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STRASBURGO VISTA DA VICINO
tratto dal n. 05 - 1999

Date credito all’euro


L’unione economica e monetaria è uno strumento per arrivare all’unione politica. Come dimostra la storia di questi anni. E se l’euro incontra le prime difficoltà nell’assestarsi nel suo rapporto con il dollaro bisogna dargli stabilità. E avviare la fase finale del processo iniziato nel 1969


di Flavio Mondello


Il processo evolutivo della Comunità economica europea, che si è sviluppato nell’arco di cinquant’anni, benché irto di ostacoli mostra tuttavia una continuità unidirezionale. A ogni passo, piccolo o grande che fosse, ne sono sempre seguiti altri più o meno a lungo termine. Le indecisioni, i rinvii, le debolezze, la mancanza di coraggio, non hanno di fatto provocato una regressione. Eppure, ho vissuto personalmente un episodio che avrebbe potuto rappresentare un’eccezione a questa regola. Mi riferisco alla controversia comunitaria conosciuta come “crisi della sedia vuota”. In questa occasione si è rischiato di pregiudicare quanto acquisito fino a quel momento.
Il Trattato di Roma, che istituiva il mercato comune, era entrato in vigore il 1 gennaio 1958. Nel ’59 il generale De Gaulle era divenuto presidente della Repubblica Francese. Certe sue dichiarazioni fatte in precedenza potevano far temere una messa in discussione di alcune disposizioni di carattere sovranazionale del Trattato. Tuttavia, non accadde nulla del genere. Il presidente francese stava al gioco, giungendo persino a rivendicare che venisse messa sotto regime comune anche la produzione agricola, ossia che venisse creato un mercato agricolo integrato.
Bisogna ricordare che, per l’attuazione del mercato comune, il Trattato prevedeva degli approcci progressivi per tappe e periodi transitori. Ciò era accaduto già per la realizzazione dell’unione doganale, tramite una riduzione progressiva dei dazi doganali tra i Paesi del mercato comune. Nei confronti dei Paesi terzi bisognava presentare una tariffa doganale comune unificata.
Il 4 maggio 1964 erano iniziate le negoziazioni multilaterali del Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade) designate col nome di Kennedy Round. Anche in questo caso l’obiettivo era la riduzione dei dazi doganali e, in generale, l’eliminazione di altre barriere non tariffarie.
Tra i sei Paesi membri il volume degli scambi commerciali era notevolmente aumentato già fin dalla prima fase. Di fatto regnava un certo ottimismo, tanto che si giunse a chiedere che fosse abbreviata l’ultima fase che doveva terminare nel 1966.
La realizzazione della politica agricola comune si rivelava onerosa dal punto di vista finanziario. Fino al 30 giugno 1965 gli Stati membri si erano impegnati a coprire le spese, facendole gravare sui bilanci nazionali. Ma, a partire dal 1 luglio 1965, il finanziamento della politica agricola comune sarebbe pesato sul bilancio comunitario.
Sollecitata a presentare un pacchetto di misure per risolvere la complessità dei molteplici interessi in gioco, la Commissione presentò all’inizio del ’65 delle misure economiche, finanziarie e politiche, arrivando persino a chiedere un rafforzamento delle competenze dell’Assemblea parlamentare in materia di bilancio. Alcuni pensarono che forse si era un po’ esagerato.
Il 30 giugno 1965, data prevista per l’ingresso nella terza fase, ci fu un colpo di scena al Consiglio dei ministri riuniti a Bruxelles. Dopo un giro di consultazioni sul programma, il ministro francese Couve De Murville si ritirò dal tavolo dei negoziati senza fornire spiegazioni e senza accettare di fissare una data più propizia per la discussione: lasciò il suo posto. La sedia rimase vuota fino all’inizio del 1966.
I partner si chiedevano stupefatti se questo gesto spettacolare significasse la messa in discussione del mercato comune oppure se si trattasse di un’abile manovra del presidente De Gaulle per guadagnare tempo. Tuttavia, a partire dal mese di luglio e nel corso dell’autunno, durante la presidenza italiana, il ministro degli Affari esteri Emilio Colombo e altri ministri come Paul-Henri Spaak cercarono, con colloqui segreti a Parigi, di scoprire cosa si nascondesse realmente dietro l’atteggiamento della Francia. In dicembre fui anch’io della partita poiché, a partire dal 1 gennaio, il Lussemburgo avrebbe assunto la presidenza per i successivi sei mesi.
Ciò che progressivamente emerse fu che il vero scoglio per il governo francese era la data del 1 gennaio 1966. In base alle regole del Trattato, si poteva ricorrere al voto maggioritario anche in materia commerciale e agricola. Dunque, per i cinque partner della Francia, in quel momento, la questione era se dovevano confrontarsi con delle proposte di modifica delle disposizioni del Trattato. Tutto dipendeva dalla loro coesione.
Certo, anche la Francia aveva espresso le sue ragioni di dissenso nei confronti della Commissione, ma su alcuni punti si poteva discutere.
Ad ogni modo, verso la fine dell’anno, era molto forte la volontà di ricucire lo strappo. Ciò avvenne, non senza difficoltà, nel corso delle due conferenze dei rappresentanti di governo a Lussemburgo sotto la mia presidenza. Il risultato positivo di questi incontri è stato definito “compromesso di Lussemburgo”.
Ma si trattava davvero di un compromesso? Non esattamente. Le cinque delegazioni dei partner della Francia si opponevano risolutamente a una revisione del Trattato per quanto riguardava la questione del voto maggioritario. La Francia giudicava, al contrario, che «quando erano in gioco interessi di particolare importanza, la discussione avrebbe dovuto protrarsi fino a che non si fosse raggiunto un accordo unanime». Si trattava piuttosto di opinioni divergenti, giustapposte.
Il vero compromesso ci fu nella decisione di riprendere senza interruzioni i lavori comunitari secondo le normali procedure, dopo aver classificato i problemi importanti e più urgenti del programma della Commissione e malgrado le divergenze sulla revisione del Trattato. Certo, in questo modo le disposizioni dei Trattati erano salve, ma per diversi anni lo spettro del falso “compromesso” di Lussemburgo continuò ad aleggiare su alcuni negoziati.
Il merito del “compromesso” fu quello di aver consentito la ripresa dei lavori che erano in ritardo e di tracciare, con rinnovata fiducia, nel corso del primo semestre 1966, i punti essenziali del programma.
Il 1 marzo Couve De Murville fece un’incoraggiante dichiarazione sul negoziato del Gatt, consentendo così di accelerare il completamento della tariffa doganale comune e di abbreviare la seconda tappa dell’unione doganale, che costituiva la principale preoccupazione della Germania.
Il regolamento finanziario della politica agricola, che per la prima volta dotava la Comunità di risorse proprie per alimentare il bilancio, trovò d’accordo tutti i partner e soddisfaceva anche la parte francese.
L’ostacolo presentatosi nel ’65 si trasformò in un potente propulsore nel corso dell’anno successivo. Da tale esperienza io trassi la conclusione che i partner erano ormai profondamente convinti dell’approccio comunitario e che si poteva partire verso nuovi orizzonti.


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