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GUERRA IN IUGOSLAVIA
tratto dal n. 04 - 1999

RASSEGNA STAMPA

Guerra sessantottina




Finkielkraut
Questa è la guerra dei sessantottini

«Questa guerra è clintoniana, blairista, sessantottina. E quando la generazione del Sessantotto fa la guerra, si comporta come quando faceva la rivoluzione: non la fa sul serio. Abbiamo fatto la rivoluzione per nulla, oggi facciamo la guerra per nulla». Così si esprime Alain Finkielkraut, l’intellettuale francese di origine ebraica, grande estimatore del poeta Charles Péguy, in un articolo pubblicato dal settimanale liberal nel numero in edicola dal 30 aprile. Secondo Finkielkraut la situazione attuale, rispetto alla finta rivoluzione del Sessantotto, ha una differenza fondamentale: «Il problema è che la rivoluzione non ha fatto del male a nessuno, mentre questa guerra fa del male a quelli che sono a terra, ai kosovari, ai serbi».


Alberto Sordi
«La guerra è un crimine organizzato e inutile»

«Ma ti pare che debbano bombardare a destra e a sinistra, uccidere persone che non c’entrano niente per poi stipulare la pace? Perché, poi, la pace, la fanno, hai voglia se la fanno…». Così il popolare attore romano Alberto Sordi, in un’intervista al quotidiano Il Messaggero il 27 aprile, nella quale definisce la guerra «un crimine organizzato e inutile».


Aleksij II
Bombardano per imporre un nuovo ordine

«Come dice san Giovanni Crisostomo, niente può rovinare la nostra gioia pasquale: neppure l’aggressione durante la festa. Siamo testimoni del fatto che alcuni Paesi ricchi e potenti ci colpiscono con bombe e missili. Non per proteggere, ma per distruggere l’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale e imporre un nuovo ordine al quale il popolo si ribella. Però vi dico che l’ingiustizia e la perfidia non vinceranno mai». Così il patriarca di Mosca Aleksij II ha detto ai fedeli riuniti nella Cattedrale di San Sava durante la liturgia celebrata nel corso della sua visita a Belgrado, il 20 aprile. Lo stesso giorno, in un’intervista pubblicata dal quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, Aleksij ha definito «un’ipocrisia» la giustificazione umanitaria dei raid della Nato: «I cristiani d’Occidente che partecipano a queste azioni di guerra commettono un grave peccato davanti a Dio e un delitto dal punto di vista internazionale. Un gruppo di Stati senza alcuna legittimazione da parte dell’Onu si è appropriato del diritto di decidere cos’è bene e cos’è male. È una violenza che danneggia non solo la vittima ma anche l’aggressore».


Pavle I
I colpi spietati del nuovo ordine mondiale

Nel messaggio per la Pasqua, celebrata dagli ortodossi domenica 11 aprile, del patriarca Pavle, capo della Chiesa ortodossa serba, la professione di fede ha ispirato anche il realismo del giudizio storico e politico. «La fede nella Resurrezione e nella vittoria della vita sulla morte ci è di consolazione in questo momento difficile», scrive Pavle. «Credere significa rispondere con fiducia anche ai colpi spietati che ci vengono inflitti dal cosiddetto nuovo ordine mondiale che di nuovo ha soltanto il nome mentre in realtà manifesta una disumanità antichissima». Il Patriarca ripete «la condanna morale dell’intervento della Nato, che con la sua brutalità ha provocato grandi sofferenze ed enormi devastazioni, con la spiegazione cinica e inaudita di aver voluto impedire una catastrofe umanitaria». Per uscire dal conflitto Pavle invita a valorizzare le proposte che «possono contribuire a una vita libera e proficua in Kosovo, sia per il popolo serbo che per quello albanese». Prima di divenire nel 1990 Metropolita di Belgrado e Patriarca della Chiesa serba, Pavle è stato per più di trent’anni vescovo della diocesi del Kosovo.


