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STORIA DEI GIUBILEI
tratto dal n. 05 - 1999

Due regine per due anni santi


Cristina di Svezia fu la protagonista del Giubileo del 1675. Maria Casimira di Polonia di quello del 1700. La prima, eccentrica e amante della cultura, aveva rinunciato al trono per convertirsi al cattolicesimo. La seconda, pia e attenta ai bisognosi, era la vedova del re che liberò Vienna dai Turchi


di Serena Ravaglioli


Cristina di Svezia

Cristina di Svezia

L’ospite più prestigiosa delle principali cerimonie dell’Anno Santo 1675 fu Cristina di Svezia. Vent’anni prima, la sua conversione al cattolicesimo e la conseguente rinuncia al trono in favore del cugino Carlo Gustavo avevano fatto scalpore sia fra i cattolici che fra i protestanti. La cerimonia ufficiale dell’abiura si era svolta a Innsbruck e subito dopo l’ex regina, attraversata l’Italia in trionfo, si era recata a Loreto per deporre ai piedi della Madonna la sua corona e il suo scettro. Era poi venuta per la prima volta a Roma, dove era stata accolta con i più grandi onori dal papa Alessandro VII, che l’aveva addirittura ospitata in Vaticano, ed era stata festeggiata con gran pompa da tutte le famiglie nobili della città. A Roma Cristina si era poi fermata a lungo per diversi periodi e, infine, quando ebbe deposto ogni speranza di riconquistarsi un trono, vi si era definitivamente trasferita, nel suo bel palazzo di via della Lungara.
Lì, dunque, la regina abitò per anni, dedicandosi ai suoi studi preferiti e ai dotti conversari con gli amici, nonché, con una certa moderazione, alle pratiche religiose. Era uno spirito abbastanza libero ed eccentrico, comunque poco incline alle manifestazioni di pietà esteriore, e capace di uscirsene con affermazioni poco convenzionali del tipo: «Nelli esercitji spirituali niuna cosa si esercita più che la vanità e l’interesse: al rimanente si dorme». Per questa eccentricità e per la sua stravagante mascolinità Cristina era un po’ temuta e un po’ criticata; nessuno, però, poteva mancare di ammirare la sua grandissima cultura e la passione con la quale raccoglieva incessantemente opere d’arte e promuoveva nei suoi saloni una vivace attività letteraria e culturale, primo fondamento di quella che poi nel 1690, l’anno successivo alla morte di Cristina, sarebbe diventata l’Accademia dell’Arcadia.
Nell’Anno Santo la personalità bizzarra della regina svedese si mise in luce già durante la solenne cerimonia di apertura della Porta Santa: nel silenzio generale, mentre si attendeva che il papa Clemente X desse i primi colpi di martello, la voce di Cristina si levò, alta e con il suo caratteristico timbro mascolino, a rimproverare alcuni suoi ospiti inglesi, protestanti, che non si erano doverosamente inginocchiati. Gli occhi di tutti si volsero al fastoso palco ove Cristina sedeva su di un trono – appositamente disegnato per lei da Bernini –, la cerimonia si interruppe per un attimo e poi riprese. In realtà al suo comportamento fuori dell’ordinario il Papa e i romani erano abituati, e rassegnati.
Nel resto dell’anno Cristina di Svezia fu molto attiva: fu vista più volte salire piamente ginocchioni la Scala Santa, mosse incontro ai principali pellegrinaggi, partecipò a cerimonie, a ricevimenti, a processioni, e in queste circostanze, poiché il Papa, anziano e malato, era quasi sempre assente, in genere era lei il personaggio più di riguardo. La processione più spettacolare, anche in questo Giubileo, fu quella organizzata per la mattina di Pasqua dagli spagnoli a piazza Navona, presso la loro chiesa nazionale. In quell’occasione al centro della piazza furono erette due “macchine” a forma di mausoleo, sovrastate da colossali statue di Cristo e di Maria e decorate sulle pareti con raffigurazioni di episodi biblici. Altre macchine più piccole erano sparse in tutta la piazza.
Il Lunedì Santo precedente Cristina di Svezia, accompagnata da varie nobildonne romane e dalla duchessa d’Assia, si era recata a prestare servizio all’ospizio della Trinità dei Pellegrini. Lavò i piedi a dodici pellegrine e al momento di andarsene lasciò una generosa offerta e, come ricordo, il grembiule e l’asciugamano finemente ricamati di cui si era servita.
Maria Casimira di Polonia

