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GIOVANNA D’ARCO
tratto dal n. 02 - 2000

Il segreto di Jeannette


Due film hanno riproposto la vita di Giovanna d’Arco. Forse aveva colto nel segno George Bernanos, quando suggeriva che solo lo sguardo dei bambini, come quello che aveva Charles Péguy, poteva comprendere la vicenda della Pulzella di Orléans


di Gianni Valente


«Da quando il caro Péguy se n’è andato verso la sua fine – uno, due – sbattendo la suola delle sue grandi scarpe sulla strada – uno, due – con il fazzoletto a quadri sulla nuca – uno, due – nel polverone estivo… vorremmo che Giovanna d’Arco appartenesse soltanto ai bambini». Aveva colto nel segno George Bernanos, quando suggeriva che solo lo sguardo dei bambini, come quello che aveva il poeta di Orléans, Charles Péguy, appare connaturale alla vicenda della «piccola eroina che un giorno passò con disinvoltura dal rogo dell’Inquisizione in paradiso, sotto il naso di cinquanta teologi».
Gli intellettuali – scrittori, storici, chierici, politici – che si sono appassionati alle gesta della Pulzella d’Orléans hanno raramente conservato questa apertura di sguardo. Si è finito quasi sempre per trasformare Giovanna in un totem, un simbolo (del nazionalismo francese, del femminismo, dell’idealismo testardo, dell’integralismo cattolico, della libertà di coscienza).
Eppure esiste, ed è facilmente consultabile da chiunque anche oggi, una preziosa e rigorosa documentazione che tratteggia fin nei particolari la reale vicenda storica della ragazzina analfabeta condannata al rogo da un tribunale ecclesiastico nel 1431, e canonizzata da Benedetto XV nel 1920. Si tratta degli atti di due processi, quello di condanna, e soprattutto quello di riabilitazione che l’Inquisizione aprì nel 1456, venticinque anni dopo il supplizio di Giovanna, per volere di re Carlo VII di Francia. Questi verbali hanno anche fornito la materia prima per il processo di canonizzazione. Scorrere quelle pagine piene di testimonianze dirette di coloro che conobbero Giovanna, le varie fasi della vita di Giovanna, è un’occasione unica per intuirne il segreto.

Milla Jovovich, protagonista del film diretto da Luc Besson

Milla Jovovich, protagonista del film diretto da Luc Besson

Una come le altre
Di straordinario la piccola Jeannette, che nasce il 6 gennaio 1412 a Domrémy, sperduto borgo della Lorena ai confini con l’Impero germanico, ha solo la sua normalità. Nelle loro testimonianze gli abitanti di Domrémy, che l’hanno vista crescere, ripetono fino alla monotonia che Giovanna era una come le altre. La sua amica Hauviette, che Charles Péguy sceglierà come coprotagonista del suo Mistero della carità di Giovanna d’Arco, ricorda che «si occupava, come fanno le altre ragazze, dei lavori di casa, filava e qualche volta – l’ho vista io – andava a custodire il gregge di suo padre». E anche uno dei suoi padrini di battesimo, il contadino Jean Moreau, per raccontare di Giovanna non trova di meglio che riferire delle sue ordinarie, banali occupazioni quotidiane: «I suoi genitori non erano molto ricchi ed ella, fino al momento in cui lasciò la casa di suo padre, andava all’aratro e a volte governava gli animali nei campi. E faceva tutti i lavori femminili, e filava e via di seguito». I gesti semplici della fede cristiana sono allo stesso tempo parte e nutrimento di questa trama quotidiana che accomuna Jeannette ai suoi compaesani. Come tutte le altre bambine, Jeannette impara le preghiere sulle ginocchia di sua madre. Dirà più tardi ai teologi suoi aguzzini, che con domande difficili cercano di confonderla: «Mia madre mi ha insegnato il Pater Noster, l’Ave Maria, il Credo. Nessun altro, all’infuori di mia madre, mi ha insegnato la mia fede».
Se c’è un tratto speciale che si può indovinare, nella vita di Jeannette, esso è rivelato dall’altra parola che ritorna insistente nelle testimonianze di chi le ha vissuto vicino: l’avverbio volentieri, che il cancelliere, nei suoi verbali, trascrive nel latino libenter. Tutto quello che Giovanna faceva, i suoi paesani ricordano che lo faceva volentieri. Volentieri filava, volentieri cuciva, volentieri faceva gli altri lavori di casa. E, soprattutto, volentieri si recava in chiesa, quando suonavano le campane, per trovare il conforto della confessione e dell’Eucarestia. Commenta Régine Pernoud, la grande medievista francese scomparsa nel ’98, che ha dedicato una ventina di volumi alla santa d’Orléans: «Con questa parola tanto semplice, libenter, quella povera gente ci ha forse messo nelle mani i lineamenti più preziosi di Giovanna». Una certa gaiezza lieve, il riverbero quotidiano dei doni della vita cristiana, che farà testimoniare a Jacques Esbahy, un illustre borghese di Orléans: «Stando insieme a lei si provava grande gioia».

