioni economiche servono per calcolare la domanda di beni e servizi.
Nel decennio 1996-2006, la minore crescita della popolazione attiva rallenta anche quella del prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe avere un incremento annuo medio del 2,1% rispetto al 2,3 del periodo precedente. Di contro, aumenta la produttività: il Pil per unità lavorativa5 cresce dell’1,1%, mentre nel 1986-1996 si era fermato allo 0,9. La maniera migliore per ottenere un’alta produttività è investire in macchinari e strumentazioni avanzate, che riescono a far crescere la produzione a un ritmo maggiore della manodopera.
Se si guarda alla composizione del Pil, ci si accorge che i consumi individuali restano, di gran lunga, la voce principale e, com’è già accaduto negli ultimi vent’anni, rappresenteranno ancora circa i due terzi di tutta l’attività economica. Il cittadino americano sta, però, cambiando le proprie abitudini e, anche se la maggiore parte delle sue spese va nei servizi (utenze, assistenza sanitaria, ecc.), preferisce sempre più acquistare beni durevoli, rispetto a quelli d’immediato consumo. I computer la fanno da padroni, anche se l’incremento di questa voce di spesa diminuisce dal 40 al 27%6. In termini reali, questo significa che gli americani hanno speso per i computer 61 miliardi di dollari nel 1996 e ne spenderanno 666 nel 20067. Le spese per i computer crescono, d’altronde, in tutti i settori dell’economia, sia nell’industria privata, sia nella pubblica amministrazione.
Esportazioni ed importazioni, che rappresentano il 20% del Pil del 2006, sono la parte che registra la crescita più rapida, sostenuta dallo sviluppo economico di tanti Paesi e la conseguente apertura di nuovi mercati; le esportazioni crescono tre volte e mezzo e le importazioni tre volte più del Pil. Anche gli investimenti crescono più della media, soprattutto quelli privati, che dal 13,8% del Pil nel 1976 sono saliti al 14,8% nel 1986 e al 15,3% nel 1996 fino a raggiungere il 17,2 nel 2006.
Sono invece in declino, in termini reali, le spese pubbliche, che hanno un incremento annuo del 2,3% rispetto al 2,7 del 1986-1996, con tagli soprattutto a livello federale.

La produzione industriale e l’offerta di lavoro
Fra il 1996 e il 2006, i posti di lavoro cresceranno di 18,5 milioni, da 132,4 a 150,9 milioni, con un incremento annuo leggermente inferiore al decennio precedente (1,3% invece dell’1,7%); la grande maggioranza (17,4 milioni) riguarda il lavoro dipendente, da 123,3 milioni a 140,7 milioni.
Tutti i nuovi posti di lavoro saranno creati dalla produzione di servizi, che comprendono: trasporti, comunicazioni ed utenze, commercio all’ingrosso e al dettaglio, finanza, assicurazioni e compravendite immobiliari, fornitura di servizi vari (compresi quelli agricoli e domestici), amministrazione pubblica. La produzione del settore salirà dai 6.900 miliardi di dollari del 1996 a 9.200 nel 2006. Nello stesso periodo la produzione di beni (agricoltura, pesca e silvicoltura, costruzioni, manifatture) cresce da 3.300 miliardi di dollari nel 1996 a 4.200 nel 2006.
In particolare, il 59% dei nuovi posti nei servizi, e il 39% di quelli di tutto il lavoro dipendente, si concentreranno nei servizi per le imprese e nell’assistenza sanitaria.
Nel primo settore, la crescita maggiore si riscontra nella fornitura di personale (1,4 milioni di nuovi posti), e nei servizi di computer ed elaborazione dati. In ambito sanitario, un forte sviluppo degli studi medici e degli stabilimenti per il “benessere” supplisce largamente a una relativa crisi delle cliniche e degli ospedali.
Nel commercio, il diffondersi dei sistemi computerizzati per gli ordini e la gestione dei magazzini comporta pesanti ristrutturazioni, con un rapporto di tre a uno fra crescita della produzione e crescita dell’occupazione. Sia produzione sia occupazione calano, poi, nei locali per la ristorazione, a causa del diffondersi dei negozi (rosticcerie, supermercati, ecc.) che vendono pasti pronti da asporto e un progressivo ridimensionamento dei “fast food” a mano a mano che la società invecchia.
Nel settore della produzione dei beni, assisteremo a una perdita netta di posti (circa 243mila), che andrà a sommarsi a quella di 284mila nel decennio precedente. Solo l’edilizia è in controtendenza e mezzo milione di nuovi posti saranno creati, soprattutto grazie agli investimenti pubblici nella costruzione e manutenzione di strade e edifici.
L’industria manifatturiera continuerà a dominare il settore, ma, come nel decennio 1986-1996, al forte aumento della produzione (in media il 2,4% annuo) farà riscontro un notevole calo dei posti di lavoro: nel giro di vent’anni la riduzione supererà le 850mila unità.
La produzione di beni durevoli crescerà del 3% annuo, con un forte incremento della produttività per l’ulteriore diffondersi dell’automazione, con la conseguente perdita di 252mila posti. Le vendite di computer ed altre apparecchiature per l’ufficio sono alla base di quest’incremento molto superiore al tasso medio di crescita economica.
Rallenta molto, invece, la produzione di beni deperibili, con una crescita dell’1,8%, con una perdita di 98mila posti, circa due terzi più del decennio precedente. Le uniche industrie che crescono sopra la media sono quelle dei prodotti di plastica (oggetti d’uso quotidiano, pellicole, fogli da imballo, ecc.) e dei contenitori di cartone.

