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ITALIA
tratto dal n. 04 - 1999

LAVORO. La piaga dello sfruttamento dei minori

Bambini da soma


Anche se il fenomeno è sotto controllo, è necessario intensificare le iniziative per ridurre il numero dei minori che lasciano la scuola dell’obbligo e vengono impiegati illegalmente in attività produttive


di Bianca Maria Fiorillo


La triste pratica del lavoro minorile si sta presentando in tutta la sua cruda realtà ai governi e all’opinione pubblica. Se prima era prerogativa dei Paesi sottosviluppati, oggi non ne sono immuni neanche quelli progrediti, sebbene con diversa valenza e consistenza.
Piccoli venditori in un mercato del pesce

Piccoli venditori in un mercato del pesce

Sono 250 milioni nel mondo i bambini che gravitano nel sistemalavoro; in Italia, secondo stime attendibili, sarebbero 509mila. Anche se il fenomeno è sotto controllo, essendo la legislazione italiana tra le più avanzate e in linea con le direttive internazionali, è necessario intensificare le iniziative per ridurne la consistenza. Per questo il Ministero del Lavoro, d’intesa con l’Ufficio internazionale del lavoro (Bit), ha commissionato all’Istat un’indagine conoscitiva, che “fotograferà” la realtà in tutti i suoi dettagli. Ciò servirà a individuare anche le motivazioni che si nascondono dietro le cifre, dandoci così la possibilità di analizzarle e quindi di isolarle e vanificarle.
Per poter raggiungere con efficacia questo obiettivo, bisogna anche distinguere il lavoro minorile dallo sfruttamento dei minori a fini lavorativi e commerciali. Un attento monitoraggio permetterà, così, di affinare e rafforzare le capacità di intervento da parte dello Stato, che necessita di strumenti agili e articolati anche in funzione delle diverse realtà. Gli interventi saranno maggiormente efficaci se a supportarli sarà una rete nazionale, con diramazioni locali, che dovrà coinvolgere le istituzioni scolastiche, sanitarie, del mondo del lavoro, della solidarietà e le diverse agenzie sociali, religiose e culturali che operano nel territorio. Questo è l’impegno che il governo ha preso già un anno fa e ha riconfermato a metà aprile al “tavolo di coordinamento” con le parti sociali per la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’incontro è coinciso, non a caso, con il quarto anniversario dell’assassinio del bambino pachistano Iqbal Masiq che a dodici anni, piccolo schiavo tessitore di tappeti, era diventato il difensore dei coetanei costretti alla stessa vita.
Oggi si ricorre ai controlli sui posti di lavoro ed alle sanzioni, ma credo che bisogna anche intervenire a monte perché la carta vincente è la prevenzione. Bisogna tener conto, infatti, che il lavoro minorile e il suo sfruttamento hanno alternative positive e costruttive che non solo evitano il degrado ma sono soprattutto fonte di promozione umana. Un bambino sottratto allo studio sarà, domani, un uomo privo di basi culturali, se non un analfabeta, sia a livello scolastico che sociale. Ed è chiaro che le famiglie e la società non possono essere depauperate di persone complete e portatrici di una integrale capacità di vita.
Dunque, è sulla famiglia, ma anche sulla scuola e sulle realtà produttive, che bisogna intervenire, dato che sono molteplici le cause e le motivazioni che contribuiscono a incrementare il lavoro minorile e il suo sfruttamento economico. Le famiglie interessate da questo fenomeno dovrebbero essere messe in condizione, con un assegno periodico, di poter fare a meno del lavoro dei figli minori. Non dovrebbero essere interventi a pioggia, bensì mirati e controllabili nella loro efficacia.
Spesso, però, non c’è solo l’indigenza a favorire l’avvio al lavoro e quindi l’abbandono dei banchi di scuola. Un ruolo non trascurabile gioca, infatti, la disaffezione del bambino verso lo studio. La scuola così com’è oggi non lo interessa, lo demotiva dirottandolo verso l’impegno lavorativo che – in qualche caso – lo interessa e lo gratifica. È necessario, dunque, adeguare alla mutata realtà i programmi e la didattica, possibilmente favorendo già nelle aule scolastiche l’incontro – senza sollecitazioni al lavoro precoce – tra scuola e realtà produttiva. Potrebbero essere utili stage e incontri periodici, ottimi strumenti di orientamento e preludio all’inserimento nel mondo del lavoro.
E, ancora, bisogna individuare le aziende, grandi e piccole, che traggono vantaggio dal lavoro minorile che in questo caso diventa vero e proprio sfruttamento. Ne approfittano per trarne vantaggio sul mercato e nella concorrenza; dovrebbero essere scoraggiate e colpite duramente anche nell’immagine.
Come si vede, la lotta al lavoro minorile ha bisogno di interventi molteplici e a tutti i livelli. È un impegno che trova e troverà dalla nostra parte – ne sono certa – anche e soprattutto i bambini.


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