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ITALIA
tratto dal n. 01 - 2003

CATTOLICI. Il caso di coloro che hanno chiesto di “sbattezzarsi”

Il battesimo è un fatto...


...che un giorno è avvenuto e che nessuno può cancellare. Però sarà possibile far annotare nei registri battesimali la propria volontà di non appartenere più alla Chiesa cattolica. Intervista con monsignor Eduardo Davino, vescovo di Palestrina, che si è occupato del problema


di Lorenzo Cappelletti


Il battesimo di un bambino

Il battesimo di un bambino

La questione dello “sbattezzo” incrocia il destino dei vescovi di Palestrina. Monsignor Tomassetti, già vescovo di Palestrina, ora, come vescovo di Fano, deve fare i conti con l’“Associazione per lo sbattezzo” che ha sede nella cittadina marchigiana (anche se non gli deve fare troppa ombra, se, come ha dichiarato recentemente, dal 1997 gli sono pervenute solo due richieste di cancellazione). Al suo successore, l’attuale vescovo di Palestrina monsignor Eduardo Davino, è invece toccato il compito di offrire una chiarificazione sul tema, nella assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei) del novembre scorso. «Ha parlato della questione con monsignor Tomassetti?», gli chiediamo incontrandolo a Roma. «No, ci siamo visti, ci siamo salutati, ma non abbiamo discusso dell’argomento. Anche perché non era questa la questione capitale della nostra assemblea, in cui abbiamo affrontato, in senso cristiano, il problema dell’antropologia, delle ricerche scientifiche, dei tentativi che si fanno oggi per spiegare – noi diciamo: pur senza riuscirci – tanti fenomeni della psiche che si vorrebbero ridurre a fatti cerebrali, ma in realtà, come confermano gli scienziati stessi, siamo in un campo molto oscuro, ancora, e… ci rimarremo».
Il tratto di monsignor Davino è cordiale e vivace. Settantatreenne, napoletano, già vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia, dal 1997 è vescovo della diocesi suburbicaria di Palestrina. Riveste incarichi di grande responsabilità sia presso diversi dicasteri vaticani che presso la Cei, dopo aver maturato una trentennale esperienza come docente di teologia morale presso la Facoltà teologica di Napoli e come canonista (attualmente è membro del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, dopo essere stato per oltre un ventennio uditore presso la Rota romana e prima ancora cancelliere e giudice del Tribunale regionale ecclesiastico campano). Coloro che lo conoscono ne apprezzano la competenza unita a saggezza e umanità, che lo fanno degno erede della gloriosa tradizione giuridica partenopea a cui appartiene a pieno titolo, essendo anche laureato in giurisprudenza presso quella Università Statale, dove ha pure prestato servizio come professore.
Non ha difficoltà a parlare con un giornalista della questione di coloro che intendono “sbattezzarsi”. Anzi, si dice attento al mondo giornalistico, in particolare a Repubblica, e si duole che in ambiente ecclesiastico si prescinda spesso da una lettura attenta della stampa. «Bisogna sapere a chi parliamo», dice. Non si meraviglia che dopo l’ultima assemblea generale della Cei siano comparsi diversi articoli i cui titoli annunciano sbrigativamente che ormai la Chiesa riconosce la possibilità di “sbattezzarsi”. Come quello del n. 49/50 di Sette, il magazine del Corriere della Sera, E io mi sbattezzo nel nome dello Stato, di Ruini e dello spirito laico. Sottotitolo: «Un dono ricevuto da piccoli? No, un abuso da cancellare. Almeno per quelli che non vogliono più essere iscritti nei registri parrocchiali. E in Italia, giura il capo della loro associazione, sono in tanti. Solo che adesso a “benedirli” scende in campo addirittura il vicario del Papa». Monsignor Davino chiarisce: «Nella relazione che ho tenuto alla Cei ho sottolineato, benché non ve ne fosse bisogno, che il battesimo, per noi cristiani, segna uno status che non può essere cancellato per tutta l’eternità. La libertà, per così dire, che ora viene concessa è quella di chiedere che sia annotata nel registro dei battesimi la volontà di non essere più inclusi nell’elenco dei cattolici. Ci limitiamo a prendere atto della decisione di una persona di non voler essere più considerata come membro della comunità cattolica. Questo non solo non comporta, per la nostra dottrina, il cambio di status, ma non comporta neppure la possibilità della cancellazione dal registro. Infatti alla Chiesa cattolica è riconosciuto dalla legislazione dello Stato italiano il diritto di usare gli strumenti utili ai suoi fini istituzionali, fra i quali sta, per esempio, un registro degli appartenenti. Ripeto, si concede semplicemente che sia annotata a fianco dell’atto di battesimo di chi ne faccia richiesta la volontà di non essere più incluso nell’elenco dei cattolici. La parola “sbattezzo” non ha alcun significato. Il battesimo è un fatto: il registro dei battesimi testimonia che un bel giorno il tale è stato battezzato. Questo nessuno lo può mettere in dubbio».
Perché la Cei ha deciso di interessarsi della questione e perché è stato incaricato proprio lei di relazionare al riguardo?