Maria Casimira di Polonia

Anche nell’Anno Santo successivo, quello del 1700, la pellegrina più illustre fu una regina. Si trattava di Maria Casimira, vedova del re di Polonia Giovanni III Sobiesky, eroico protagonista della liberazione di Vienna dai Turchi, quello che il papa Innocenzo XI aveva definito “baluardo della cristianità”. Anche Maria Casimira era venuta a Roma, per stabilirvisi, dopo aver rinunciato, per se stessa e per i suoi figli, a ogni speranza di regno, e anche lei era stata accolta con onori particolari dal Papa. Subito dopo il suo arrivo aveva assunto un posto di rilievo nella società romana. Risiedeva al Pincio e lì, nella casa Zuccari, voleva stabilire un monastero.
Era infatti molto pia, come dimostrò a più riprese durante il Giubileo, fin dalla cerimonia di inaugurazione, quando volle passare a piedi nudi per la Porta Santa. Compì poi numerose visite alle basiliche, scalza e vestendo l’abito da penitente, e si prodigò nell’assistenza ai pellegrini bisognosi. L’accompagnavano in tutte le pratiche devozionali i tre figli, Giacomo, Alessandro e Costantino, il secondo dei quali decise poi di restare per sempre a Roma come frate cappuccino.
Maria Casimira si piccava anche di essere un’esperta di letteratura e fu accolta nell’Accademia dell’Arcadia. In questo campo tuttavia non era certo in grado di emulare Cristina di Svezia, come ironicamente fece rilevare il malizioso gioco di parole con cui si concludeva un epigramma indirizzato alla regina polacca: «Venni a Roma Cristiana, non Cristina».
Altro ospite di riguardo di quel Giubileo fu il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, al quale fu concesso un privilegio singolare. Poiché le reliquie della Passione conservate a San Pietro potevano essere avvicinate e mostrate al popolo solo da chi fosse canonico della basilica, Cosimo III fu insignito di tale carica. E in veste talare con la cotta ricamata e il berretto rosso in mano fu anche ritratto.
Ma a prescindere dai pellegrini più o meno illustri, l’Anno Santo 1700 si distingue comunque da tutti gli altri perché è l’unico a essere stato aperto da un papa, Innocenzo XII, e chiuso da un altro, Clemente XI. Innocenzo XII, a causa della sua malattia, non poté nemmeno partecipare alla cerimonia dell’apertura della Porta Santa, cui fu delegato il cardinale Bouillon, e poté compiere le visite giubilari solo a maggio; sebbene all’inizio dell’estate sembrasse ristabilito, dopo poco tornò ad aggravarsi e alla fine di settembre morì. Clemente XI diventò papa due mesi dopo e fu quindi lui a chiudere la Porta Santa in San Pietro. La malattia che aveva quasi sempre tenuto immobilizzato Innocenzo XII e poi la lunga sede vacante avevano cancellato uno dei principali motivi che spingevano a Roma i pellegrini: la possibilità di vedere e sentire il Papa. E di conseguenza la riduzione del numero degli arrivi fu sensibile.
L’unico altro evento degno di essere ricordato per quell’anno è il violento straripamento del Tevere, avvenuto il 26 novembre a causa di piogge lunghe e copiose: esso rese impraticabile la via Ostiense, isolando la basilica di San Paolo Fuori le Mura. Il neoeletto Clemente XI dovette quindi decretare che la visita alla basilica Ostiense fosse commutata con quella a Santa Maria in Trastevere.


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