Un popolo lieto
Tempi difficili, quelli, nelle cronache mondane ed ecclesiali. Si è da poco concluso lo scisma d’Occidente ma il papato permane in condizioni pessime. Anche la Francia, figlia prediletta della Chiesa, vive decenni terribili, con la nobiltà divisa in fazioni, una reggenza incerta e buona parte del territorio sotto il piede straniero, il dominio inglese. Ma dentro questo frangente storico così lacerato, tra saccheggi, lutti e carestie, i racconti dei paesani di Domrémy lasciano intravvedere quella trama ordinaria di conforto e di letizia, il miracolo quotidiano di quello che Péguy definiva «un popolo lieto». Un popolo che nelle alterne vicende di ogni giorno è confortato e guidato dal suono familiare della campana che chiama dai campi per la compieta, mentre i vertici ecclesiastici, divisi in bande, si affannano in ricatti e progetti di potere.
È questo ordito quotidiano il tesoro che Giovanna terrà sempre come la cosa più cara, anche quando il destino la condurrà alle sue mirabolanti imprese. A Jean de Novelonpont, il primo soldato che darà credito alla sua missione, incontrato a Vaucouleurs, Giovanna confida: «Avrei preferito rimanere a filare vicino alla mia propria madre, perché questa non è la mia professione, ma bisogna che lo faccia perché il mio Signore vuole così». E nel momento dell’apoteosi, dopo che ha guidato l’esercito alla liberazione di Orléans e ha fatto incoronare nella Cattedrale di Reims il delfino Carlo VII re di Francia, ripete proprio al vescovo di Reims: «Voglia Iddio, mio creatore, che io possa ora ritirarmi e, lasciate le armi, aiutare mio padre e mia madre a governare le pecore. Voglia Iddio che possa andare in compagnia di mia sorella e dei miei fratelli, che si rallegrerebbero di rivedermi!».