L’occupazione
L’analisi dettagliata dell’offerta di lavoro nei vari settori industriali permette di predire quanti e quali sbocchi si apriranno per ogni categoria professionale. Fra i quasi 151 milioni di lavoratori del 2006, gli impiegati di concetto resteranno la categoria più numerosa, i contadini e pescatori la più esigua.
Dal 1996, l’occupazione crescerà di 18,6 milioni d’unità, con ritmo rallentato rispetto al decennio precedente, nel quale era stato di 21 milioni (il 14% contro il 19%). L’artigianato è l’unica categoria in controtendenza, con un incremento percentuale del 7% contro il 4%.
Nel frattempo, cambierà la struttura della manodopera, con la rapida espansione di alcune professioni e il declino di altre. Cresceranno soprattutto, sia in termini reali sia in percentuale, i professionisti, seguiti, percentualmente, dai tecnici specializzati e, numericamente, dagli operatori non qualificati nel settore dei servizi. È interessante notare che i due tipi di lavoro che sono agli estremi opposti, per titolo di studio e per reddito, forniranno la metà dei nuovi posti. Solo altre due categorie avranno un’espansione superiore alla media: amministrazione e management, marketing e vendite. Le occupazioni legate all’agricoltura, silvicoltura e pesca, per le quali il numero degli occupati resta pressoché invariato, reggono il fanalino di coda.
Fra le dieci categorie in maggiore crescita, ben sei sono legate ai servizi sanitari, un settore che, per il 2006, crescerà due volte la media dello sviluppo economico e disporrà di tre milioni di posti di lavoro. Programmatori, analisti di sistema e tecnici per la manutenzione sono la maggioranza della manodopera (che si raddoppierà raggiungendo i 2,5 milioni) impiegata nel settore dei servizi computerizzati. Se si guarda alla crescita in termini reali, quattro di queste categorie assicurano un reddito superiore a quello medio.
In tutte le professioni, anche quelle in maggiore sviluppo, i posti che si renderanno disponibili a causa di pensionamenti, trasferimenti e abbandoni vari saranno più numerosi di quelli creati ex novo; l’unica eccezione è rappresentata dai professionisti.

Istruzione e formazione professionale
All’inizio del XXI secolo la maggioranza dei lavori non richiede ancora un’istruzione o una formazione specializzate. Per la grande maggioranza delle occupazioni (circa 102 milioni di posti nel 2006), basterà l’addestramento sul lavoro, anche se vi è una diminuzione percentuale dal 68,9% del 1996 al 67,7% del 2006. Si tratta dei lavori con il reddito più basso, fra i 337 dollari settimanali, per le attività che si apprendono in poche settimane, e i 534, per quelle che richiedono una precedente esperienza o un lungo periodo di formazione.
Le professioni per le quali servono la laurea o una formazione postsecondaria (35,2 milioni di posti nel 2006) sono in forte espansione dal 21,8% del 1996 al 23,3%. La maggioranza di questi posti richiederà solo un titolo universitario, ma per oltre quattro milioni sarà necessaria una specializzazione postuniversitaria. Logicamente si tratta delle attività più redditizie, con entrate medie fra i 682 e i 1.057 dollari la settimana
Va, in ogni caso, sottolineato che, benché l’economia avanzata e complessa richieda una manodopera sempre più istruita e specializzata, ci vorranno ancora molti anni prima di vedere un vero cambiamento strutturale, che richiede tempi molto lunghi, con un significativo innalzamento generalizzato del livello d’istruzione.


NOTE
1 Un rapporto completo sulle proiezioni è pubblicato in: Employment Outlook, 1996-2006, Washington D.C. 1998.
2 Le proiezioni sono, fra l’altro, la base per la compilazione di una guida per l’orientamento professionale (il Manuale sulle Prospettive del Lavoro), che analizza le prospettive d’impiego per 250 categorie professionali.
3 Secondo la classificazione ufficiale, la popolazione è suddivisa nei seguenti gruppi razziali/etnici: bianchi non ispanici, neri non ispanici, asiatici ed altri (originari delle isole del Pacifico, indiani americani e indigeni dell’Alaska), ispanici (i latinoamericani, qualunque sia la loro razza). Va notato che “bianchi” sta diventando una categoria residuale, che copre quella parte della popolazione americana che non rientra nelle altre classificazioni razziali o etniche.
4 “Caucasica” è un termine coniato alla fine dell’Ottocento per indicare la razza bianca, che si riteneva originaria della regione al confine fra l’Europa sudorientale e l’Asia sudoccidentale ed è oggi usato negli Stati Uniti, in modo vago e scientificamente indeterminato, per designare i bianchi d’origine europea.
5 La più comune forma per misurare la produttività è proprio calcolare quale percentuale del Pil sia prodotta da ogni lavoratore.
6 Bisogna tenere conto che fra il 1986-1996 l’esplosione del mercato è stata causata dall’acquisto di un primo computer da parte della maggioranza dei nuclei familiari americani, un po’ come il boom degli elettrodomestici nell’Italia dei primi anni Sessanta.
7 I dollari sono calcolati al valore del 1992.


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