Cardinale Martini
Sant’Agostino e la guerra della Nato

In un ampio intervento intitolato Disarmiamo gli animi armiamo la ragione, pubblicato sul quotidiano la Repubblica il 29 aprile scorso, il cardinale Carlo Maria Martini ha esposto il suo pensiero sulla guerra in Iugoslavia, ricorrendo anche a un’ampia citazione del De Civitate Dei di sant’Agostino. Scrive Martini: «Sulle ragioni possibili di alcuni atti di guerra (cioè sul tema di un’eventuale “guerra giusta”), si è ragionato a lungo nei due millenni cristiani. Sant’Agostino scriveva: “Fare la guerra è una felicità per i malvagi, ma per i buoni una necessità… È ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria. In tutti questi casi la guerra va considerata un ‘brigantaggio in grande stile’” (De Civitate Dei IV, 6)». Martini poggia le sue affermazioni sulla guerra anche su citazioni della Pacem in terris di Giovanni XXIII («Nell’era atomica è irrazionale – alienum a ratione – pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati») e del Concilio Vaticano II («Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato»).
È da notare che in precedenza L’Espresso, nel numero in edicola il 9 aprile, in un servizio sulle diverse posizioni dei personaggi pubblici nei confronti della guerra, aveva annoverato Martini tra i favorevoli all’intervento Nato, lodandolo per il suo uso di «un linguaggio che fa apparire astrusi i distinguo diplomatici della gerarchia vaticana, e incomprensibile ogni equidistanza tra l’aggressore e le vittime». Il settimanale citava una frase tratta da un’intervista concessa dal porporato al direttore del Corriere della Sera («In qualche caso la guerra è inevitabile. Non vi è altra scelta, quando non vi è un diverso modo di difendere un popolo che appare destinato all’annientamento»), omettendo però di riportare anche la seconda parte della riflessione di Martini, e cioè: «Ma la domanda che dobbiamo tutti porci è se non esista ancora un’alternativa all’uso delle armi. Bene, quella alternativa va pensata, cercata, anche quando sembra impossibile».


Cardinale Vlk
Capire la coscienza di chi bombarda

In un appello reso noto il 26 aprile, il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), auspica la fine del conflitto in Kosovo, manifestando nel contempo cenni di comprensione per i «problemi di coscienza» dei vertici militari e politici che hanno promosso l’intervento armato. «La nostra solidarietà» scrive Vlk «si rivolge in particolare alle persone vittime dell’espulsione e della soppressione a causa della mera appartenenza a una determinata nazionalità. Non solo gli atroci atti di violenza inflitti durante la fuga sono un crimine, ma l’espulsione come tale è un crimine. Conosciamo il dramma di coscienza di quei responsabili politici e militari che hanno deciso di usare la forza delle armi per difendere persone inermi, esposte alla cieca furia dell’assassinio, a orrende violenze e al sistematico sradicamento dalla loro casa e dalla loro terra».


Vescovi tedeschi
La parola ritorni all’Onu

Dopo le prime dichiarazioni sostanzialmente favorevoli all’intervento Nato rilasciate dal presidente della Conferenza episcopale tedesca Karl Lehmann (cfr. 30Giorni n. 3, marzo 1999, p. 36), i vescovi di Germania aggiustano il tiro. In una lunga dichiarazione formulata il 19 aprile in occasione della seduta tenuta a Würzburg, la Commissione permanente della Conferenza episcopale tedesca contesta la legittimità dell’iniziativa militare della Nato per risolvere situazioni di emergenza umanitaria. Scrivono i vescovi tedeschi: «Tentare di trovare una soluzione a questo e a molti altri conflitti attraverso interventi militari giustificati da motivazioni umanitarie spetta alla comunità internazionale […]. Un attacco militare senza un valido mandato delle Nazioni Unite, anche se è volto alla tutela dei diritti dell’uomo e deriva da motivi umanitari, rischia di minare il bando della violenza perorato nella Carta delle Nazioni Unite. Per questo, accogliamo favorevolmente ogni iniziativa politica che abbia lo scopo di ricondurre la responsabilità delle azioni della Nato alla comunità internazionale». Sugli effetti concreti dell’azione Nato, secondo i vescovi tedeschi c’è da chiedersi «se i mezzi militari utilizzati dalla Nato siano veramente adatti a creare i presupposti di una soluzione politica […]. Nonostante gli sforzi, la popolazione del Kosovo finora non è stata protetta efficacemente».


Asor Rosa
«Europa da normalizzare»

«L’Impero vincitore non è soddisfatto della sua pur colossale vittoria. Gli mancano ancora alcuni elementi del quadro per considerarla compiuta, e quindi presumibilmente definitiva. […] In questo quadro la Russia – o meglio, quella che ancora appare al suo antagonista come l’ex Urss –, sebbene sconfitta su di un piano secolare, non è però stata ancora abbastanza mortificata, e mostra segni di reviviscenza». Così il professor Alberto Asor Rosa in un suo articolo sulle ragioni dell’intervento Nato in Iugoslavia dal titolo Il disegno dell’Impero ospitato sul quotidiano la Repubblica il 6 aprile. Ma secondo Asor Rosa «la rimodellizzazione del mondo post-bipolare non riguarda soltanto i resti dell’Impero sconfitto, l’ex sistema socialista, onde ricondurlo tutto e più stabilmente dentro un più ferreo quadro di comando, alieno da cedimenti, debolezze, smagliature; ma riguarda anche l’Occidente, in particolare, in questa fase, l’Europa, anch’essa da normalizzare là dove è ancora più anormale, per ridurre anch’essa dentro il disegno di una cultura (intesa anche in senso stretto) monocratica».


