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CHIESA
tratto dal n. 04 - 2007

Il cardinale Mindszenty


Un ricordo dell’eroico arcivescovo ungherese simbolo della Chiesa perseguitata


di Giulio Andreotti


Il cardinale Jozsef Mindszenty con i suoi liberatori, fuori della sua residenza a Budapest, il 31 ottobre 1956

Il cardinale Jozsef Mindszenty con i suoi liberatori, fuori della sua residenza a Budapest, il 31 ottobre 1956

Un collega ungherese, che incontro nelle conferenze dell’Unione interparlamentare, mi ha rimproverato perché, a suo avviso, la Chiesa e l’Italia hanno dimenticato l’eroico cardinale Mindszenty. Forse – ha detto – si vuole evitare di urtare la sensibilità delle sinistre. Ora che è scomparsa l’Unione Sovietica si dovrebbe ancor più onorare la memoria di quanti, pagando di persona, cercarono di opporsi al tremendo disegno dell’impero del male.
Il rilievo mi porta al ricordo di una seduta molto tesa alla Camera dei deputati, l’8 febbraio 1949.
L’anno precedente, nella dura battaglia elettorale per la prima legislatura repubblicana, avevamo vinto bene sconfiggendo con l’alleanza di centro il Fronte socialcomunista. La Chiesa si era schierata apertamente (creando i Comitati civici) proprio in forza di quanto era accaduto nei Paesi sottomessi al comunismo. Non era più la sola reazione ideologica a difesa della Chiesa combattuta come “oppio dei popoli”. Era in giuoco la salvaguardia dalla vittoria di uno schieramento che nei Paesi conquistati aveva messo in atto terribili persecuzioni antireligiose. E il nome dell’arcivescovo di Esztergom-Budapest Jozsef Mindszenty (rifugiatosi presso l’ambasciata americana perché condannato a morte, con... benevola commutazione all’ergastolo) era stato al centro della nostra propaganda.
Il battagliero cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, a chi rimproverava l’invasione ecclesiastica nel campo politico, rispose che come la Confederazione coltivatori diretti si era schierata in battaglia per difendere la proprietà dei contadini così i coltivatori diretti di anime dovevano difendersi dall’invasione dei carcerieri del cardinale ungherese Mindszenty e di altri presuli e sacerdoti imprigionati.
Esigenze politiche e diplomatiche spinsero però alla ricerca di una soluzione possibile di questo e di altri casi. I contatti con l’Est, tessuti per conto della Segreteria di Stato da monsignor Agostino Casaroli, compresero anche sondaggi con il governo di Budapest alla ricerca di una soluzione del “caso” che anche agli americani creava delicati problemi.
Si lavorò inizialmente all’ipotesi di un trasferimento all’estero del cardinale, a lungo respinta dall’interessato. Solo dopo “fraterne insistenze” di Paolo VI, piegò il capo ritenendo di dover «ubbidire con umiltà, rinunciando al desiderio di finire la vita su suolo ungherese».
Esigenze politiche e diplomatiche spinsero però alla ricerca di una soluzione possibile di questo e di altri casi. I contatti con l’Est, tessuti per conto della Segreteria di Stato da monsignor Agostino Casaroli, compresero anche sondaggi con il governo di Budapest alla ricerca di una soluzione del “caso” che anche agli americani creava delicati problemi
Prima di lasciare – il 28 settembre 1971 – la residenza americana e la patria, disse ai parenti che erano andati a salutarlo: «Verrà presto un giorno in cui il tempo presente sarà cancellato, perché travolto dalla sua stessa insipienza. La pretesa di costruire un mondo senza Dio sarà sempre illusoria; e non farà che rafforzare l’unione della Chiesa con il popolo e con tutti coloro che soffrono. Solo coloro che hanno paura della verità temono Cristo».
Come presidente del Gruppo democristiano gli inviai questo messaggio: «I deputati della Dc del Parlamento italiano, che all’inizio della sua Via Crucis in cattività le espressero pubblicamente solidarietà e ammirazione, le inviano oggi il loro omaggio vivo, devoto, augurale».
Una personalità come Mindszenty era in realtà d’impaccio per la diplomazia vaticana istituzionalmente vocata alla ricerca di modus vivendi. Quando il cardinale perseguitato venne in visita a Roma non trovò molto calore anche sull’altra sponda del Tevere. Per quel che ricordo fu sconsigliata anche una pubblica manifestazione di solidarietà.
Nel frattempo il Fronte italiano delle sinistre era stato liquidato, con il disegno socialista di una certa autonomia dai compagni dell’estrema, concretamente incoraggiata (lo sapemmo molti anni dopo) anche da Washington.
Non è possibile dare una risposta incontestabile al quesito su cosa sarebbe successo in Italia se nel 1948 avessero vinto loro. A chi sostiene che la specificità della nostra nazione avrebbe evitato la dittatura rossa, credo che si possa obiettare che così opinando si offendono i comunisti ungheresi, cechi e polacchi che non credo agli inizi fossero consapevoli e rassegnati di essere meri strumenti satellitari del Cremlino.
Nel cinquantesimo anniversario della Rivoluzione ungherese del 1956, gli eventi del primo decennio del dopoguerra sono stati generalmente dimenticati in una diffusa filosofia di attenzione esclusiva o quasi verso il futuro, che va costruito proprio attorno a due punti di riferimento: l’Unione europea e l’evoluzione russa. Anche su Gorbaciov e sul suo decisivo sganciamento si preferisce sorvolare.
Paolo VI con il cardinale Mindszenty

Paolo VI con il cardinale Mindszenty

Un elogio funebre del cardinale lo pronunciò nel corso dell’udienza del mercoledì (7 maggio 1975) Paolo VI definendolo: «Singolare figura di sacerdote e di pastore [...]. Ardente nella fede, fiero nei sentimenti, irremovibile in ciò che gli appariva dovere e diritto [...]. La storia [...] saprà dare su di lui un giudizio più pienamente equilibrato e oggettivo, e alla sua figura il posto che gli spetta».
Ricordo anche che il Pontefice nell’ottobre 1971 aveva avuto la gioia di celebrare con lui la messa nella Cappella Matilde in Vaticano.
Anche quando nel 1987 venne qui il nuovo leader ungherese Lazar le norme di linguaggio furono di attenersi al presente attenendosi agli esistenti legami costruttivi. L’anno precedente avevano fatto una certa impressione la polemica sugli obiettori di coscienza, ma senza grande risonanza e un simposio tra studiosi cattolici e marxisti sui rapporti tra le culture. Il viaggio di Lazar era stato preceduto da una visita a Budapest di monsignor Poggi (ora cardinale).
Le esigenze terrene della Chiesa obbligano talvolta per evitare mali maggiori a una certa duttilità tattica. In fondo la prudenza è una virtù.
Per giusta analogia ricordo una lettera di Pio X a un parroco che, sull’onda del vigente antimodernismo, talvolta maniacale, si era lamentato per una ingiusta censura ricevuta. Può darsi che avesse ragione e che fosse stato censurato ingiustamente ma i conti si fanno lassù e avrebbe pensato il Signore Iddio a rendergli giustizia.
Così, tra quanti esaltano la fierezza indomita di Jozsef Mindszenty e coloro che ne criticano sia l’ostinazione, sia, viceversa, l’acquiescenza al compromesso dell’esilio, credo debba rivolgersi l’invito a non indugiare nelle polemiche. Preghiamo non per il cardinale Mindszenty, ma il cardinale simbolo della Chiesa perseguitata.


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