Nostra Signora dei miracoli
La Madonna della Caravina si affaccia sul lago di Lugano, al confine con la Svizzera, ma ha da sempre un legame particolare con la diocesi di Milano. È uno dei santuari più belli della provincia di Como e la sua storia non è da meno...
di Stefania Falasca
A sinistra, il santuario di Nostra Signora dei miracoli della Caravina, a Cressogno, che si affaccia sul lago di Lugano
«Correva il secolo decimosesto, l’eresia dei protestanti aveva spezzata l’unità della religione cattolica svellendo dal tronco secolare della Chiesa madre le più belle regioni del nord d’Europa, e minacciava anche la nostra terra, dove principalmente nelle valli che la dividono dalla Svizzera, la lotta di pensiero, e non solo di pensiero, tra cattolici e protestanti era accanita, continua, e la vittoria incerta...». Così le memorie del santuario scritte alla fine dell’Ottocento iniziano a raccontarne la storia. «La Valsolda» si legge ancora «non ospitò mai eretici, ma non lontano l’eresia trovava aderenti e protezione. A custodia della fede cattolica nel popolo, Iddio volle allora donare anche a questa valle un nuovo trono della Sua misericordia dal quale Maria Vergine si deliziasse di spargere conforto e grazie». Le circostanze e i fatti sono puntalmente riportati dai documenti dell’epoca.
Proprio agli inizi del Cinquecento, nel punto esatto dove oggi sorge il santuario, un anonimo devoto aveva fatto erigere una cappellina nella quale era dipinta una Madonna Addolorata con in grembo Gesù deposto dalla croce. La località su cui sorgeva questa piccola cappella campestre con l’immagine della Pietà era comunemente chiamata dalla gente “Caravina”. Nel 1530 un miracolo. Il primo. Riguarda un valsoldese. Un fuoriscito valsoldese che, condannato a morte dalla giustizia di un lontano paese, aveva cercato scampo ritornando in patria. Le cronache del tempo raccontano che il profugo arrivato alla Caravina, posta allora sulla linea di confine, venne fermato dalle autorità della Valsolda per essere sottoposto ad una quarantena, in quanto sospetto portatore di peste. I segni della terribile malattia non tardarono a manifestarsi e il poveretto, consunto dall’inedia e abbandonato da tutti, trascorreva le sue giornate all’interno della cappellina a domandare conforto a Colei che la devozione della Chiesa chiama “pubblico ospedale dei poveri peccatori”. Una notte vide in sogno la Madonna che era lì dipinta avvicinarsi a lui e curargli le piaghe. Svegliatosi si trovò guarito. Da quel momento la devozione verso la sacra immagine della Caravina andò diffondendosi sempre più. E trent’anni più tardi ecco documentato un altro miracolo. Fu proprio questo a dare origine alla costruzione del santuario.
Anno di grazia 1562, addì 11 maggio. È il lunedì dopo l’Ascensione. Il primo giorno delle litanie, secondo il rito ambrosiano. Verso mezzogiorno, terminata a Cima la processione di penitenza, i fedeli facevano ritorno alla spicciolata alle loro case. Due donne, Pedrina di Cortivo e Beltramina Mazzucchi, arrivate alla Caravina, si fermarono a salutare la Madonna. Entrate nella cappelletta, con loro grande meraviglia, videro il volto dipinto di Maria rigarsi di lacrime. La Madonna piangeva davanti ai loro occhi. Sorpresa e confusa, una delle donne, in un gesto di filiale pietà, cercò col fazzolletto di asciugarle, ma le lacrime scendevano giù da quel volto ancora più copiose. Ben presto la notizia del fatto si sparse nella valle e altri miracoli confermarono, il giorno stesso, il pianto miracoloso della Vergine. Una donna di Oria, gravemente malata da parecchi anni, saputo dai parenti di ritorno dalle litanie di quel prodigio, volle farsi portare in barca alla Caravina. Era già sera quando vi giunse. Completamente guarita fece ritorno a casa. Tre giorni dopo, anche due sacerdoti malati celebrando la messa davanti a quella Pietà si ritrovarono improvvisamente guariti. Guarigioni improvvise si verificarono ancora nei giorni seguenti. Questi fatti non tardarono a giungere all’orecchio dell’arcivescovo di Milano, che era allora Carlo Borromeo. Il santo arcivescovo ordinò subito l’apertura di un processo canonico. Appurata la veridicità dei prodigi, l’autorità ecclesiastica dichiarò miracolosa l’immagine della Caravina. San Carlo Borromeo volle che quel sacro dipinto fosse custodito in un santuario. Ed egli stesso, a sue spese, si occupò della costruzione, facendo poi trasportare il dipinto della Madonna sull’altare maggiore. Nel 1570, a conclusione dei lavori, vi celebrò la messa solenne e vi tornò poi pellegrino più volte. All’interno del santuario un’iscrizione a lato dell’altare maggiore ricorda san Carlo Borromeo col titolo di “signore della Valsolda”. «È un titolo che l’arcivescovo di Milano tuttora mantiene» spiega uno dei padri custodi del santuario. «Quello della Valsolda con la diocesi di Milano è un legame particolare. Un legame» spiega ancora «che di certo ha segnato la storia di questa valle: da sempre quassù crebbe una fedele comunità ambrosiana. Da Carlo Magno, infatti, questa terra di confine, ha respinto per nove secoli ogni invasore e si resse sempre a libero comune, invocando come unica autorità riconosciuta proprio quella dell’arcivescovo di Milano». Paolo VI, quando era arcivescovo di Milano, venne più volte pellegrino alla Madonna della Caravina. Nel 1962, in occasione del quarto centenario del miracolo del pianto di Maria, celebrò la messa solenne e consegnò le chiavi della casa della Madonna ai padri del Sacro Cuore di Gesù. Anche il santo cardinal Schuster soleva raccogliersi in preghiera davanti a questa venerata immagine di Maria che aveva sgorgato lacrime.
Panorama della Valsolda vista dal lago di Lugano