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EDITORIALE
tratto dal n. 03 - 1999

Necessità di Europa



Giulio Andreotti


Il bombardamento del giorno di  Pasqua su Belgrado

Il bombardamento del giorno di Pasqua su Belgrado

I corsi e ricorsi della storia si hanno talvolta anche a ritmi ravvicinati. Non immaginavo pertanto di venire polemicamente definito un “paleoatlantico” da parte di qualche circolo che fu a lungo irriducibilmente e combattivamente ostile all’Alleanza, approvata dal Parlamento italiano non senza contrasti.
Con oggettiva sintonia, il Papa, la Russia e il Parlamento italiano hanno invocato il cedant arma togae, con impegni precisi da parte serba, ma anche con la smentita di disegni occulti della Nato o di altri per andare oltre l’autonomia. Mi auguro e prego Dio perché questo possa avvenire. È paradossale intanto che per aiutare un popolo si sia dovuto provocare in esso un massiccio esodo,…
I nostri lettori hanno visto con quanta ampiezza e con quali qualificatori apporti la nostra rivista ha ricordato il cinquantenario della firma del 4 aprile 1949. Fu una decisione illuminata e di prospettiva, che dette all’Occidente uno strumento di difesa tale da dissuadere aggressioni da parte sovietica. I Paesi europei da soli non avrebbero potuto mettere in piedi un apparato militarmente sufficiente; se lo avessero dovuto tentare, avrebbero dovuto comunque dedicarvi tutte le risorse disponibili, sacrificando i programmi di ricostruzione postbellica e quelli di crescita economico-sociale. Di qui la stretta connessione euro-americana, che vide un siginificativo complemento nel 1975 quando, nell’Atto di Helsinki (Cooperazione e Sviluppo Europeo), Stati Uniti e Canada divennero per così dire soci di tutta l’Europa.
Crollata l’Unione Sovietica e dissolto il Patto di Varsavia, il fondato timore di un attacco, convenzionale o nucleare, da parte di Mosca venne meno. La Nato avrebbe potuto dichiarare il proprio scioglimento per raggiunto fine sociale, spingendo altri scenari: potenziamento effettivo dell’Unione europea occidentale; creazione di una forza di polizia interna tra tutti i Paesi dell’Osce, ecc. Si è deciso invece di mantenere in piedi la Nato, aprendola a nuove adesioni.
Che la Russia si sentisse minacciata da tale ipotesi, era ovvio. Ma si iniziò subito un negoziato tra Nato e Russia che ebbe due sbocchi significativi: la creazione di un partenariato per la pace tra la stessa Nato e la Federazione Russa e l’elevazione del G7 a G8, con un posto al tavolo per il signor Eltsin. Con questi ammortizzatori fu dato il via all’ampliamento della Nato, arrivandosi appunto ai confini russi.
Un vecchio ferito nel bombardamento di Aleksinac, città mineraria situata a 200 chilometri a sud di Belgrado, 
colpita per errore dai missili della Nato il 5 aprile

Un vecchio ferito nel bombardamento di Aleksinac, città mineraria situata a 200 chilometri a sud di Belgrado, colpita per errore dai missili della Nato il 5 aprile