EDUARDO DAVINO: Il problema è che molti vescovi hanno chiesto istruzioni, sollecitati a loro volta dai parroci, su come regolarsi di fronte a richieste del genere e allora abbiamo ritenuto di fare, da parte del Consiglio per gli affari giuridici, una comunicazione a tutti i vescovi. La comunicazione l’ho fatta io come membro anziano del Consiglio per gli affari giuridici, perché tale Consiglio mancava del suo presidente, monsignor Nicora, il quale è stato recentemente nominato presidente dell’Apsa e ha lasciato gli incarichi che aveva presso la Cei. Proprio in occasione della recente assemblea generale, peraltro, il Consiglio di presidenza ha provveduto a rimpiazzare monsignor Nicora, nominando al suo posto il vescovo ausiliare di Milano, monsignor Coccopalmerio.
Quando e perché si sono cominciate ad avere richieste di cancellazione?
DAVINO: La mia impostazione potrà pure essere contestata, ma da persona di una certa esperienza direi che storicamente il problema della cancellazione si è cominciato a porre a partire da quei Paesi nei quali esiste una tassa che gli appartenenti alle varie religioni devono pagare perché poi lo Stato, a sua volta, sovvenzioni queste religioni. Molti, specialmente emigrati, hanno pensato che l’unica soluzione per evitare tale tassa fosse, secondo le diverse legislazioni, o quella di dichiarare di non appartenere a nessuna religione, quando ci fosse stato un censimento, o di chiedere la cancellazione, laddove non si procedeva al censimento. Questa è stata l’origine della questione. A questo poi si è affiancato il filone di coloro che ritengono il battesimo dei bambini un fatto illegittimo e quindi chiedono che, posto che il fatto del battesimo c’è stato, questo fatto venga annullato. Sono varie le associazioni che da anni si battono per questo motivo. Ma, per quel poco di esperienza che ho, cronologicamente direi che viene prima il problema degli emigrati, perché innanzitutto i poveri parroci si sono trovati in difficoltà quando alcuni che si erano fatti cancellare come cattolici, ritornati in Italia, tranquillamente si presentavano per sposarsi o ricevere gli altri sacramenti. Altri parroci, poi, in questi ultimi due o tre anni, non sapevano come regolarsi di fronte a richieste di essere cancellati dai registri dei battesimi. Di qui l’esigenza di una chiarificazione e di una precisazione.
Quale è la natura giuridica di tale chiarificazione?
DAVINO: Non è un provvedimento legislativo. I documenti legislativi, nell’ambito della Conferenza episcopale, seguono tutta una procedura che si conclude con l’approvazione della Santa Sede, prima di diventare operanti. In questo caso si tratta piuttosto di una comunicazione con la quale si danno indicazioni che io direi non vincolanti ma tassative ai vescovi; perché chi autorizza l’annotazione è sempre il vescovo, per decreto. In calce alla mia relazione ho offerto un facsimile di decreto. La procedura sarà questa: il parroco, una volta ricevuta la richiesta, si rivolgerà al vescovo e il vescovo emetterà un regolare decreto col quale autorizzerà il parroco ad annotare che il tale chiede di non essere più considerato membro della Chiesa cattolica. Questo decreto andrà comunicato anche all’interessato, unitamente alle sue conseguenze, quali quella di non poter fungere da padrino o madrina, di non poter esercitare i ministeri istituiti, di non poter svolgere funzioni di catechista eccetera.
E riguardo al matrimonio?
DAVINO: Possono essere ammessi a contrarre matrimonio, ma debbono, se chiedono il matrimonio fra cattolici, chiedere ovviamente anche la cancellazione dell’annotazione. Insomma, sono tenuti a quello che comporta l’essere battezzati, però non sono ammessi alla celebrazione dei sacramenti finché dichiarano di voler essere considerati fuori della Chiesa.
L’“Associazione per lo sbattezzo”, sorta nel 1988, chiede la cancellazione perché – dice il suo presidente in una recente intervista – «l’anticlericalismo non è antistorico, soprattutto oggi e con questo Papa. Con Giovanni XXIII e Paolo VI se ne avvertiva meno l’esigenza».
DAVINO: Il battesimo è un fatto e chi non è antistorico questo fatto non lo può mettere in discussione. Può mettere in discussione l’opportunità, la giustezza, l’efficacia ma il fatto non si può negare. Mi sembra di capire, però, che il succo del discorso che si vuol fare sia questo: il nostro Papa felicemente operante alla guida della Chiesa ha portato avanti il discorso delle certezze. Per questo la gente accorre a lui. Le affermazioni del Papa danno certezza. Ecco. Apparentemente, quindi, sembra contrapporsi alla bonomia di Giovanni XXIII (senza dimenticare che chi ha avuto il genio di indire il Concilio Vaticano II è stato Giovanni XXIII) e alla prudenza con la quale Paolo VI ha saputo gestire la conclusione e il postconcilio. Il nostro Pontefice porta avanti i due canali: il canale del dialogo accanto al canale della certezza. Questo crea delle difficoltà a chi avrebbe piacere magari di una certa bonomia, che erroneamente viene attribuita a Giovanni XXIII, nella conduzione delle relazioni e dei rapporti.


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