La comunione coi bambini
Leggendo le testimonianze del processo di riabilitazione, è facile scorgere la sorgente che irriga e rende liete le giornate e le occupazioni di Giovanna. Il ruscello che attraversa tutta la sua vita, dagli anni nascosti del tempo contadino ai pochi mesi convulsi ed esaltati delle imprese di guerriera, è quello trasparente e attingibile da ogni cristiano: la preghiera, i sacramenti, la messa domenicale. Fin da quando è bambina, Giovanna approfitta con abbondanza dei frutti di grazia della comunione e della confessione. Basta leggere a caso. Ricorda il suo padrino Jean Moreau: «Jeannette andava spesso e volentieri in chiesa e al romitaggio di Notre-Dame di Bermont presso Domrémy, qualche volta anche quando i suoi genitori credevano fosse all’aratro o nei campi o altrove. Quando sentiva suonare la messa ed era nei campi, andava in città, in chiesa, per assistervi». Il curato di una parrocchia vicina, Domínique Lacon, ricorda che «quando sentiva il suono della compieta, si inginocchiava e diceva devotamente le preghiere». E il sacrestano di Domrémy, Perrin Drappier, racconta addirittura i rimbrotti che la piccola gli rivolgeva quando lui dimenticava di suonare le campane: «Quando non suonavo compieta ella mi interpellava e mi rimproverava, dicendo che non avevo fatto bene e mi aveva anche promesso di darmi un po’ di lana perché io suonassi diligentemente la compieta». Durante le stagioni della sua avventura guerresca, Giovanna cercherà ancor più prontamente il soccorso dei sacramenti, come un assetato che cerca e gode del refrigerio dell’acqua di sorgente. «Se potessimo sentire la messa» dice ai suoi compagni già all’inizio, mentre è diretta a Chinon per incontrare il delfino di Francia «lo faremmo volentieri». Il confessore di Giovanna, l’eremita di Sant’Agostino Jean Pasquerel, che l’ha seguita da Tours fino alla liberazione di Orléans, racconta: «Giovanna si confessava quasi ogni giorno e si comunicava spesso. Quando eravamo in un luogo dove si trovava un convento di frati mendicanti mi diceva di ricordarle il giorno in cui i bambini educati da loro ricevevano il sacramento dell’Eucarestia per riceverlo anche lei in loro compagnia, come faceva spesso. Quando si confessava piangeva. Quando uscì da Tours, per andare a Orléans, mi pregò di non lasciarla ma di restar sempre con lei come confessore». Un drappello di preti, secondo il volere di Giovanna, accompagnava sempre le truppe: «Due volte al giorno, al mattino e alla sera, mi faceva radunare tutti i preti i quali cantavano antifone e inni a santa Maria, e Giovanna era con loro. Non voleva che ai preti si unissero i soldati che non si erano confessati. Li esortava perciò a confessarsi per poter partecipare alla riunione». In quella insolita condizione, tra cariche, assedi e soprassalti notturni, la soldataglia più rozza si stupisce quando Giovanna ottiene che anche il capobanda dei predoni, La Hire, si inginocchi per la confessione.

Eroina per caso
Gli anni dell’adolescenza contadina di Giovanna sono gli stessi in cui la Francia sembra fatalmente destinata a diventare una provincia sottomessa al re d’Inghilterra. Il Trattato di Troyes (1420) ha sancito la teoria della doppia monarchia, che concede la doppia corona di re di Francia e d’Inghilterra al discendente di Enrico V di Lancaster e di Caterina di Francia. Il disegno inglese trova alleati decisivi in terra francese: il duca di Borgogna e quello di Normandia, che controllano buona parte della Francia settentrionale. E soprattutto la gran parte degli intellettuali, teologi e canonisti delle università, insieme a molti vescovi, che fanno a gara nel formulare teorie teologico-politiche allineate con le pretese dei Lancaster. Già dal 1412 il progetto egemonico ha assunto la forma di vera guerra di conquista, con l’esercito inglese che invade la Francia. È l’inizio dell’imperialismo inglese che Régine Pernoud definisce «un abbozzo del moderno colonialismo». Quando, nell’ottobre 1428, gli inglesi pongono l’assedio alla città di Orléans, nel cuore della Francia, tutti capiscono che la nazione è ormai perduta. A meno di un miracolo.
È a questo punto che Giovanna, la contadina analfabeta, la guardiana di capre, si reca dall’esitante Carlo, il delfino di Francia, rifugiato con la sua corte a Chinon. Dice di essere inviata da Dio per liberare la Francia. Chiede di poter guidare le truppe alla liberazione di Orléans. Dice di aver ricevuto questa missione da Dio attraverso delle voci, udite concretamente, che le comandavano di liberare la Francia e guidare il delfino a Reims, per farlo incoronare nella Cattedrale, secondo la tradizione, re di Francia. I teologi di corte la sottopongono ad esame, per verificare che non sia una ciarlatana. Il domenicano Guglielmo Aimeri, scettico sulle voci, le fa notare che se Dio volesse davvero liberare il popolo di Francia dalle calamità, non sarebbero necessari gli uomini d’arme. Ma Giovanna gli risponde: «Bisogna dar battaglia, perché Dio doni vittoria».
La vicenda delle voci sarà usata dal tribunale ecclesiastico che la condannerà al rogo come prova della sua eresia. Ma quando Jeannette depone davanti ai suoi carnefici su questo argomento, è estremamente sobria e decisa. «Avevo tredici anni, quando udii una voce mandata da Dio per guidarmi nella vita; la prima volta ne ebbi una grande paura. Quella voce mi raggiunse verso mezzogiorno, d’estate, nel giardino di mio padre. E non avevo digiunato il giorno precedente. Sentii la voce venire da destra, verso la chiesa, ed era spesso accompagnata da una luce». In altre testimonianze del processo di condanna, Giovanna parla anche di visioni in cui le erano apparsi alcuni santi cari alla cristianità francese di quel tempo: san Michele, santa Margherita d’Antiochia, santa Caterina d’Alessandria. Attraverso questi fenomeni misteriosi, eppure così concreti, Giovanna ha la certezza che la richiesta le viene da Dio. Per questo risponde prontamente e senza esitazioni. Ma Giovanna non ha nulla dell’asceta invasata, non può essere confusa con le profetesse illuminate che giravano allora per la Francia. Non indulge a pose messianiche, non coltiva ambizioni personali. Quando la visionaria Catherine de la Rochelle la avvicina e le espone le sue strane elucubrazioni mistiche, Giovanna le consiglia di «tornarsene dal marito, a governare la casa e a dar da mangiare ai suoi bambini». E quando alcune dame le portano le corone del rosario, per fargliele toccare, lei scoppia a ridere: «Toccatele voi stesse » dice «e sarà la stessa cosa!».

