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STRASBURGO VISTA DA VICINO
tratto dal n. 05 - 1999

Come costruire una casa comune


I ricordi di Emilio Colombo, per tre anni presidente del Parlamento europeo, dal 1977 al 1979


di Emilio colombo


Venti anni fa, proprio di questi giorni, si concludeva la mia presidenza del Parlamento europeo attribuitami con voto dell’Assemblea per tre volte consecutive e perciò durata tre anni.
Avevo vissuto pressoché ininterrottamente, nei due decenni precedenti alla mia elezione a presidente del Parlamento europeo, l’esperienza faticosa ma esaltante dell’attuazione dei Trattati di Roma (Comunità economica europea ed Euratom) e del Trattato di Lussemburgo (Comunità del carbone e dell’acciaio).
Jean Monnet (il primo da destra) mostra il primo lingotto di acciaio europeo. Nel ’50 il ministro degli Affari esteri francese 
Robert Schuman, in un discorso ispirato da Monnet, pose le basi di una pace duratura tra Francia e Germania, che si erano affrontate sui campi di battaglia delle due guerre mondiali: propose di collocare la produzione franco-tedesca dell’acciaio sotto 
un’alta autorità comune, in un’organizzazione aperta alla partecipazione di altri Paesi europei. Nasce così nel ’51 la Ceca, 
il primo passo del cammino che porterà all’Unione europea

Jean Monnet (il primo da destra) mostra il primo lingotto di acciaio europeo. Nel ’50 il ministro degli Affari esteri francese Robert Schuman, in un discorso ispirato da Monnet, pose le basi di una pace duratura tra Francia e Germania, che si erano affrontate sui campi di battaglia delle due guerre mondiali: propose di collocare la produzione franco-tedesca dell’acciaio sotto un’alta autorità comune, in un’organizzazione aperta alla partecipazione di altri Paesi europei. Nasce così nel ’51 la Ceca, il primo passo del cammino che porterà all’Unione europea

In quelle sedi inevitabilmente si sentiva che l’ideale europeo veniva traducendosi, sessione per sessione, in una costruzione economica e anche politica dalla quale difficilmente gli Stati si sarebbero potuti tirare indietro. Eppure le frequenti insorgenze nazionalistiche, soprattutto quando l’applicazione dei Trattati metteva in causa il principio di nazionalità in favore del principio di sovranazionalità e perciò della pura cooperazione tra Stati in favore di vera ed efficace integrazione, rendevano il cammino non privo di difficoltà.
Ciò veniva sempre più accentuandosi quanto più venivano attenuandosi i ricordi delle distruzioni e degli odi della guerra ed emergevano generazioni nuove non preparate culturalmente e politicamente a comprendere il nesso esistente tra la triste realtà del passato e l’esasperazione dei nazionalismi.
Quanto più questi processi quasi inconsapevolmente si compivano, quanto più la politica europea diveniva dominio riservato dei governi o delle burocrazie, tanto più si sentiva il bisogno che i popoli facessero proprio l’ideale europeo, avessero canali diretti per diventare protagonisti, e sedi proprie per riscoprire che le culture nazionali non erano che facce diverse di una comune cultura europea e che gli obiettivi di ogni singola nazione non erano che parti di un comune obiettivo europeo. Infine, l’Europa per progredire aveva bisogno di una classe dirigente europea addestrata, dalla convivenza in istituzioni rappresentative, ad elaborare insieme il suo futuro. Talvolta, se necessario, anche contro la volontà dei governi e dei Consigli dei ministri, sia pure comunitari.
Quale altra istituzione avrebbe potuto far questo se non un Parlamento eletto a suffragio universale e diretto che per rappresentatività, prima ancora che per “poteri”, proseguisse più efficacemente l’opera già tanto benemerita svolta dal Parlamento europeo eletto dai Parlamenti nazionali?
Mi accorsi subito, all’atto della mia investitura alla presidenza, che il mio compito non era soltanto quello di amalgamare e condurre ad un lavoro comune una rappresentanza diversa per lingua, per nazionalità, per esperienze costituzionali e nazionali; e nemmeno l’altro, pure importante, non ancora oggi condotto a pieno compimento, di dare al Parlamento europeo la piena partecipazione alla funzione legislativa e ad una efficace potestà di controllo delle istituzioni; ma era quello di condurre i popoli direttamente alla responsabilità della costituzione dell’Europa, casa comune degli europei.
Un’opera esaltante e gratificante che mi riuscì di compiere avendo alle mie spalle l’esperienza di tre grandi italiani: Alcide De Gasperi, che fu presidente dell’Assemblea parlamentare della Comunità del carbone e dell’acciaio, Mario Scelba e Edoardo De Martino; e avendo già presidenti del Parlamento europeo e intorno a me alte espressioni delle diverse nazioni europee autorevoli nella loro patria e in Europa.
Mi sia consentito, non per vanità ma per quel tanto di orgoglio che ciascuno può avere, di trascrivere la motivazione con cui nello stesso maggio di venti anni fa, all’inizio della campagna elettorale per le prime elezioni del Parlamento europeo, mi fu concesso ad Aquisgrana il premio Carlomagno: «In Emilio Colombo non dobbiamo pertanto vedere soltanto una eminente personalità politica italiana, che ha tratto il proprio mandato unicamente dalla propria coscienza e dalla costante legittimazione democratica, ossia dall’elezione dei suoi concittadini, ma anche l’uomo che, secondo la migliore tradizione romana, adempie fino in fondo l’impegno d’avanguardia, conferisce credibilità all’aspetto politico ed apre alla libera decisione dei cittadini europei ed alla responsabilità di tutti il futuro del nostro continente. […] Per tali motivi, il collegio direttivo della Società per il conferimento del premio internazionale Carlomagno della città di Aquisgrana ha deciso di attribuirle, signor presidente dottor Emilio Colombo, il premio Carlomagno 1979».
Poiché scrivendo queste righe gentilmente richiestemi mi sono tornati alla mente tanti ricordi sia dell’attività interna del Parlamento europeo, sia della sua politica esterna (non scrivo estera per non ingelosire qualche governo) prometto, se mi sarà consentito, un secondo mio articolo certamente un po’ più allettante.


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