Questo delicato nuovo modello di stabilizzazione sta rischiando di retrocedere a causa delle vicende del Kosovo. Di qui la non peregrina preoccupazione di chi si è domandato se fosse impiegabile la Nato in territori esterni al proprio ambito, così come tassativamente è scritto negli articoli del Patto. Si sta discutendo la “nuova strategia” dell’Alleanza, e se saranno concordate modifiche ed estensioni di compiti i Parlamenti non si sottrarranno certo all’esame.
Comunque c’è ora da uscire dall’emergenza. Tralascio la cronaca della mancata Conferenza di Rambouillet perché è nota. Venuta meno la possibilità di mettere confederali e kosovari attorno a un tavolo, mi sembra però che un dato sia stato acquisito: l’obiettivo è la restituzione al Kosovo dell’autonomia data da Tito e cancellata dal governo Milosevic rinunciandosi al referendum per la secessione e ponendosi, ovviamente, fine alle persecuzioni della cosiddetta pulizia etnica. Il testo non è stato accettato dai rappresentanti di Belgrado perché prevedeva l’evacuazione delle loro milizie e il controllo sul posto di forze militari Nato o Nato-Russe (riassumo in breve).
Di qui gli attacchi aerei che, mentre scrivo, continuano con intensità, lasciandosi intravvedere anche operazioni a terra qualora le bombe non bastino.
…mettendo a repentaglio gli equilibri interni della Macedonia e caricando sull’Albania – così presa dalla sua difficilissima costruzione interna – un peso schiacciante, sia pure in parte attenuato dall’intervento umanitario nel quale l’Italia prima di tutti si è prodigata
Con oggettiva sintonia, il Papa, la Russia e il Parlamento italiano hanno invocato il cedant arma togae, con impegni precisi da parte serba, ma anche con la smentita di disegni occulti della Nato o di altri per andare oltre l’autonomia. Mi auguro e prego Dio perché questo possa avvenire. È paradossale intanto che per aiutare un popolo si sia dovuto provocare in esso un massiccio esodo, mettendo a repentaglio gli equilibri interni della Macedonia e caricando sull’Albania – così presa dalla sua difficilissima costruzione interna – un peso schiacciante, sia pure in parte attenuato dall’intervento umanitario nel quale l’Italia prima di tutti si è prodigata.
Credo peraltro – oltre ad individuare possibili e accettabili alternative a quelle previste a Rambouillet per i controlli-garanzie – che con forza l’iniziativa sia ripresa dall’Unione europea. Nella storia comunitaria il problema iugoslavo è stato sempre all’ordine del giorno.
Ricordo il Consiglio europeo di fine giugno 1991. Eravamo appena riuniti a Lussemburgo quando giunsero notizie allarmanti su una tensione che stava esplodendo tra Belgrado e Zagabria. Senza perdere un minuto i tre ministri degli Esteri della Troika (compreso De Michelis) furono inviati sul posto con il compito di venirci a riferire all’indomani. Riuscirono a bloccare le minacciate ostilità, ma nel comunicato finale è scritto: «Il Consiglio europeo resta tuttavia preoccupato per la situazione in Iugoslavia e auspica che le istanze europee continuino ad occuparsi della situazione e ne seguano attentamente l’evoluzione».
In un trambusto generale della Federazione, la Croazia e la Slovenia si dichiaravano pochi mesi dopo indipendenti e continuavano scontri durissimi con la Serbia, uniti a quelli in Bosnia-Erzegovina. Tralascio una serie di passaggi e non mi indugio nel pianto per la mancata capacità o possibilità di imporre un minimo di legame tra le Repubbliche della Iugoslavia federata che impedisse il ricorso alle armi e la caccia all’uomo tra le etnie avverse.
Clinton e il Consiglio di sicurezza nazionale  discutono sulla situazione in Kosovo il 25 marzo

Clinton e il Consiglio di sicurezza nazionale discutono sulla situazione in Kosovo il 25 marzo

Nel comunicato del Consiglio europeo di Lisbona del giugno 1992 si legge: «Per quel che riguarda il Kosovo si attende dai dirigenti della Serbia che pongano fine alla repressione e inizino un serio dialogo con i rappresentanti di questo territorio. Il Consiglio rammenta agli abitanti del Kosovo che la questione della loro legittima aspirazione dovrà essere esaminata nel quadro di una Conferenza per la Iugoslavia». Si ritenne inoltre necessario che si inviassero osservatori lì e nelle aree vicine per «evitare il ricorso alla violenza e il ripristino di una condizione di fiducia». Ci si appellava all’Osce, con disponibilità a partecipare a queste missioni.
Gli sforzi e le delusioni dei sette anni successivi, con la terribile vicenda bosniaca, sono più che noti.
Le iniziative si susseguirono, non con grande esito. Vi è tuttavia una pista da rafforzare e far progredire. Mi riferisco al progetto comunitario del 1995 detto di Royaumont, chiamato «processo di stabilità e di buon vicinato con i Paesi dell’ex Iugoslavia». Due anni dopo a Salonicco si fece un programma di azione in vari campi. In calendario ci sarebbe una riunione dei presidenti delle Commissioni Esteri del Parlamento e dei Paesi dell’Unione europea per fare passi avanti al riguardo. Dico che ci sarebbe perché il luogo è la capitale della Macedonia, al momento di fronte a difficoltà congiunturali molto serie.
Ho voluto però ricordare questo indirizzo di ampio respiro, anche se fino ad ora poco sviluppato.
Ci si lamenta spesso dell’assenza dell’Europa. Lo spettro dei diritti-doveri che ha dinanzi l’Unione è amplissimo. Ma senza una azione globale effettiva temo che anche l’impegno di Maastricht e di Amsterdam per una politica estera e della sicurezza comune resti inattuato. E progetti tipo Royaumont possono aiutare ad attenuare la durezza di un momento nel quale troppi eccitati sembrano prevalere.


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