Miracolo a Orléans
Il delfino acconsente alle richieste di Giovanna. Nel maggio 1429 le truppe francesi, guidate dalla ragazzina analfabeta vestita da soldato, in soli otto giorni liberano Orléans. Tutti i testimoni del processo di riabilitazione che depongono su quel fatto, ne parlano come di un evento inspiegabile nel quadro naturale e normale dell’esistenza. Qualcosa che superò tutte le probabilità umanamente possibili, viste le forze disposte in campo. Valga per tutti il racconto di Giovanni II, duca d’Alençon e principe di sangue reale: «Penso che la città fu presa più per la forza d’un miracolo che per la forza delle armi… Da quello che ho sentito raccontare dai soldati che erano presenti all’azione, tutti più o meno ritenevano un miracolo ciò che era stato fatto a Orléans e lo consideravano non come opera umana ma come venuto dall’alto». Giovanna, dal canto suo, non si attribuisce alcun merito. L’influente borghese Jacques Esbahy racconta: «Tutti gli abitanti di Orléans sono concordi nel dire che non hanno mai udito Giovanna attribuire a sua gloria ciò che era stato fatto da lei, e attribuiva tutto a Dio e insisteva, per quanto poteva, che il popolo non la onorasse».
Durante il processo, Giovanna opporrà continuamente alle pressanti domande dei suoi giudici ecclesiastici l’umile riconoscimento di essere stata solo un fragile strumento del gioco di Dio: «Senza il comando di Dio io non saprei far nulla… Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per comando di Dio. Io non faccio niente di testa mia». La forza tangibile, operante nel temporale, che Giovanna percepiva operante nel miracolo quotidiano della vita di Domrémy è la stessa che si manifesta nei miracoli, così diversi, di ordine politico e militare, tanto imprevedibili e clamorosi che anche chi non crede può riconoscerli. Come al tempo di Davide contro Golia, Giovanna sa che «bisogna dar battaglia, ma è Dio che concede la vittoria». Quando i giudici, sprezzanti, le chiederanno come mai la scelta di Dio sia caduta proprio su di lei, una contadina analfabeta, Giovanna, la «santa del temporale» (come la definì Jean Daniélou), condensa in poche parole tutto il mistero della sua umiltà prediletta: «Piacque a Dio servirsi di una semplice pulzella, per sbaragliare i nemici del re».