Kissinger
«Gli aspetti più esoterici dell’accordo di Rambouillet»

«Slobodan Milosevic non è Hitler, ma un criminale dei Balcani, e la crisi in Kosovo non ha analogie con gli eventi che hanno preceduto la prima guerra mondiale». Lo sostiene Henry Kissinger in un intervento pubblicato dal settimanale Newsweek sul numero del 5 aprile e apparso su la Repubblica del 14 aprile. Secondo l’ex segretario di Stato Usa «poiché la guerra continua, l’amministrazione deve ridefinire i suoi obiettivi. […] L’accordo di Rambouillet dovrebbe perciò essere sfrondato delle sue componenti più esoteriche».


Magrassi
Le responsabilità della Nato

«Le scene della fuga disperata dei profughi possono indurre ad ammettere una certa utilità e legittimità dell’intervento armato; dobbiamo però chiederci: quanto la Nato è responsabile direttamente o indirettamente delle conseguenze di violenze sui kosovari e del loro esodo?». «È vero che più volte il Pontefice ha parlato di “ingerenza umanitaria”, ma è anche vero che difficilmente questo parametro si può applicare all’intervento in corso, visto che la motivazione e l’impostazione iniziali sono state quelle della spedizione punitiva e costrittiva». «[La guerra] non ha mai prodotto la pace vera né il dialogo sincero né la collaborazione fattiva tra i popoli». Brani del messaggio La pace sperata, lanciato il 3 aprile dal benedettino Mariano Magrassi, arcivescovo di Bari-Bitonto.


Silvestrini
L’intervento Nato? Né conveniente né adeguato

Domanda della Sir (agenzia stampa della Conferenza episcopale italiana) del 21 aprile: «L’intervento della Nato può essere definito un’ingerenza umanitaria?». Risposta del cardinale Achille Silvestrini (prefetto della Congregazione per le Chiese orientali): «Non saprei dirle. L’attacco della Nato è per impedire i massacri. Ma questo intervento è quello più conveniente e adeguato? Io penso di no».


Il direttore di Radio Vaticana
Come è cambiata la linea del Papa…

«Mentre in un primo tempo la Santa Sede, il Papa e i suoi diplomatici hanno cercato con tutti i mezzi di scongiurare la guerra, una volta che il conflitto è iniziato ed è deflagrato e che è apparso così chiaro che abbiamo un popolo intero espulso dalla sua terra e anche massacrato, allora è stata chiara l’urgenza di correre in soccorso dei più deboli, tanto è vero che il Papa ha chiesto con le sue parole dei corridoi umanitari». Lo ha detto il 27 aprile padre Pasquale Borgomeo, gesuita, direttore di Radio Vaticana, nel corso di un incontro organizzato dalla rivista Micromega. Padre Borgomeo ha sottolineato come negli otto-dieci giorni precedenti fossero cambiati anche i titoli dell’Osservatore Romano, per far comprendere come è mutata la posizione del Vaticano sulla guerra nei Balcani.


Küng
Il regime di Milosevic intollerabile, quindi…

«Da un punto di vista umano, un regime come quello di Slobodan Milosevic non è tollerabile». Con queste parole il teologo Hans Küng ha dato il suo “ok” ai bombardamenti Nato. Lo ha fatto in un’intervista concessa al quotidiano Fuldaer Zeitung del 17 aprile. A suo avviso – anche se si sarebbe dovuto agire prima – non si può comunque addossare la colpa del dramma in Kosovo ai politici e ai militari occidentali.


Ecumenismo “bombardato”
Rinviata la riunione plenaria della Commissione per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi

Più di un osservatore ha giudicato l’atteggiamento prudente della Chiesa riguardo la guerra nei Balcani come un atteggiamento tattico per migliorare i propri rapporti con le Chiese ortodosse. Sta di fatto comunque che importanti appuntamenti di dialogo ecumenico vengono cancellati proprio a causa della guerra. È accaduto per la visita del “ministro degli Esteri” della Chiesa ortodossa russa, il metropolita Kirill, prevista per fine marzo ma annullata. Lo stesso è avvenuto per la riunione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Il summit avrebbe dovuto tenersi dal 6 al 15 giugno a Baltimora, negli Stati Uniti, ma con un comunicato congiunto pubblicato il 26 aprile è stato rinviato all’anno prossimo «a causa delle ostilità che perdurano in Europa e che renderebbero difficile la partecipazione di tutti alla riunione».


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