Vescovi teologi
Scrive Péguy di Giovanna: «Ella dovette essere cristiana, martire e santa contro dei francesi e contro dei cristiani. Trovò l’infedeltà installata nel cuore stesso della Francia, nel cuore stesso della cristianità».
Quando Giovanna, presso Compiègne, cade nelle mani dei soldati borgognoni e da questi viene consegnata agli occupanti inglesi, è l’Università di Parigi a chiedere che sia condannata come eretica. Il martirio – condanna al rogo per l’accusa di eresia – le verrà inflitto da un tribunale ecclesiastico. L’odio verso la contadina prediletta – come spesso accade nella storia della santità cristiana – tracima prima di tutto da quelli che si sentono i padroni dell’istituzione ecclesiastica.
In effetti, la ragazzina analfabeta di Domrémy, senza saperlo, si era messa di traverso a quella potente lobby ecclesiastica (teologi, professori universitari, vescovi prezzolati) che supportava con raffinati argomenti teologici le istanze del potere che sembrava vincente. Costoro, «dietro l’ideologia architettata – la duplice monarchia – avevano anche elaborato un loro sistema affinché l’Università fosse ormai considerata la vera custode delle “chiavi della cristianità”, sostituendosi al pontefice romano, di cui avrebbero presto cercato di sbarazzarsi nel corso di due concili burrascosi, quello di Basilea e quello di Costanza» (Pernoud). I carnefici ecclesiastici di Giovanna agiscono tutti come detentori di questo superprimato culturale, superiore anche a quello del Papa (quando Giovanna chiederà al tribunale inquisitoriale di rimettere il suo caso alla Sede apostolica, le sue richieste saranno fatte cadere nel vuoto). Il deus ex machina dell’intero processo farsa è Pierre Cauchon, vescovo-teologo di Beauvais, già rettore dell’Università di Parigi, giunto all’episcopato grazie alle buone entrature presso il duca di Borgogna.
In alcuni passaggi del processo di condanna viene fuori tutto l’abisso tra l’ideologia teologica cristiana di queste sedicenti “fiaccole della Chiesa” e la fede di Giovanna, per la quale per mendicare e godere dei doni della grazia basta il battesimo («sono una buona cristiana e battezzata come si deve») e i gesti più semplici e abituati: la messa la domenica, le preghiere del mattino e della sera, la confessione e l’Eucarestia. All’inquisitore, che per farla cadere nel tranello le domanda quale sia la differenza tra Chiesa militante e Chiesa trionfante, Giovanna risponde: «Dato che tutta la Chiesa è di Dio, la differenza non dev’essere poi molto importante». Quando, per estorcere prove di una sua presunta disobbedienza alla Chiesa le chiedono se non sia doveroso obbedire al papa, ai cardinali e ai vescovi, Giovanna risponde: «Sì, Dio servito per primo». A un certo punto Jean Beaupère, prelato universitario che al Concilio di Basilea guiderà il gruppo accademico che vuole mettere sotto tutela il Pontefice, chiede a Giovanna se ella presume di essere in stato di grazia, e lei risponde: «Se ci sono, Iddio mi ci custodisca; se non ci sono, voglia Iddio collocarmici, perché preferirei morire che non essere nell’amor di Dio». Anche per resistere ai tranelli e ai cavilli di queste «volpi scolastiche» (Bernanos), Giovanna invoca l’aiuto del Signore. La sua preghiera semplice è rimasta registrata nei verbali degli interrogatori: «Dolcissimo Dio, in nome della Vostra Santa passione, io vi chiedo, se Voi mi amate, di rivelarmi che cosa debba rispondere a questi uomini di Chiesa». Commenta Régine Pernoud: «Parole di dolorosa intimità. Esprimono tutto ciò di cui ella ha bisogno in quel preciso istante. Nulla di più. È la preghiera del cristiano, che sa che ogni grazia è la grazia del momento presente».

Come un nuovo inizio
Nei suoi tre Misteri Péguy ha saputo cogliere questa attesa, l’attesa di un nuovo dono di grazia nel momento presente che accompagna tutta l’avventura cristiana della Pulzella d’Orléans. Tutto il cristianesimo può diventare un passato morto, pretesto e strumento di ricatti e lotte di potere, se sul tronco indurito della storia cristiana non fiorisce un nuovo germoglio, se un gesto nuovo del Signore non suscita oggi la speranza, come accadde per i primi pescatori che lo incontrarono sul lago di Galilea. «Nulla durerebbe, l’albero non durerebbe, e non resterebbe al suo posto di albero, (bisogna che questo posto sia mantenuto), senza quella linfa che sale e che piange nel mese di maggio, senza quelle migliaia di gemme che spuntano teneramente all’ascella dei duri rami».
È giusto maggio, quando Giovanna sale sul rogo del mercato vecchio di Rouen, e muore guardando una croce e mormorando il nome di Gesù. Era di maggio che a Domrémy si andava con gli amici in scampagnata, nelle domeniche di festa, presso l’albero detto “delle fate”. Era di maggio sotto le mura liberate di Orléans.


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